Condono edilizio in area vincolata: niente sanatoria per gli abusi maggiori
Cosa dice il Consiglio di Stato su condono edilizio in zona vincolata, tolleranze costruttive e art. 36-bis del Testo Unico Edilizia? Analisi della sentenza del Consiglio di Stato n. 3593/2025.
Cosa succede quando si presenta un’istanza di condono edilizio in zona vincolata per interventi che comportano un aumento di superficie o volume? Come si applicano le tolleranze costruttive previste dall’art. 34-bis del Testo Unico Edilizia? E quale ruolo potrà giocare, in futuro, il nuovo art. 36-bis introdotto dal Decreto “Salva Casa”?
Condono edilizio in zona vincolata, tolleranze costruttive e Salva Casa: cosa chiarisce il Consiglio di Stato
A queste domande – centrali per professionisti, amministrazioni e operatori – prova a rispondere il Consiglio di Stato con la sentenza 28 aprile 2025, n. 3593, offrendo chiarimenti su tre aspetti chiave della normativa edilizia:
- la sanatoria straordinaria prevista dal terzo condono edilizio (D.L. n. 269/2003 convertito con Legge n. 326/2003);
- l’utilizzo delle tolleranze costruttive ex art. 34-bis del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia o TUE);
- la possibile applicazione dell’art. 36-bis TUE per le difformità parziali, introdotto con la Legge n. 105/2024 di conversione del D.L. n. 69/2024 (Salva Casa).
Sul primo punto ricordiamo che in Italia si sono susseguite 3 leggi speciali sul condono edilizio che hanno consentito, a determinate condizioni e in una limitata finestra temporale, di sanare interventi realizzati in assenza di titolo edilizio. Ma, mentre il primo condono di cui alla Legge n. 47/1985 è stato decisamente più permissivo, il terzo condono di cui al D.L. n. 269/2003 ha imposto condizioni sulle quali si è formato un fiume di giurisprudenza (soprattutto per quel che riguarda l’inapplicabilità nelle zone a vincolo relativo).
Relativamente alle tolleranze, è stato numerosamente chiarito che le stesse riguardano il mancato rispetto delle misure progettuali previste dal titolo edilizio e non eventuali ampliamenti successivi.
Sulle possibilità di sanatoria semplificata ai sensi del nuovo art. 36-bis, sarà certamente necessario attendere che l’aggiornamento della modulistica edilizia incentivi la presentazione delle istanze e che si formi una giurisprudenza che possa evidenziarne i contorni (certamente molto sfumati).
Terzo condono edilizio e vincoli
La vicenda oggetto del nuovo intervento dei giudici di Palazzo Spada riguarda quattro dinieghi di condono edilizio adottati per altrettanti abusi realizzati su un complesso commerciale sito in area plurivincolata. Gli interventi – tra cui ampliamenti significativi e un locale tecnico – erano stati oggetto di istanza di condono ex d.l. n. 269/2003 (c.d. “terzo condono”).
Secondo la giurisprudenza consolidata, le opere realizzate in zona vincolata possono essere condonate solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni:
- siano anteriori al vincolo;
- siano conformi urbanisticamente;
- si tratti di interventi minori (es. manutenzione straordinaria, restauro, risanamento conservativo);
- sia stato acquisito il parere dell’Autorità preposta al vincolo.
In caso di abusi “maggiori”, cioè quelli che comportano aumento di volume o superficie, la sanatoria è sempre esclusa, indipendentemente dal tipo di vincolo (assoluto o relativo)
Tra le altre cose, infatti, l’art. 32, comma 27, del D.L. n. 269/2003 dispone che le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.
Tolleranze costruttive: quando si applicano e quando no
Dopo la conferma di 3 delle 4 istanze di condono edilizio sulla base degli incrementi di volume in area vincolata, il Consiglio di Stato si è soffermato sulla doglianza secondo cui l’aumento di superficie dissentito con il quarto diniego (ampliamento di un capannone preesistente destinato ad attività commerciale) avrebbe dimensioni modeste complessivamente inferiori rispetto al 2% del capannone originariamente assentito.
I giudici hanno confermato che a nulla vale l’argomentazione della “modesta entità” dell’ampliamento: la soglia del 2% prevista per le tolleranze di cui all’art. 34-bis TUE si applica solo in presenza di un permesso di costruire preesistente. In questo caso, l’intervento era su un immobile già condonato, quindi il margine di tolleranza non è applicabile.
