Distanze tra fabbricati: la Cassazione sugli interventi di demolizione e ricostruzione

La Suprema Corte ricorda che, in caso di modifiche planivolumetriche, vanno valutate alla luce dello ius superveniens le condizioni in cui un edificio ricostruito possa godere delle distanze preesistenti

di Redazione tecnica - 11/05/2025

La corretta applicazione della disciplina sulle distanze tra fabbricati, soprattutto in caso di interventi edilizi che implicano demolizione e ricostruzione, rappresenta un tema di particolare complessità in materia di edilizia e urbanistica, tenendo anche conto dell’evoluzione normativa che ha interessato negli anni la disciplina di riferimento.

Distanze tra fabbricati: come valutarle in caso di interventi di demolizione e ricostruzione?

Lo dimostra la recente sentenza della Cassazione del 29 aprile 2025, n. 11262, con cui la Suprema Corte ha evidenziato la necessità di rivalutare, alla luce dello ius superveniens, le condizioni in cui un edificio ricostruito possa godere delle distanze preesistenti anche qualora l'intervento abbia comportato modifiche planivolumetriche.

Il contenzioso nasce dall’azione di un privato contro una società di costruzioni, che ha realizzato manufatti nel sottosuolo in prossimità del confine, violando le distanze legali, sia con riguardo al limite di confine che alle pareti finestrate. I giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, hanno rigettato il ricorso, ritenendo che l’intervento non rientrasse tra le nuove costruzioni soggette al rispetto dei 10 metri imposti dal DM n. 1444/1968, ma potesse considerarsi ristrutturazione edilizia su sedime esistente, ancorché con alcune modifiche.

In particolare la Corte d’Appello aveva sostenuto che:

  • i volumi ricostruiti erano inferiori rispetto al preesistente;
  • la distanza tra i fabbricati era aumentata;
  • la deroga pattizia tra le parti e l’assenso informale acquisito escludevano la violazione del diritto.

I dubbi della Cassazione

La Cassazione, pur condividendo alcuni presupposti, ha affermato che il caso andrebbe valutato alla luce delle modifiche normative intervenute, in particolare attraverso lo ius superveniens. Infatti, secondo costante orientamento della giurisprudenza in materia, l’intervento normativo successivo favorevole al costruttore (purché l’edificio sia ultimato) rende legittima una costruzione che, altrimenti, sarebbe stata illegittima al momento della sua realizzazione.

Ed è qui che entra in gioco la qualificazione giuridica degli interventi di demolizione e ricostruzione: la distinzione tra “nuova costruzione” e “ristrutturazione edilizia” ha infatti effetti diretti sulla necessità o meno di rispettare le distanze legali.

Nel tempo si è assistito a una progressiva evoluzione normativa, finalizzata a incentivare il recupero del patrimonio edilizio esistente, con importanti riflessi anche sul tema delle distanze. Vediamo le principali tappe evolutive.

 

Ristrutturazione, demolizione e ricostruzione: le principali tappe evolutive

Sono numerose le norme che hanno apportato modifiche al Testo Unico Edilizia, ampliando il concetto di ristrutturazione agli interventi di demolizione e ricostruzione.

D.L. n. 69/2013

Ha modificato l’art. 3 del T.U. Edilizia (d.P.R. n. 380/2001), ricomprendendo nella ristrutturazione edilizia gli interventi di demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria, anche senza il rispetto della sagoma originaria. Questo ha aperto alla possibilità di ricostruire edifici con forme diverse, purché non si alterasse il volume esistente

D.L. n. 32/2019, convertito nella Legge n. 55/2019

Ha introdotto il comma 1-ter all’art. 2-bis del d.P.R. n. 380/2001, stabilendo che in ogni caso di demolizione e ricostruzione, l’intervento è consentito nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti, a condizione che:

  • l’edificio ricostruito coincida con area di sedime e volume dell’edificio demolito;
  • venga rispettata l’altezza massima dell’edificio originario.

​Legge n. 120/2020 (D.L. Semplificazioni)

Ha ulteriormente ampliato la nozione di “ristrutturazione edilizia”, includendo anche gli interventi con modifiche di sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche.
Il nuovo testo dell’art. 3, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 380/2001 consente, oggi, di realizzare demolizioni e ricostruzioni anche con incrementi volumetrici (nei limiti della normativa vigente o degli strumenti urbanistici) e con variazioni significative dell’aspetto dell’edificio, pur mantenendo la qualifica di ristrutturazione edilizia.

 

Il concetto chiave: distanza legittimamente preesistente

L’art. 2-bis, comma 1-ter del T.U. Edilizia oggi stabilisce che "in ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici […], la ricostruzione è comunque consentita nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti […], anche con ampliamenti fuori sagoma e superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito."

Questo significa che il principio delle distanze legittimamente preesistenti si consolida come criterio guida, anche per interventi che comportano modifiche rilevanti, purché l’edificio originario fosse legittimo al momento della demolizione.

Tale principio si pone come elemento di raccordo tra esigenze di rigenerazione urbana e tutela degli interessi dei confinanti. Attenzione però: se il nuovo edificio non rispetta la posizione o il volume preesistente, o se mancano gli estremi per qualificare l’intervento come ristrutturazione, ritorna in campo l’obbligo di rispettare le distanze minime di 10 metri imposte dal D.M. 1444/1968.

 

La decisione della Cassazione: rispetto delle distanze e verifica in sede di rinvio

Nel caso esaminato, la Suprema Corte ha affermato che non è sufficiente una riduzione volumetrica o l’assenso informale delle parti per escludere l’obbligo di rispettare le distanze di legge. Sarà quindi compito del giudice di rinvio verificare:

  • se l’intervento configuri una vera ristrutturazione edilizia, conforme alle definizioni attuali;
  • se vi sia stata una reale coincidenza di sedime e volume, oppure una deviazione tale da far scattare i vincoli dell’art. 9, D.M. 1444/1968.

Da questo punto di vista, concludono gli ermellini cassando la sentenza d’appello con rinvio per nuovo giudizio, la preesistenza legittima dell’immobile demolito è il presupposto che consente la ricostruzione sul filo delle distanze originarie. Se tale continuità viene meno, si ricade nel regime ordinario, che impone distacchi minimi non derogabili.

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