Demolizione e ricostruzione: gli effetti dell’errata qualificazione dell’intervento

Il TAR Lombardia chiarisce i limiti della ristrutturazione edilizia e definisce il criterio della continuità costruttiva in caso di demolizione e ricostruzione

di Redazione tecnica - 07/05/2025

La demolizione e ricostruzione rappresenta, senza dubbio, una delle forme più incisive di intervento sul patrimonio edilizio esistente. È l’espressione più radicale del cosiddetto “recupero edilizio” e, allo stesso tempo, quella che più frequentemente solleva interrogativi interpretativi.

Quando, infatti, un intervento di demolizione e ricostruzione può essere qualificato come ristrutturazione edilizia? E quando, invece, si varca la soglia della nuova costruzione? Quanto incide il mantenimento delle preesistenze? Ma soprattutto: cosa accade se si presenta un’istanza di permesso di costruire qualificando l’intervento come ristrutturazione edilizia, quando in realtà si tratta di una nuova costruzione?

Qualificazione intervento di demolizione e ricostruzione: interviene il TAR

Domande tutt’altro che semplici, anche per i tecnici più esperti, complice una normativa in continua evoluzione. La definizione di “ristrutturazione edilizia” contenuta nell’art. 3, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia o TUE) è stata oggetto, nel tempo, di una stratificazione normativa che ha progressivamente ampliato il concetto, fino a ricomprendere anche interventi che, fino a qualche anno fa, sarebbero stati pacificamente considerati nuove costruzioni.

Tuttavia, la giurisprudenza amministrativa ha più volte ricordato che, anche nel quadro attuale, esistono limiti oltre i quali la ristrutturazione non può spingersi. In tal senso, merita attenzione la recente sentenza del TAR Lombardia n. 1133/2025, che affronta il tema con grande chiarezza e ci consente di riflettere su due aspetti centrali:

  • le conseguenze di un’errata qualificazione dell’intervento demoricostruttivo nell’ambito del permesso di costruire;
  • i requisiti tecnici e urbanistici necessari perché la demolizione e ricostruzione possa rientrare nella nozione di ristrutturazione edilizia.

A partire da questa pronuncia, è possibile ripercorrere in chiave operativa i criteri che permettono al tecnico di inquadrare correttamente l’intervento, valutando con attenzione il rapporto tra ciò che è preesistente e ciò che si intende realizzare.

Il caso

Il caso oggetto della sentenza riguarda la richiesta, da parte di una società proprietaria di un compendio immobiliare, di un permesso di costruire per un intervento qualificato come ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d) del TUE. L’intervento prevedeva la demolizione di una villa esistente, articolata su cinque livelli, e la ricostruzione di due nuovi corpi di fabbrica ad uso residenziale, ciascuno con quattro appartamenti, posizionati su sedime diverso rispetto all’edificio originario.

L’amministrazione comunale ha rigettato l’istanza, ritenendo che l’intervento non potesse essere qualificato come ristrutturazione edilizia, ma dovesse essere classificato come nuova costruzione. Da qui il diniego, motivato anche sulla base della errata quantificazione degli oneri di urbanizzazione e della mancata sottoscrizione della convenzione urbanistica per la cessione degli standard.

Il ricorso al TAR è stato fondato su alcune contestazioni specifiche, tra cui:

  • la convinzione che la qualificazione giuridica dell’intervento non incida sulla verifica di conformità ma, al più, sulla determinazione degli oneri: pertanto, secondo la ricorrente, il Comune avrebbe potuto comunque rilasciare il permesso, eventualmente qualificando autonomamente l’intervento come nuova costruzione;
  • la tesi secondo cui l’intervento avrebbe dovuto essere considerato ristrutturazione edilizia, trattandosi della trasformazione di un immobile esistente in stato di abbandono, con recupero della superficie lorda e modifica di sagoma e sedime, in conformità a quanto oggi consentito dall’art. 3, comma 1, lett. d) del TUE;
  • infine, il fatto che l’area in questione fosse già urbanizzata, e quindi l’intervento non avrebbe comportato consumo di nuovo suolo, uno degli obiettivi dichiarati della disciplina sulle ristrutturazioni demoricostruttive.

La qualificazione giuridica dell’intervento

In primo luogo, secondo il TAR, la qualificazione tecnico-giuridica dell’intervento non è un elemento formale, ma costituisce il presupposto sostanziale per determinare se l’intervento sia compatibile con le norme urbanistiche vigenti e per calcolare correttamente oneri e obblighi correlati.