In primo luogo perché il limite del 2% previsto dall’art. 34-bis del d.P.R. 380/2001 riguarda soltanto le c.d. “tolleranze di cantiere” rinvenienti dal mancato rispetto di misure progettuali previste da un permesso edilizio previamente rilasciato ai sensi del d.P.R. n. 380 del 2001; nel caso di specie, invece, l’ampliamento abusivo non è stato effettuato su un capannone preventivamente assistito da un permesso edilizio, bensì su un capannone che era stato – esso stesso – oggetto di condono (risulta ex actis, invero, che il capannone abusivo era stato condonato nel 1998).
In secondo luogo perché l’abuso in questione non può essere completamente svincolato e separato dagli altri due abusi realizzati nello stesso luogo, bensì va considerato congiuntamente ad essi, ciò in ossequio al consolidato insegnamento del Consiglio di Stato secondo cui “la valutazione dell’abuso edilizio dev’essere conseguita tenendo conto dell’immobile o del complesso immobiliare nella sua interezza, in quanto il frazionamento dei singoli interventi non consentirebbe di avere una visione totale dell’impatto che l’opera produce sull’assetto territoriale”.
La valutazione globale dei tre abusi in contestazione consente sicuramente di superare il limite del 2%.
Volume tecnico e condono edilizio: due orientamenti a confronto
Diverso l’esito per il cosiddetto “locale bussola”, realizzato come filtro termico all’ingresso. Uno dei dinieghi di condono riguardava la realizzazione di una piccola struttura in vetro e muratura di circa 10 mq, posta all’ingresso di un immobile commerciale. La ricorrente l’ha qualificata come bussola d’ingresso, un vano tecnico progettato per regolare gli sbalzi termici tra interno ed esterno, privo di autonoma utilizzabilità e funzionalmente accessorio all’edificio.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto fondate queste argomentazioni, sottolineando come il manufatto presenti tutte le caratteristiche che la giurisprudenza riconosce al volume tecnico:
- assenza di destinazione autonoma;
- funzione servente;
- inidoneità all’uso abitativo;
- consistenza limitata.
Sulla base della documentazione prodotta, ha quindi annullato il diniego, disponendo una nuova valutazione dell’istanza da parte dell’amministrazione.
La decisione è particolarmente significativa perché si inserisce all’interno di un più ampio dibattito giurisprudenziale sul tema della condonabilità dei volumi tecnici in area vincolata, dove esistono due orientamenti contrapposti.
Secondo un primo orientamento, consolidato in diverse pronunce del Consiglio di Stato, i concetti di superficie utile e incremento volumetrico ai fini paesaggistici e condonistici devono essere interpretati in coerenza con la normativa urbanistica ed edilizia (d.P.R. n. 380/2001). In tale ottica:
- i volumi tecnici, in quanto privi di autonomia funzionale e destinati esclusivamente a esigenze impiantistiche o di servizio, non costituiscono incremento di volume rilevante;
- di conseguenza, non ostano alla sanabilità degli abusi in area vincolata, se ricadenti nelle tipologie minori previste dal d.l. n. 269/2003.
Questo orientamento valorizza il principio della coerenza sistematica e considera illogico escludere dal condono opere che potrebbero, per ipotesi, ottenere un'autorizzazione paesaggistica postuma.
Un orientamento più rigoroso adotta invece un approccio autonomo della disciplina paesaggistica. In base a questa impostazione:
- qualsiasi nuovo volume, anche se tecnico, è considerato rilevante ai fini paesaggistici, in quanto modifica percepibile del contesto tutelato;
- di conseguenza, non è ammessa né autorizzazione paesaggistica postuma né condono per opere che abbiano comportato incremento di volume, indipendentemente dalla destinazione.
Questa visione si fonda su una lettura formale della normativa (art. 167 del D.Lgs. n. 42/2004 e art. 32 del D.L. n. 269/2003), che non distingue tra tipologie di volume e impone una tutela stringente del paesaggio.
