Stato legittimo, tolleranze costruttive e sanatoria edilizia: guida ai presupposti e alle possibilità di regolarizzazione
Il Testo Unico Edilizia post Salva Casa dispone una diversa gestione delle difformità edilizie, partendo da un concetto diverso di stato legittimo. Vediamo cosa cambia
Cosa si intende per stato legittimo di un immobile? Quali difformità edilizie possono rientrare nelle tolleranze costruttive? Quando si può sanare un abuso edilizio e qual è la differenza tra la doppia conformità “piena” (o simmetrica) e quella “alleggerita” (o asimmetrica)?
Il Testo Unico Edilizia dopo il Salva Casa
Nel complesso panorama dell’edilizia italiana, il primo elemento da verificare, in sede progettuale o istruttoria, è sempre lo stato legittimo dell’immobile. La sua corretta ricostruzione documentale rappresenta una condizione imprescindibile per ogni intervento edilizio e per la regolarizzazione di eventuali difformità.
Con la Legge n. 105/2024 di conversione del D.L. n. 69/2024 (Salva Casa), il legislatore è intervenuto pesantemente sul d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia o TUE) partendo proprio dalla ricostruzione dello stato legittimo, passando per le tolleranze costruttive, fino ad arrivare alla definizione della nuova sanatoria semplificata.
Vediamo in che modo questi strumenti si intersecano, evidenziando i criteri da seguire per una corretta valutazione dei presupposti di regolarità urbanistica e di eventuale sanabilità degli abusi.
Stato legittimo dell’immobile: il punto di partenza
Il concetto di stato legittimo è definito dall’art. 9-bis, comma 1-bis, del d.P.R. n. 380/2001. Si tratta della condizione preliminare per l’avvio di qualsiasi intervento edilizio e per l’accesso a qualunque forma di sanatoria. Secondo la norma, lo stato legittimo è determinato:
- dal titolo che ha previsto o legittimato la costruzione dell’immobile;
- oppure dal titolo che ha disciplinato l’ultimo intervento sull’intero immobile o unità immobiliare,
- a condizione che l’Amministrazione abbia verificato la legittimità dei titoli pregressi.
Alla sua determinazione concorrono anche:
- i titoli rilasciati o formatisi in sanatoria (artt. 34-ter, 36, 36-bis, 38);
- il pagamento delle sanzioni (artt. 33, 34, 37, 38);
- le dichiarazioni tecniche sulle tolleranze costruttive (art. 34-bis).
Per immobili realizzati in epoca anteriore all’obbligo di titolo edilizio, è ammesso il ricorso a documentazione probante alternativa: estratti catastali storici, fotografie, cartografie, documenti d’archivio, purché con provenienza certa.
Tuttavia, la presenza di un titolo edilizio non comporta automaticamente la legittimità dell’immobile: questa va valutata in relazione ai contenuti del titolo, alla sua validità e alla verifica effettiva della sequenza dei titoli pregressi.
Le incongruenze: giurisprudenza vs MIT
Su questo punto si registra una divergenza rilevante tra l’orientamento giurisprudenziale e le recenti Linee guida del MIT del 30 gennaio 2025.
Con la sentenza 25 gennaio 2025, n. 227, il TAR Lombardia ha ribadito che:
“La circostanza che un’opera non legittima sia rappresentata in una pratica edilizia non può comportarne la regolarizzazione postuma. Anche un certificato di agibilità non è sufficiente a sanare irregolarità urbanistiche o edilizie.”
E ancora:
“Lo stato legittimo non può desumersi implicitamente dal rilascio di un nuovo titolo se l’amministrazione non ha verificato la legittimità dei titoli precedenti.”
Il principio affermato è chiaro: la verifica deve essere sostanziale e documentata, non solo dichiarata o presunta. Un titolo basato su una rappresentazione non veritiera dello stato di fatto non può generare legittimità, nemmeno se è stato rilasciato da tempo.
Diversamente, il MIT – nelle proprie Linee guida – ha affermato che:
“La verifica della legittimità dei titoli pregressi può ritenersi assolta se nella modulistica relativa all’ultimo titolo sono indicati gli estremi dei titoli precedenti, e l’Amministrazione non ha formulato osservazioni.”
In sostanza, viene introdotto un criterio di verifica presuntiva: la mancata contestazione da parte del Comune equivarrebbe a un silenzio-assenso sulla legittimità dei titoli pregressi.
Ma ciò, secondo la giurisprudenza, non è sufficiente a fondare lo stato legittimo, perché si tradurrebbe in una regolarizzazione implicita, non ammessa dalla norma e lesiva del principio di legalità.
Il contrasto è evidente: mentre la norma e la giurisprudenza richiedono una verifica sostanziale e tracciabile, le Linee guida sembrano ammettere una verifica formale e automatica, basata sulla sola presenza di riferimenti nella modulistica.
Dalle tolleranze alla sanatoria degli abusi
A questo punto si può passare all’attività di sopralluogo per verificare se lo stato legittimo corrisponde con lo stato di fatto. Eventuali difformità potrebbero rientrare all’interno delle nuove tolleranze costruttive di cui all’art. 34-bis del TUE che il Salva Casa ha copiosamente modificato.
Quando non si rientra nei margini delle tolleranze, l’intervento difforme può comunque essere regolarizzato se sussistono i presupposti di una delle seguenti procedure:
- Art. 34-ter TUE: Casi particolari di interventi eseguiti in parziale difformità dal titolo;
- Art. 36 TUE: Accertamento di conformità nelle ipotesi di assenza di titolo o totale difformità;
- Art. 36-bis TUE: Accertamento di conformità nelle ipotesi di parziali difformità e di variazioni essenziali;
- Art. 37 TUE: Interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività.