In particolare:

  • l’amministrazione non può “correggere” la domanda del privato e rilasciare un titolo edilizio diverso da quello richiesto;
  • se l’intervento, pur formalmente qualificato come ristrutturazione, presenta elementi incompatibili con tale categoria, il Comune deve respingere l’istanza.

In questo caso, l’intervento prevedeva due nuovi edifici distinti, su area di sedime diversa, con caratteristiche architettoniche e planovolumetriche completamente nuove e un aumento significativo della superficie complessiva. Anche se l’incremento volumetrico era contenuto entro i limiti di premialità previsti dal PGT, l’assenza di continuità con l’edificio preesistente era evidente.

I limiti della ristrutturazione demoricostruttiva

Il TAR ha ribadito che, alla luce dell’attuale formulazione dell’art. 3, comma 1, lett. d) del TUE, la ristrutturazione edilizia può includere interventi con modifica di sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche, ma solo se l’edificio ricostruito mantiene un legame oggettivo con il fabbricato originario.

Non è sufficiente la sola presenza di un edificio preesistente: la ristrutturazione richiede la conservazione di caratteristiche fondamentali – come volume, sagoma, articolazione spaziale – che consentano di riconoscere l’intervento come evoluzione dell’esistente, e non come creazione ex novo.

Quando, invece, il risultato finale è un organismo edilizio completamente nuovo, diverso per forma, posizione e dimensione, non si può più parlare di ristrutturazione: ci si trova di fronte a una nuova costruzione, con tutte le conseguenze che ne derivano.

Le conseguenze operative

L’errata qualificazione dell’intervento ha comportato, tra le altre cose:

  • la non spettanza della riduzione del contributo di costruzione, prevista per le ristrutturazioni;
  • l’obbligo di convenzione urbanistica per la cessione degli standard;
  • l’inammissibilità della richiesta di permesso di costruire, in quanto fondata su presupposti non coerenti con la reale natura dell’intervento.

Il TAR ha, inoltre, confermato che il Comune ha agito correttamente nel contestare l’autoliquidazione degli oneri effettuata dalla società richiedente, basata sulla qualificazione errata dell’intervento.

L’obbligo di bonifica e le norme geologiche

La sentenza affronta anche un secondo profilo rilevante: l’obbligo di rimozione di un riporto di terra armata abusivo, presente sull’area in forza di una ordinanza del 2006 rimasta inattuata.

Il TAR ha chiarito che la società ricorrente, pur non responsabile dell’abuso, ha acquistato l’immobile all’asta con piena consapevolezza dell’obbligo di bonifica, espressamente riportato nel decreto di trasferimento. Di conseguenza, non può sottrarsi agli oneri derivanti dalla rimessione in pristino, che sono stati correttamente richiamati come condizione ostativa al rilascio del titolo edilizio.

A ciò si aggiunge che l’area è classificata dal PGT in classe di fattibilità geologica critica (PSL Z4a/Z5): in assenza di bonifica, l’intervento edificatorio è sospeso ex lege, secondo quanto previsto dalle norme geologiche comunali.

Conclusioni

La sentenza del TAR Lombardia rappresenta un punto fermo nella distinzione tra ristrutturazione edilizia e nuova costruzione. In sintesi:

  • l’intervento di demolizione e ricostruzione può rientrare nella ristrutturazione solo se sussiste una continuità oggettiva con l’edificio preesistente;
  • le modifiche di sagoma, sedime e prospetti sono ammissibili, ma non devono stravolgere l’identità dell’immobile originario;
  • quando l’intervento determina un organismo edilizio del tutto nuovo, si è di fronte a una nuova costruzione;
  • le qualificazioni edilizie non sono formali, ma determinano oneri, obblighi e presupposti urbanistici ben distinti;
  • le pregresse obbligazioni di bonifica restano a carico dell’acquirente, se così stabilito nell’atto di trasferimento, e incidono direttamente sulla possibilità di edificare.

Ricordiamo, infine, l’attuale formulazione dell’art. 3, comma 1, lettera d) del TUE (in corsivo le parti che riguardano la demolizione e ricostruzione, secondo la quale sono "interventi di ristrutturazione edilizia":

“gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sull'accessibilità, per l'istallazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento energetico. L'intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ad eccezione degli edifici situati in aree tutelate ai sensi degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142 del medesimo codice, nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria”.

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