Errore materiale nel condono edilizio: la rettifica è un atto dovuto?

Il TAR Lazio conferma: la correzione di un refuso sulla destinazione d’uso non è una nuova domanda di sanatoria

di Redazione tecnica - 27/05/2025

Si può rettificare un provvedimento edilizio anche a distanza di trent’anni? Il cambio di destinazione d’uso riportato erroneamente in un titolo edilizio sanante può essere corretto senza riattivare il procedimento originario? E cosa distingue una rettifica da un vero e proprio riesame in autotutela?

Errore materiale nel condono edilizio: interviene il TAR

A queste domande ha risposto il TAR Lazio con la sentenza n. 9131 del 13 maggio 2025, intervenendo su un tema che continua a generare incertezze applicative nella prassi edilizia: il trattamento degli errori materiali presenti nei titoli abilitativi, in particolare quando questi riguardano la destinazione d’uso degli immobili.

Il caso di specie oggetto dell’intervento dei giudici di primo grado riguarda un provvedimento di condono rilasciato nel 1996 con erronea indicazione della destinazione “residenziale” per un immobile in realtà già adibito ad ufficio. Nella relazione tecnica allegata, si specificava che le opere erano state eseguite su un’unità immobiliare già destinata a uso ufficio. La domanda di condono indicava chiaramente, come tipologia di abuso, il mutamento di destinazione d’uso (tipologia 4.3). Inoltre, dalla planimetria catastale allegata emergeva l’assenza del vano cucina, coerente con una destinazione non residenziale.

A distanza di trent’anni, il proprietario ha chiesto una semplice rettifica del provvedimento, in modo da allinearlo alla reale volontà amministrativa e alla documentazione originaria. Nonostante ciò, l’Amministrazione – pur riconoscendo l’errore – aveva respinto l’istanza di rettifica, ritenendo che la richiesta fosse “tardiva” e che la riapertura del procedimento potesse configurarsi come una “domanda di condono aggiuntiva”, vietata perché presentata oltre i termini di legge.

L’intervento del TAR: rettificare non significa riesaminare

Il TAR Lazio ha accolto il ricorso, chiarendo che nel caso di specie si era di fronte a un mero errore materiale – un refuso nella trasposizione del contenuto dell’istanza e degli atti istruttori – e che, pertanto, la sua rettifica rappresentava un atto dovuto.

Secondo il Collegio, la rettifica non rientra tra i poteri discrezionali dell’Amministrazione propri dell’autotutela decisoria (ex art. 21-nonies, L. 241/1990), ma costituisce un provvedimento di secondo grado destinato a correggere irregolarità involontarie, senza incidere sulla sostanza del titolo originario.

In tal senso, non rileva il tempo trascorso né la definitività del titolo: un errore evidente e riconosciuto può – e deve – essere corretto, soprattutto quando gli elementi probatori erano già presenti agli atti e nella disponibilità dell’Amministrazione sin dall’origine.

Il principio affermato: no a formalismi conservativi

La sentenza afferma un principio operativo di particolare rilievo per tecnici e amministrazioni: la rettifica di un errore materiale in un titolo edilizio non richiede l’apertura di un nuovo procedimento e non è subordinata a valutazioni discrezionali. Al contrario, l’Amministrazione ha l’obbligo giuridico di intervenire, anche d’ufficio, quando si accerti che l’atto non corrisponde alla volontà amministrativa effettivamente formatasi.

Il tentativo dell’Amministrazione di giustificare il diniego con il decorso del tempo e con presunte esigenze di stabilità degli atti amministrativi è stato, quindi, respinto, confermando che il principio di legalità prevale sul formalismo documentale, quando in gioco vi è la corrispondenza tra realtà e rappresentazione amministrativa.

Conclusioni

Per i tecnici, questa sentenza rappresenta un importante riferimento interpretativo, in grado di orientare correttamente la gestione degli errori materiali contenuti nei titoli edilizi, anche a distanza di tempo. Il TAR ha infatti ribadito che la rettifica di un titolo edilizio non è un nuovo procedimento amministrativo, né un atto di riesame discrezionale. Si tratta piuttosto di una attività vincolata e obbligatoria per l’Amministrazione, finalizzata a ristabilire la corrispondenza tra la volontà espressa nel provvedimento e la sua effettiva rappresentazione documentale.

La rettifica si limita a correggere errori materiali, refusi, sviste grafiche o testuali che non incidono sul contenuto sostanziale dell’atto, ma ne falsano la rappresentazione. In questo caso, la documentazione allegata all’istanza di condono dimostrava inequivocabilmente la presenza di un mutamento di destinazione d’uso, erroneamente omesso nel provvedimento finale. La correzione, quindi, non modifica né sostituisce la volontà amministrativa, ma la rende coerente con quanto già istruito e deciso.

Diversamente, il riesame (che può avvenire in autotutela) comporta un nuovo apprezzamento degli interessi in gioco, e presuppone un margine di discrezionalità da parte dell’Amministrazione. Si attiva di norma per annullare, modificare o revocare un atto per vizi sostanziali, e richiede il rispetto di presupposti formali e sostanziali, tra cui il termine ragionevole, l’interesse pubblico concreto e l’eventuale contraddittorio con i destinatari.

La differenza è sostanziale:

  • la rettifica è un intervento vincolato, senza valutazioni discrezionali, per correggere errori formali;
  • il riesame (autotutela) è una valutazione discrezionale, per annullare o modificare atti viziati nel merito, secondo i criteri dell’art. 21-nonies della L. 241/1990.

Nel caso deciso dal TAR Lazio, non si trattava di rivalutare l’istanza o rimuovere un vizio sostanziale, ma di correggere un errore materiale manifesto, sulla base di elementi già presenti agli atti. Un’operazione che, per giurisprudenza consolidata, non solo è ammissibile, ma è addirittura doverosa, e non può essere ostacolata con pretesti formali o interpretazioni eccessivamente restrittive.

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