Il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali con nota dell'8
marzo 2006 interviene con opportuni chiarimenti sull'applicabilità,
nell'ambito del settore edile, della cd. contribuzione virtuale
di cui all'art. 29 decreto-legge n. 244/1995 convertito nella
legge n. 341/1995 alle somme corrisposte al lavoratore "a chiamata"
di cui agli articoli 34 e seguenti del Decreto Legislativo n.
276/2003.
In particolare, l'attenzione è posta sull'indennità di
disponibilità, corrisposta per i periodi in cui il lavoratore, che
abbia contrattualmente garantito la propria disponibilità, sia
rimasto in attesa di utilizzazione ovvero non sia stato chiamato a
svolgere la prestazione lavorativa.
L'art. 29 del decreto-legge n. 244/1995 dispone l'infrazionabilità
del minimale contributivo e cioè l'obbligo di versare una
contribuzione minima, calcolata sulla retribuzione corrispondente
al numero di ore settimanali non inferiore all'orario di lavoro
normale stabilito dalla contrattazione collettiva, anche in assenza
di prestazione effettiva mentre l'art. 36, comma 2, del Decreto
legislativo n. 276/2003 dispone che i contributi sull'indennità di
disponibilità siano versati per il loro effettivo ammontare, anche
in deroga alla vigente normativa in materia di minimale
contributivo.
Dopo una attenta analisi del problema, il Ministero conclude che
l'indennità di disponibilità da corrispondersi al lavoratore edile
a chiamata non può essere assoggettata al maggiore onere
contributivo da calcolarsi su una retribuzione cosiddetta virtuale.
Diversamente, peraltro, data la misura dell'indennità mensile da
determinarsi secondo le modalità di calcolo previste dal D.M.
10.03.2004, sarebbe stato necessario disciplinare anche gli
eventuali parametri di riferimento per raggiungere la maggiore
contribuzione "virtuale".
L'applicazione sull'indennità di disponibilità del maggiore onere
contributivo ex art. 29 citato., infine, priverebbe il datore di
lavoro dell'importante vantaggio dell'utilizzo del lavoro a
chiamata, ovvero il risparmio dei costi durante i periodi di
inattività e, nel contempo, costituirebbe un incentivo ad
utilizzare diverse qualificazioni formali del rapporto di lavoro
non corrispondenti al reale carattere di lavoro subordinato delle
prestazioni svolte "ad intermittenza".
© Riproduzione riservata