Terzo Condono edilizio: la prevalenza dei vincoli sulla sanabilità delle opere

Il TAR Lazio conferma l'inammissibilità della sanatoria per cambio d’uso e ampliamento, anche se l’abuso è stato commesso prima dell’apposizione del vincolo.

di Redazione tecnica - 12/05/2025

L’istituto del condono edilizio è stato più volte definito dalla Corte costituzionale come misura eccezionale e temporalmente limitata, strettamente subordinata a un principio di ragionevolezza e compatibilità costituzionale.

Ciò vale anche in riferimento al c.d. “Terzo Condono”, disciplinato dal D.L. n. 269/2003, convertito dalla legge n. 326/2003, che ha recepito molti degli elementi contenuti nelle due leggi precedenti (L. n. 47/1985 e L. n. 724/1994), mantenendone l’impianto e limitandosi ad alcune innovazioni. Il comma 25 dell’art. 32 stabilisce espressamente che trovano applicazione le disposizioni dei Capi IV e V della L. 47/1985, come modificate dall’art. 39 della L. 724/1994.

Terzo Condono Edilizio: il ruolo dei vincoli nella sanabilità degli abusi

Ma è il comma 27 a introdurre un importante limite: sono escluse dalla sanatoria le opere abusive realizzate in aree soggette a vincoli paesaggistici, ambientali o di altro tipo, se l’intervento è incompatibile con i valori protetti dal vincolo e se non è stato acquisito l’assenso dell’autorità preposta alla tutela.

In quest’ambito si innesta l’autonomia regionale. La giurisprudenza costituzionale ha chiarito che le Regioni possono introdurre previsioni più restrittive in materia di condono edilizio, pur senza ampliare l’ambito oggettivo della sanatoria. Questa facoltà si giustifica nel bilanciamento di interessi costituzionalmente protetti, come quelli ambientali e paesaggistici.

Conferma ne è la sentenza del TAR Lazio del 6 maggio 2025, n. 8692, in relazione al rigetto di un’istanza di sanatoria presentata proprio  sensi del cosiddetto “terzo condono”, per la realizzazione di opere abusive consistenti nel cambio di destinazione d’uso da soffitta ad abitazione e relativo ampliamento.

 

Vincoli apposti successivamente: possono impedire il condono

Nel caso trattato, il diniego di condono è stato fondato sulla L.R. Lazio n. 12/2004, che all’art. 3, comma 1, lettera b), vieta espressamente la sanatoria per le opere abusive "realizzate, anche prima dell’apposizione del vincolo, [...] in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, su immobili soggetti a vincoli [...] a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette”. La norma regionale, quindi, estende il limite di incondonabilità anche a interventi realizzati prima dell’apposizione del vincolo, purché privi di conformità urbanistica e senza titolo edilizio.

Nel ricorso, parte ricorrente aveva eccepito che i vincoli esistenti sull’area avessero natura relativa e non assoluta, e che ciò avrebbe dovuto comportare non un rigetto automatico, ma la necessità per il Comune di acquisire il parere vincolante dell’autorità preposta alla tutela, in linea con l’art. 32, comma 27, d.l. 269/2003.

Sì a normative regionali più restrittive

Il TAR ha ritenuto il diniego di condono legittimo, in quanto conforme ai principi costituzionali, ribadendo che la Regione può legittimamente restringere l’ambito del condono statale per garantire una maggiore tutela del paesaggio, della biodiversità e dei valori storico-archeologici.

Nel caso di specie sussistevano due distinti vincoli: uno archeologico di matrice statale e uno paesaggistico di natura regionale, entrambi ostativi alla concessione del condono ai sensi della L.R. 12/2004. Dunque, la presenza anche di un solo vincolo rientrante tra quelli qualificati come causa di esclusione automatica è sufficiente a giustificare il rigetto della domanda di sanatoria.

Conclusioni tecniche e operative

Il ricorso è stato quindi respinto, confermando che in presenza di vincoli ambientali o paesaggistici, per abusi maggiori il rilascio del condono ex l. n. 326/2003 non è possibile e che le Regioni, nel pieno esercizio della loro competenza legislativa concorrente, possono legittimamente introdurre regole più restrittive, come ha fatto il Lazio con la L.R. n. 12/2004.

A questo proposito, il TAR ha chiarito che la preesistenza dell’abuso rispetto al vincolo non esclude di per sé l’incondonabilità, se la normativa regionale stabilisce esplicitamente un limite in tal senso.

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