Astensione e referendum 2025: perché votare è ancora un dovere civico

Astensione, disillusione politica e partecipazione al voto: perché è fondamentale andare alle urne l'8 e 9 giugno per i 5 referendum abrogativi del 2025.

di Gianluca Oreto - 21/05/2025

Scriviamolo senza giri di parole: il vero problema non è scegliere se votare a favore o contro i quesiti referendari. Il nodo sta altrove, ed è molto più scomodo.

La politica - tutta, trasversalmente - si è trasformata in un sistema autoreferenziale, chiuso, opaco. Un meccanismo che non ha più l’obiettivo di coinvolgere, ma quello di sopravvivere a sé stesso: tra poltrone, tatticismi, slogan di facciata e mosse studiate solo per non perdere consenso. In un contesto del genere, diventa sempre più difficile che le persone competenti, serie, dotate di senso critico decidano di mettersi in gioco. Non perché manchino idee o strumenti. Ma perché il sistema non li accoglie. Li espelle.

È una visione amara, certo. Gattopardiana. Ma, purtroppo, realistica. E i dati sull’affluenza lo dimostrano: la fiducia è ai minimi storici.

E oggi? C’è chi - per convenienza - prova a far passare l’idea che l’astensione sia comunque una forma di espressione politica. Che non votare, in fondo, sia un modo per dire la propria.
Falso. Pericolosamente falso.

Attenzione: il colore politico di chi sostiene l’astensione è irrilevante. Oggi è la destra, ieri è stata la sinistra, domani chissà.
Ma la sostanza non cambia: non votare non è mai una forma di partecipazione. È semplicemente rinunciare, disinteressarsi. È lasciare che siano altri a decidere al tuo posto.

E quando a disertare le urne sono proprio le persone più consapevoli, quelle che avrebbero strumenti e visione per incidere davvero, il danno è doppio. Perché a quel punto restano solo i più rumorosi, i più interessati a difendere lo status quo, i meno attrezzati per costruire futuro. E questi si muoveranno indisturbati. Senza ostacoli. Senza domande. Senza contraddittorio.

Ecco perché non bisogna cedere. Non bisogna rassegnarsi. Non bisogna smettere di votare.

Votare:

  • è partecipare alla vita democratica del Paese;
  • è esercitare un diritto che è anche un dovere;
  • è ricordare che la democrazia non funziona da sola: ha bisogno di presenza, confronto, decisione.

L’8 e il 9 giugno andiamo tutti a votare. Perché l’astensione non è mai una risposta.

E perché ogni volta che rinunciamo al voto, ci allontaniamo un po’ di più dall’idea stessa di rappresentanza.

I 5 referendum del 2025: cosa si vota

I referendum sono stati indetti con cinque decreti del Presidente della Repubblica del 25 marzo 2025, pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale n. 75 del 31 marzo 2025:

  1. Indizione del referendum popolare abrogativo avente la seguente denominazione: «Contratto di lavoro a tutele crescenti - Disciplina dei licenziamenti illegittimi: Abrogazione»;
  2. Indizione del referendum popolare abrogativo avente la seguente denominazione: «Piccole imprese - Licenziamenti e relativa indennità: Abrogazione parziale»;
  3. Indizione del referendum popolare abrogativo avente la seguente denominazione: «Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi»;
  4. Indizione del referendum popolare abrogativo avente la seguente denominazione: «Esclusione della responsabilità solidale del committente, dell'appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici: Abrogazione»;
  5. Indizione del referendum popolare abrogativo avente la seguente denominazione: «Cittadinanza italiana: Dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana».

Nei seguenti paragrafi una sintesi dei quesiti, con l’indicazione puntuale delle norme di cui si chiede l’abrogazione.

Referendum n. 1: Contratto a tutele crescenti

Il primo referendum “Contratto di lavoro a tutele crescenti - Disciplina dei licenziamenti illegittimi: Abrogazione” pone il seguente quesito:

Volete voi l'abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, come modificato dal d.l. 12 luglio 2018, n. 87, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2018, n. 96, dalla sentenza della Corte costituzionale 26 settembre 2018, n. 194, dalla legge 30 dicembre 2018, n. 145; dal d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, dal d.l. 8 aprile 2020, n. 23, convertito con modificazioni dalla L. 5 giugno 2020, n. 40; dalla sentenza della Corte costituzionale 24 giugno 2020, n. 150; dal d.l. 24 agosto 2021, n. 118, convertito con modificazioni dalla L. 21 ottobre 2021, n. 147; dal d.l. 30 aprile 2022, n. 36, convertito con modificazioni dalla L. 29 giugno 2022, n. 79 (in G.U. 29/06/2022, n. 150); dalla sentenza della Corte costituzionale 23 gennaio 2024, n. 22; dalla sentenza della Corte costituzionale del 4 giugno 2024, n. 128, recante "Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183" nella sua interezza?”.

Il quesito prevede l’abrogazione integrale del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, che ha introdotto le tutele crescenti per i lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore del Jobs Act.

Referendum n. 2: Licenziamenti nelle piccole imprese

Il secondo referendum “Piccole imprese - Licenziamenti e relativa indennità: Abrogazione parziale” pone il seguente quesito:

Volete voi l'abrogazione dell'articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante "Norme sui licenziamenti individuali", come sostituito dall'art. 2, comma 3, della legge 11 maggio 1990, n. 108, limitatamente alle parole: "compreso tra un", alle parole "ed un massimo di 6" e alle parole "La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro."?”.

