Bisogna guardare al territorio spesso per capire come un Paese è
capace di immaginare il proprio futuro. Di come pensa di tenere
assieme identità e innovazione, tutela del proprio patrimonio
storico culturale e sviluppo economico. Un perfetto indicatore di
questo tipo, oltre che un tema troppo spesso dimenticato, sono le
cave. L’attività estrattiva è antica come la storia dell’uomo,
riguarda da vicino tanti settori “pesanti” dell’economia italiana –
come edilizia e infrastrutture -, incrocia alcuni marchi del made
in Italy nel Mondo, come la ceramica e i materiali pregiati.
>BR> Diventa dunque fondamentale capire la situazione
dell’attività estrattiva in Italia, trovare numeri e capire le
spinte che muovono il settore, fare il punto su politiche e
competenze. Il Rapporto di Legambiente sulle cave è nato con questi
obiettivi ed è stato costruito attraverso un questionario inviato
alle Regioni, e incrociando i dati con studi e verifiche. Si occupa
nello specifico dell’attività di cava e non di miniera e neanche
dell’estrazione negli alvei fluviali in quanto vietata dalla
maggior parte delle Autorità di Bacino fatta eccezione per
specifiche esigenze idrauliche.
I numeri fotografati dal Rapporto sono impressionanti, le
cave attive in Italia sono 5.725 mentre sono 7.774 quelle
dismesse nelle Regioni in cui esiste un monitoraggio.
Complessivamente si possono stimare in oltre 10mila quelle
abbandonate se si considerano anche le 9 Regioni in cui non
sono disponibili dati. Ancora più sorprendente è che la
normativa nazionale di riferimento in materia sia ancora
oggi un Regio Decreto del 1927. Un testo che esprime
chiaramente un idea dell’attività estrattiva come settore
industriale da sviluppare, e in cui sfruttare le risorse del suolo
e sottosuolo al di fuori di qualsiasi considerazione territoriale,
ambientale o paesaggistica.
A dettare le regole per l’attività estrattiva dovrebbero essere
oggi le Regioni, a cui sono stati trasferiti i poteri in materia
nel 1977. A evidenziare la necessità di un attenzione nazionale al
tema è il fatto che tra le Regioni italiane troviamo situazioni di
grave arretratezza e rilevanti problemi.
Migliore è la situazione al centro-nord, dove il quadro delle
regole è in maggioranza completo, i piani cava sono periodicamente
aggiornati per rispondere alle richieste di una lobby dei cavatori
organizzata. In generale la situazione è preoccupante: Veneto,
Friuli, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Sicilia, Sardegna,
Basilicata non hanno un piano cave. In Calabria addirittura non
esiste una Legge, ne un Piano, in Regione non conoscono nemmeno
il numero di cave aperte nel territorio. L’assenza dei piani è
particolarmente preoccupante perché in pratica si lascia tutto il
potere decisionale in mano a chi rilascia l’autorizzazione. E
quando sono i Comuni – come avviene in quasi metà delle regioni –
le entrate dalle cave possono diventare una voce di entrata
fondamentale in un periodo di riduzione dei trasferimenti statali.
Rilevante è il giro di affari di circa 5 miliardi di Euro
l’anno, per il solo settore degli inerti. E ancora più
incredibile è che a fronte di impatti tanto rilevanti a fronte di
guadagni sicuri siano estremamente bassi i canoni di
concessione, nelle Regioni del Mezzogiorno addirittura si cava
gratis!
E se si considera il peso che le Ecomafie hanno nella gestione del
ciclo del cemento e nel controllo della aree cava è particolarmente
preoccupante una situazione in troppe aree del Paese praticamente
priva di regole.
Delicata è poi la situazione quando si progettano e realizzano
infrastrutture, perché in quei casi anche nelle Regioni provviste
di Piani si esce dalle previsioni per cercare siti di cava
ulteriori e l’esito è quasi sempre quello cui siamo abituati a
vedere intorno alle principali strade e ferrovie italiane, con ai
margini enormi buchi nelle colline. In generale tutte le Leggi
regionali risultano indietro rispetto a una idea di moderna
gestione del settore compatibile con il paesaggio e l’ambiente, in
particolare per quanto riguarda le aree da escludere per
l’attività, il recupero delle aree, la spinta al riuso di inerti
provenienti dalle demolizioni edili.
Fonte: www.legambiente.eu
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