Appalti pubblici e contenziosi: come prevenirli con ADR e progettazione efficace
Il nuovo Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 36/2023) valorizza strumenti alternativi di risoluzione delle controversie e digitalizzazione per ridurre il contenzioso negli appalti
Il contenzioso negli appalti pubblici rappresenta una delle principali criticità nella gestione delle commesse, incidendo negativamente su tempi, costi, efficienza e fiducia tra le parti. Spesso percepito come un esito inevitabile delle relazioni contrattuali complesse, esso può tuttavia essere prevenuto e gestito con efficacia, attraverso strumenti normativi e procedurali oggi consolidati, ma troppo spesso trascurati.
Il conflitto non è un destino
L'attività contrattuale pubblica, per sua natura, implica una pluralità di attori, interessi e vincoli normativi che la rendono un terreno particolarmente fertile per l'insorgere di controversie. Tuttavia, è possibile passare da una logica reattiva a una logica proattiva, basata sulla prevenzione e sulla gestione anticipata del rischio. In questo scenario, parlare di "lato oscuro" degli appalti non deve significare accettarne la presenza come ineluttabile, bensì riconoscere che tale lato esiste solo in assenza di strumenti adeguati e di una cultura amministrativa consapevole.
Il nuovo D.Lgs. n. 36/2023 (Codice dei contratti pubblici) ha confermato e rafforzato alcune misure fondamentali, che se correttamente implementate, consentono di ridurre sensibilmente l'insorgere di conflitti. L’articolo analizza questi strumenti evidenziando come il loro corretto utilizzo rappresenti il passaggio cruciale da una gestione passiva del rischio a una logica attiva di prevenzione e composizione anticipata delle controversie.
La prevenzione inizia dalla progettazione
Una delle cause principali del contenzioso negli appalti pubblici è rappresentata da una progettazione carente, approssimativa o non sufficientemente verificata. Il nuovo Codice dei contratti pubblici dedica molta attenzione a questa fase cruciale. L’art. 41, comma 2, del D.Lgs. n. 36/2023 stabilisce che: “L’allegato I.7 definisce i contenuti dei due livelli di progettazione e stabilisce il contenuto minimo del quadro delle necessità e del documento di indirizzo della progettazione che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti devono predisporre.”
Il combinato disposto tra l’art. 41 e l’Allegato I.7 impone dunque una struttura ordinata e razionale dell'intero processo progettuale, fin dalla definizione del fabbisogno (quadro delle necessità) fino allo sviluppo del progetto esecutivo, passando per il documento di indirizzo alla progettazione (DIP), che guida coerentemente l’intero iter tecnico-amministrativo.
Inoltre, l’art. 42 del Codice disciplina la verifica della progettazione, stabilendo che essa debba essere condotta “in funzione della complessità dell’intervento”, a garanzia della qualità, della rispondenza normativa e della realizzabilità tecnica dell'opera.
Un esempio concreto: in un appalto integrato per la costruzione di un polo sanitario, l’assenza nel DIP di indicazioni chiare sull’interazione tra i reparti ha comportato una modifica sostanziale al layout funzionale, con ricadute sia economiche che temporali. Una progettazione basata su un DIP completo e condiviso, supportata da strumenti di interoperabilità informativa (es. BIM), avrebbe consentito di evitare ogni riserva.
Consiglio operativo: investire tempo e risorse nella redazione accurata del quadro delle necessità e del DIP, coinvolgendo già in questa fase stakeholder tecnici, sanitari o funzionali secondo il contesto. La prevenzione del contenzioso parte dalla chiarezza degli obiettivi.
La fase esecutiva: direzione lavori, controllo tecnico e collaudo. Gli strumenti per evitare riserve e contenziosi
La fase di esecuzione del contratto rappresenta, per sua natura, il momento di maggiore esposizione al contenzioso. In questa fase, infatti, il confronto tra le previsioni contrattuali e la realtà tecnica del cantiere, o dell’erogazione della prestazione, può far emergere divergenze, difficoltà applicative e imprevisti.
Il Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 36/2023) e il relativo Allegato II.14 definiscono in modo puntuale gli strumenti a disposizione della stazione appaltante per esercitare un controllo tecnico, amministrativo e contabile sistematico e documentato. La corretta attuazione di queste attività costituisce un presidio essenziale per la prevenzione delle riserve e, in ultima istanza, del contenzioso giurisdizionale.
Direzione dei lavori e dell’esecuzione
L’art. 114 del Codice richiama l’Allegato II.14, che disciplina, tra l’altro: “le attività della direzione dei lavori per la corretta esecuzione, sotto il profilo tecnico e contabile, dell’intervento oggetto del contratto.” La direzione dei lavori ha il compito non solo di verificare l’aderenza dell’esecuzione al progetto approvato, ma anche di registrare tempestivamente le modifiche, sospensioni, varianti e riserve, nonché di dirigere e coordinare le fasi critiche, come l’esecuzione di lavorazioni complesse o non previste. Nel caso di appalti non di lavori, è previsto il direttore dell’esecuzione del contratto (DEC), figura equiparabile nel ruolo di vigilanza e controllo tecnico-amministrativo. Una tenuta diligente del giornale dei lavori, dei libretti delle misure, dei verbali di sospensione e ripresa, nonché delle contestazioni scritte, consente di fornire una base probatoria solida in caso di riserve dell’appaltatore o di inadempienze.