Nella nuova sentenza n. 3593/2025, il Consiglio di Stato ha scelto consapevolmente di aderire al primo orientamento, riaffermando che il volume tecnico non costituisce incremento volumetrico urbanisticamente rilevante e, pertanto, non impedisce il rilascio del condono edilizio in area vincolata. In particolare:
- la bussola realizzata all’ingresso è un’opera accessoria, strumentale e funzionale alla fruizione dell’edificio;
- non è suscettibile di autonoma utilizzazione;
- è coerente con le finalità del risanamento conservativo di cui all’art. 3, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 380/2001.
Secondo i giudici, negare il condono in casi come questo condurrebbe a risultati contraddittori, come il possibile rilascio dell’autorizzazione paesaggistica postuma per un’opera che, allo stesso tempo, verrebbe considerata insanabile in sede condonistica. Una lettura sistematica della normativa impone invece una valutazione coerente, fondata sulla natura effettiva dell’intervento e sul suo impatto reale sul paesaggio.
Il riferimento all’art. 36-bis: uno spiraglio futuro?
Un passaggio cruciale della sentenza è quello in cui il Collegio, pur confermando l’illegittimità dei dinieghi per gli abusi maggiori, lascia impregiudicata la possibilità di eventuali sopravvenienze procedimentali e provvedimentali fondate sul nuovo art. 36-bis TUE, introdotto dal d.l. n. 69/2024 (“Salva Casa”).
“Impregiudicata tuttavia la possibilità di eventuali sopravvenienze […] che dovessero basarsi, laddove applicabile, sulla normativa contenuta nel nuovo art. 36-bis del d.P.R. n. 380 del 2001…” recita la sentenza. Si tratta di una clausola di apertura, utile a tenere aperta la porta a eventuali modifiche del quadro normativo applicabile, purché successive al giudicato.
Conclusioni
Il nuovo intervento del Consiglio di Stato rappresenta un punto di riferimento importante per tecnici, amministrazioni e operatori del diritto chiamati a orientarsi tra norme speciali, vincoli paesaggistici e sanatorie edilizie.
In particolare:
- gli abusi “maggiori” in area vincolata (cioè quelli che comportano incremento di volume o superficie utile) restano insanabili ex lege in base al terzo condono, senza margini interpretativi;
- i volumi tecnici, se effettivamente serventi, non autonomamente utilizzabili e coerenti con le definizioni giurisprudenziali, possono rientrare tra gli abusi “minori” sanabili anche in ambito vincolato, a condizione che siano rispettati i requisiti richiesti;
- le tolleranze costruttive non sono un salvagente universale: operano solo in presenza di un titolo edilizio legittimo e non possono essere usate per sanare ampliamenti autonomi o strutture abusive su immobili già condonati;
- il nuovo art. 36-bis TUE, introdotto con il Decreto “Salva Casa”, apre a una potenziale sanatoria semplificata per le difformità parziali, ma resta per ora un’opzione da esplorare nel futuro, in attesa di consolidamenti giurisprudenziali e procedimentali.
Nel complesso, questa decisione rafforza un principio già affermato in altre pronunce: il diritto edilizio non può essere interpretato a compartimenti stagni, ma va letto in chiave sistemica, considerando la coerenza tra discipline contigue (urbanistica, edilizia e paesaggio) e valorizzando la natura sostanziale degli interventi più che la loro mera qualificazione formale.
Dal punto di vista operativo, si ribadisce l’importanza di un’analisi caso per caso, fondata non solo sulla documentazione progettuale, ma anche sulla funzione effettiva delle opere e sull’impatto che esse generano sull’assetto territoriale e paesaggistico. Per i tecnici incaricati di sanatorie o accertamenti di conformità, sarà sempre più centrale valutare:
- la struttura giuridico-funzionale dell’intervento (è autonomamente fruibile? è coerente con l’organismo edilizio?);
- il contesto normativo specifico (epoca di costruzione, tipo di vincolo, esistenza di precedenti titoli);
- la possibilità di ricondurre l’opera a interventi “minori”, anche tramite una corretta qualificazione edilizia e una chiara ricostruzione dello stato legittimo.
Il futuro dell’art. 36-bis, infine, potrà cambiare il quadro, ma solo se sarà sostenuto da una modulistica aggiornata, da istruttorie coerenti e da una giurisprudenza in grado di delinearne confini e limiti.
Documenti Allegati
Sentenza Consiglio di Stato 28 aprile 2025, n. 3593