Cambio di destinazione d’uso e contributo di costruzione: il Consiglio di Stato sul termine di decadenza
Il Consiglio di Stato chiarisce i limiti dell'art. 16, comma 3, del Testo Unico Edilizia, relativamente al contributo di costruzione per cambio di destinazione d’uso
Entro quando l’Amministrazione può richiedere il contributo di costruzione? Il termine di 60 giorni previsto dal Testo Unico Edilizia opera anche nei confronti del Comune? Può il privato invocare un affidamento legittimo fondato sul decorso del tempo?
Cambio di destinazione d’uso e contributo di costruzione: la sentenza del Consiglio di Stato
Queste sono solo alcune delle domande che affiorano nei casi in cui, a distanza di tempo dal rilascio del titolo edilizio o dalla fine dei lavori, il Comune procede alla determinazione e richiesta del contributo di costruzione. A fare chiarezza su questo tema è intervenuto il Consiglio di Stato con la sentenza 8 maggio 2025, n. 3938, che offre spunti di grande interesse per tecnici e amministrazioni, soprattutto nella parte in cui analizza il significato dell’art. 16, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia o TUE).
Il comma 3, art. 16, del TUE dispone: “La quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all'atto del rilascio, è corrisposta in corso d'opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione della costruzione”. Oltre questi 60 giorni, l’amministrazione può sempre richiedere il costo di costruzione?
Nel caso oggetto del nuovo intervento del Consiglio di Stato, l’Amministrazione comunale aveva richiesto il pagamento del contributo di costruzione in seguito a un cambio di destinazione d’uso (da ufficio a negozio), ritenendo che tale trasformazione comportasse un aumento del carico urbanistico, con conseguente obbligo di corrispondere la quota parte dovuta ai sensi dell’art. 16 TUE.
Il soggetto interessato aveva contestato l’atto deducendo, tra l’altro, che la richiesta fosse tardiva, essendo trascorsi oltre 60 giorni dall’ultimazione dell’intervento. Secondo questa impostazione, l’Amministrazione sarebbe decaduta dal potere di determinare il contributo, anche in virtù di un affidamento formatosi nel tempo.
La risposta del Consiglio di Stato
Nel cuore motivazionale della pronuncia, il Consiglio di Stato esclude in modo netto che il termine di 60 giorni previsto dall’art. 16, comma 3, del TUE possa essere letto come termine decadenziale per l’Amministrazione.
Tale norma – chiarisce il Collegio – si riferisce esclusivamente al termine entro il quale il soggetto titolare del titolo edilizio è tenuto a versare la quota relativa al costo di costruzione, e ciò “in corso d’opera e comunque non oltre 60 giorni dalla ultimazione dei lavori”. Si tratta, dunque, di un termine che riguarda il soggetto obbligato, non la Pubblica Amministrazione.
Pertanto, anche a distanza di tempo dal fine lavori, l’Ente può legittimamente quantificare e richiedere gli importi dovuti, purché ciò avvenga nel rispetto dei presupposti normativi e regolamentari.
La natura del contributo
Richiamando l’Adunanza Plenaria n. 12/2018, la sentenza ricorda che il contributo di costruzione è una prestazione patrimoniale imposta, la cui disciplina rientra nel novero delle misure di partecipazione del privato al costo collettivo della trasformazione urbana.
L’obbligo sorge per effetto del titolo abilitativo, a prescindere dall’esecuzione materiale delle opere, e si basa su parametri oggettivi (costo di costruzione e oneri di urbanizzazione), definiti da fonti regolamentari comunali e regionali.
A questa natura si ricollega anche un’importante affermazione: non è configurabile un legittimo affidamento del privato tale da inibire la pretesa pubblica, salvo ipotesi eccezionali in cui si dimostri una concreta impossibilità di accedere alle informazioni necessarie per conoscere l’eventuale debito. E nel caso esaminato, tali condizioni non risultano verificate.
L’atto ricognitivo e l’inapplicabilità dell’autotutela
Un ulteriore chiarimento riguarda la natura dell’atto con cui l’Amministrazione determina il contributo dovuto. Si tratta, secondo il Consiglio di Stato, di un atto privo di discrezionalità amministrativa, avente natura meramente ricognitiva. Di conseguenza, non si applica il regime dell’autotutela amministrativa, né si può parlare di un potere che si consuma nel tempo per mancato esercizio.
Non si è, dunque, in presenza di un provvedimento autoritativo, bensì di un atto connesso a un’obbligazione legale che discende direttamente dalla legge e dai regolamenti comunali.
L’art. 16 del d.P.R. n. 380/2001 stabilisce che il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato:
- agli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria (commi 1, 2 e 4);
- al costo di costruzione (comma 3), da versare “in corso d’opera, non oltre 60 giorni dalla ultimazione della costruzione”.
Tale norma non stabilisce alcun termine perentorio in capo all’Amministrazione per la determinazione degli importi. Al contrario, pone l’onere del rispetto del termine in capo al soggetto obbligato.
Conclusioni
Il Consiglio di Stato fornisce indicazioni chiare per la gestione dei rapporti tra operatori e Amministrazioni in materia di contributo di costruzione:
- il termine di 60 giorni non è decadenziale per il Comune;
- l’atto ricognitivo è sempre adottabile, in assenza di limiti temporali;
- non è configurabile un affidamento tutelabile, salvo eccezioni rigorose;
- il titolo edilizio è la fonte dell’obbligazione, e va valutato con attenzione in fase di rilascio.
Documenti Allegati
Sentenza Consiglio di Stato 8 maggio 2025, n. 3938