Sanatoria edilizia e doppia conformità: art. 36 vs. art. 36-bis
Dopo aver ricostruito correttamente lo stato legittimo dell’immobile ed escluso la possibilità di ricondurre l’intervento all’ambito delle tolleranze costruttive o tra i casi particolari di cui all’art. 34-ter, si apre la questione centrale: l’intervento può essere sanato? E se sì, quale procedura è applicabile?
Nel Testo Unico Edilizia, esistono due principali forme di accertamento di conformità, corrispondenti a due distinti regimi sanzionatori:
- l’art. 36, che rappresenta la tradizionale sanatoria fondata sulla doppia conformità piena;
- il più recente art. 36-bis, introdotto dal “Decreto Salva Casa”, che introduce un meccanismo semplificato per i casi specificamente individuati dal legislatore.
La differenza tra le due discipline risiede, in primo luogo, nella tipologia di difformità edilizia che ciascuna norma è chiamata a gestire. L’art. 36 si applica ai casi di abuso edilizio più gravi, ossia quelli realizzati in totale assenza di titolo abilitativo o in totale difformità dallo stesso. Sono le situazioni in cui l’opera, nella sua interezza, non trova alcuna corrispondenza con quanto assentito o dichiarato. Si pensi, ad esempio, alla costruzione di un edificio in assenza di permesso di costruire, oppure alla realizzazione di un ampliamento non previsto né autorizzato.
In queste ipotesi, per ottenere la regolarizzazione, l’intervento deve rispettare la doppia conformità “piena” o “simmetrica”, ovvero risultare conforme sia alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della sua realizzazione, sia a quella vigente al momento della presentazione della domanda. È questo il presupposto essenziale dell’art. 36, e la sua assenza comporta l’automatica inammissibilità della richiesta di sanatoria.
L’art. 36-bis, invece, è stato introdotto per disciplinare in modo specifico le ipotesi di interventi realizzati in parziale difformità, nonché le variazioni essenziali. Il nuovo impianto consente la regolarizzazione qualora l’intervento risulti conforme:
- alla disciplina urbanistica vigente al momento della domanda;
- alle norme edilizie vigenti all’epoca della realizzazione.
Si tratta quindi di un’estensione significativa della possibilità di regolarizzazione, che non riduce la gravità delle difformità, ma introduce un meccanismo differenziato per accertarne la compatibilità tecnico-urbanistica.
Tra le novità più rilevanti introdotte dall’art. 36-bis vi è la facoltà, per lo sportello unico, di subordinare il rilascio del titolo in sanatoria alla realizzazione di prescrizioni tecniche necessarie a garantire il rispetto delle normative settoriali, comprese quelle antisismiche, igienico-sanitarie o di sicurezza. Ciò rappresenta probabilmente l’aspetto più rilevante in considerazione della copiosa giurisprudenza formatasi sull’art. 36 che ha sempre escluso la “sanatoria con opere” (o sanatoria condizionata). Superato, dunque, il principio della sanatoria ordinaria per cui non è ammessa una sanatoria che si basi su lavori da realizzare successivamente per rendere l’intervento conforme.
Le due procedure si differenziano anche sul piano dei tempi e degli effetti procedurali:
- nel caso dell’art. 36, il Comune ha 60 giorni per pronunciarsi, decorso inutilmente il termine la domanda si intende respinta (silenzio-rigetto);
- l’art. 36-bis, invece, introduce una logica opposta: in assenza di provvedimento entro 45 giorni, la sanatoria si intende accolta (silenzio-assenso), salvo sospensioni istruttorie legate, ad esempio, alla richiesta di pareri paesaggistici.
Diversa è anche la disciplina dell’oblazione. La sanatoria ordinaria prevede il pagamento del doppio del contributo di costruzione, mentre l’art. 36-bis applica un sistema modulato.
Altri aspetti che rendono le due procedure completamente differenti riguardano:
l’accertamento di compatibilità sismica: escluso nell’art. 36 e previsto nel nuovo 36-bis;
l’accertamento di compatibilità paesaggistica anche in caso di aumento di volumi e superfici (in deroga all’art. 167, comma 4, D.Lgs. n. 42/2004).
In sintesi, la scelta tra i due regimi non è discrezionale, ma dipende dalla qualificazione giuridica dell’intervento, dalla gravità della difformità e dal rispetto dei requisiti di conformità nei tempi stabiliti. Per il tecnico incaricato è essenziale inquadrare correttamente l’abuso, conoscere la disciplina applicabile e predisporre un’istanza coerente e documentata, capace di reggere il confronto con un’istruttoria sempre più attenta, soprattutto nelle zone soggette a vincoli.
Conclusioni
Per valutare la sanabilità di un intervento edilizio difforme è necessario seguire un percorso tecnico-giuridico preciso:
- Accertare e documentare lo stato legittimo dell’immobile;
- Verificare se l’intervento rientra tra le tolleranze costruttive (art. 34-bis);
- Classificare correttamente il tipo di difformità;
- Stabilire il corretto regime di sanatoria (art. 34-ter, 36, 36-bis o 37);
- Dimostrare la doppia conformità nei termini richiesti dalla norma;
- Evitare ogni forma di sanatoria “con opere” non previste.
La normativa consente margini di regolarizzazione importanti, ma solo se affrontati con rigore tecnico e consapevolezza normativa.