Il
TAR Valle d’Aosta con la
sentenza 28 aprile 2008, n.
33 è intervenuto sul problema legato al
reimpiego delle
terre e rocce da scavo, dichiarando l’illegittimità del decreto
del Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio del 3
luglio 2007, prot. 3776/Qdv/M/DI/B, con il quale veniva esclusa la
possibilità di reimpiegare, nell’ambito di lavori pubblici di
bonifica, i materiali inerti da scavo, ritenendoli sempre e
comunque rifiuti.
La Regione Valle d’Aosta ha proposto ricorso al TAR ritenendo che
il decreto del Ministero sia in contrasto con la disciplina di cui
al decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152 in cui l’articolo 185
prevede espressamente che non rientra nel campo di applicazione
della parte IV del decreto, e perciò nella disciplina dei rifiuti,
“il materiale litoide estratto dai corsi d'acqua, bacini idrici ed
alvei, a seguito di manutenzione disposta dalle autorità
competenti”. Il successivo art. 186 prevede, inoltre, per quanto
concerne il materiale inerte proveniente da scavo, che detto
materiale sia assoggettato alla disciplina dei rifiuti soltanto
allorché sia contaminato e non vi sia l'avvio certo di operazioni
di riutilizzo.
L’llegittimità del provvedimento sussiste anche in relazione alla
prescrizione di cui al nuovo articolo 186 dello schema di decreto
correttivo del decreto legislativo n. 152/2006 approvato dal
Consiglio dei Ministri il 27 luglio 2007.
In particolare, i giudici hanno sottolineato che in base all’art.
185 del decreto legislativo n.156/2006, comma 1, lett. l) , non
rientra fra i rifiuti: “Il materiale litoide estratto da corsi
d'acqua, bacini idrici ed alvei, a seguito di manutenzione disposta
dalle autorità competenti;”. L’art. 186, a sua volta recita: “1. Le
terre e rocce da scavo, anche di gallerie, ed i residui della
lavorazione della pietra destinate all'effettivo utilizzo per
reinterri, riempimenti, rilevati e macinati non costituiscono
rifiuti e sono, perciò, esclusi dall'ambito di applicazione della
parte quarta del presente decreto solo nel caso in cui, anche
quando contaminati, durante il ciclo produttivo, da sostanze
inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e
costruzione siano utilizzati, senza trasformazioni preliminari,
secondo le modalità previste nel progetto sottoposto a valutazione
di impatto ambientale…sempreché la composizione media dell'intera
massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai
limiti massimi previsti dalle norme vigenti e dal decreto di cui al
comma 3”.
>BR> Il divieto assoluto di reimpiego delle terre e rocce da
scavo riportato nel citato decreto del Ministro si pone, dunque, in
contrasto con quanto previsto dal citato articolo 186 del decreto
legislativo n. 152/2006 e, per altro, la norma, anche a seguito
delle recenti modifiche apportate dal decreto legislativo n.4/2008,
prevede che tali materiali non costituiscono rifiuti, in presenza
di determinate condizioni e requisiti, quali ad esempio:
- certezza del loro reimpiego;
- provenienza da siti non contaminati;
- caratteristiche chimiche e chimico-fisiche che non determinano
rischi per la salute.
Ad avviso dei giudici è, quindi, evidente che l’intento del
legislatore non è quello di escludere le terre e rocce da scavo
dall’ambito di applicazione della disciplina generale sui rifiuti
ogni qual volta ricorrano i requisiti espressamente previsti dalla
legge.
Alla luce di tali considerazioni, così come evidenziato nel
ricorso, appare ingiustificata e generica la prescrizione,
contenuta nel provvedimento impugnato, che esclude
tout
court e aprioristicamente la possibilità di utilizzare
materiali inerti da scavo e materiali provenienti da operazioni di
disalveo ritenendoli sempre e comunque “rifiuti“ da assoggettare
alla normativa vigente in materia.
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