Il quesito prevede l’abrogazione parziale dell’art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, nella parte in cui disciplina l’indennità risarcitoria in caso di licenziamento illegittimo nelle aziende con meno di 15 dipendenti.

Di seguito il testo del citato art. 8 (in grassetto le parti che si chiede di abrogare):

Quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti. La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro”.

Referendum n. 3: Contratti a termine

Il terzo referendum “Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi” pone il seguente quesito:

Volete voi che sia abrogato il d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, avente ad oggetto "Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell'art. 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183" limitatamente alle seguenti parti: Articolo 19, comma 1, limitatamente alle parole "non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque", alle parole "in presenza di almeno una delle seguenti condizioni", alle parole "in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2025, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti;" e alle parole "b-bis)"; comma 1-bis, limitatamente alle parole "di durata superiore a dodici mesi" e alle parole "dalla data di superamento del termine di dodici mesi"; comma 4, limitatamente alle parole ", in caso di rinnovo," e alle parole "solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi"; Articolo 21, comma 01, limitatamente alle parole "liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente,"?”.

Il quesito prevede l’abrogazione parziale del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, limitatamente alle disposizioni che fissano il limite massimo di 12 mesi per i contratti a termine e i vincoli per proroghe e rinnovi.

Di seguito le parti che si chiede di abrogare (in grassetto le parti che si chiede di abrogare).

Art. 19, comma 1Al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque non eccedente i ventiquattro mesi, solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni:

a) nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all'articolo 51;

b) in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2025, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti;

b-bis) in sostituzione di altri lavoratori.

Art. 19, comma 1-bisIn caso di stipulazione di un contratto di durata superiore a dodici mesi in assenza delle condizioni di cui al comma 1, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di superamento del termine di dodici mesi.

Art. 19, comma 4: Con l'eccezione dei rapporti di lavoro di durata non superiore a dodici giorni, l'apposizione del termine al contratto è priva di effetto se non risulta da atto scritto, una copia del quale deve essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore entro cinque giorni lavorativi dall'inizio della prestazione. L'atto scritto contiene, in caso di rinnovo, la specificazione delle esigenze di cui al comma 1 in base alle quali è stipulato; in caso di proroga e di rinnovo dello stesso rapporto tale indicazione è necessaria solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi.

Art. 21, comma 01: Il contratto può essere prorogato e rinnovato liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente, solo in presenza delle condizioni di cui all'articolo 19, comma 1. In caso di violazione di quanto disposto dal primo periodo, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato. I contratti per attività stagionali, di cui al comma 2 del presente articolo, possono essere rinnovati o prorogati anche in assenza delle condizioni di cui all'articolo 19, comma 1.

Referendum 4: Appalti e responsabilità solidale

Il quarto referendum “Esclusione della responsabilità solidale del committente, dell'appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici: Abrogazione” pone il seguente quesito:

Volete voi l'abrogazione dell'art. 26, comma 4, in tema di "Obblighi connessi ai contratti d'appalto o d'opera o di somministrazione", di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante "Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro" come modificato dall'art. 16 del decreto legislativo 3 agosto 2009, n. 106, dall'art. 32 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modifiche dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, nonché dall'art. 13 del decreto legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito con modifiche dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215, limitatamente alle parole "Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici."?”.

Il quesito prevede l’abrogazione della parte dell’art. 26, comma 4, del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (Testo Unico Sicurezza), che esclude la responsabilità solidale del committente per i danni derivanti da rischi specifici propri delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.

Di seguito le parti che si chiede di abrogare (in grassetto le parti che si chiede di abrogare).

Art. 26, comma 4Ferme restando le disposizioni di legge vigenti in materia di responsabilità solidale per il mancato pagamento delle retribuzioni e dei contributi previdenziali e assicurativi, l'imprenditore committente risponde in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori, per tutti i danni per i quali il lavoratore, dipendente dall'appaltatore o dal subappaltatore, non risulti indennizzato ad opera dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) o dell'Istituto di previdenza per il settore marittimo (IPSEMA). Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.

Referendum 5: Cittadinanza italiana

Il quinto referendum “Cittadinanza italiana: Dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana” pone il seguente quesito:

Volete voi abrogare l'articolo 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole "adottato da cittadino italiano" e "successivamente alla adozione"; nonché la lettera f), recante la seguente disposizione: "f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.", della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante "Nuove norme sulla cittadinanza"?”.

Il quesito prevede l’abrogazione della norma che prevede il requisito dei 10 anni di residenza legale per ottenere la cittadinanza italiana, al fine di ridurre a 5 anni il requisito temporale per gli stranieri extracomunitari maggiorenni.

Di seguito le parti che si chiede di abrogare (in grassetto le parti che si chiede di abrogare).

Art. 9, comma 1: La cittadinanza italiana può essere concessa con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell'interno:

a) allo straniero del quale il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono stati cittadini per nascita, o che è nato nel territorio della Repubblica e, in entrambi i casi, vi risiede legalmente da almeno tre anni, comunque fatto salvo quanto previsto dall'articolo 4, comma 1, lettera c);

b) allo straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano che risiede legalmente nel territorio della Repubblica da almeno cinque anni successivamente alla adozione;

c) allo straniero che ha prestato servizio, anche all'estero, per almeno cinque anni alle dipendenze dello Stato;

d) al cittadino di uno Stato membro delle Comunità europee se risiede legalmente da almeno quattro anni nel territorio della Repubblica;

e) all'apolide che risiede legalmente da almeno cinque anni nel territorio della Repubblica;

f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.

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