Strumenti specifici per prevenire le riserve
L’Allegato II.14 prevede che, in caso di divergenze, l’appaltatore possa iscrivere riserva sul registro di contabilità o sul verbale di accertamento tecnico. La direzione lavori ha l’obbligo di:
- prendere tempestivamente atto della riserva (non può ignorarla);
- valutarla tecnicamente;
- inviare al RUP una relazione di merito.
Una tempestiva istruttoria della riserva, corredata da relazione tecnica e contabile, consente alla stazione appaltante di attivare eventuali rimedi stragiudiziali, come il Collegio Consultivo Tecnico (CCT), la transazione o l’accordo bonario, senza attendere che il conflitto degeneri in contenzioso.
Collaudo e verifica di conformità
Il collaudo finale rappresenta la verifica formale della corretta esecuzione del contratto. Ai sensi dell’Allegato II.14, esso deve accertare: “la regolare esecuzione del contratto rispetto a quanto previsto nei documenti contrattuali, nelle norme tecniche e nella normativa vigente.”
Il collaudo può essere:
- in corso d’opera, per lavori complessi;
- finale, obbligatorio per lavori sopra i 500.000 euro;
- sostituito da certificato di regolare esecuzione, per appalti sotto soglia e senza riserve.
Per gli appalti di servizi e forniture, si applica invece la verifica di conformità, che può essere a campione o totale, e deve accertare che le prestazioni siano conformi a quanto previsto contrattualmente, sia in termini quantitativi che qualitativi.
Esempio pratico – Appalto con riserva tempestivamente gestita
In un appalto stradale, l’impresa ha iscritto una riserva a seguito di istruzioni verbali della DL che modificavano il tracciato per ragioni di sicurezza. La direzione lavori ha annotato la riserva sul registro di contabilità e ha trasmesso relazione tecnica al RUP, che ha attivato il Collegio Consultivo Tecnico. Il verbale finale del CCT ha riconosciuto parte delle lavorazioni aggiuntive, evitando un contenzioso da oltre 200.000 euro.
Consiglio tecnico-operativo: la riserva non va mai ignorata o derubricata come “fisiologica”. Una gestione documentata, cronologica e trasparente, come impone l’Allegato II.14, consente alla stazione appaltante di rimanere in posizione forte e legittima.
Strumenti alternativi di risoluzione delle controversie (ADR): Collegio Consultivo Tecnico, accordo bonario, transazione, arbitrato e pareri obbligatori
Nel sistema dei contratti pubblici, la gestione tempestiva ed efficace delle controversie rappresenta un elemento cruciale per evitare il contenzioso giudiziario, limitare ritardi nell’esecuzione e garantire il corretto adempimento del contratto. A tal fine, il Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. n. 36/2023), in particolare nella Libro V – Parte I DEL CONTENZIOSO (articoli 210-220), disciplina una serie di strumenti di risoluzione alternativa delle controversie (ADR – Alternative Dispute Resolution), che assumono un ruolo centrale nella fase esecutiva.
Il legislatore ha rafforzato la funzione preventiva, tecnica e conciliativa di tali strumenti, privilegiando la soluzione stragiudiziale dei conflitti attraverso modalità snelle e strutturate, che favoriscano la continuità dell’esecuzione contrattuale e la tutela dell’interesse pubblico.
Tra i principali strumenti ADR previsti, si segnalano:L’accordo Bonario per lavori, per servizi e forniture, la Transazione, l’Arbitrato, il Collegio Consultivo Tecnico. L’adozione tempestiva e motivata di questi strumenti consente di risolvere molteplici situazioni di conflitto in modo più efficace, economico e funzionale alla regolare prosecuzione dell’appalto. Essi presuppongono, tuttavia, un'adeguata formazione del personale coinvolto – in particolare RUP, direttori dei lavori e funzionari tecnici – e una solida cultura amministrativa orientata al risultato e alla prevenzione del contenzioso.
Accordo Bonario – Art. 211
L’accordo bonario è uno strumento di risoluzione anticipata delle controversie disciplinato dall’art. 211 del D.Lgs. n. 36/2023 per lavori, servizi e forniture, e rappresenta una modalità alternativa al contenzioso, attivabile in presenza di riserve iscritte dall’esecutore nei documenti contabili o nei verbali di cantiere.
La sua attivazione non è obbligatoria, ma costituisce una facoltà della stazione appaltante, che può valutarne l’opportunità soprattutto quando l’importo delle riserve incida in misura significativa sull’importo contrattuale, indicativamente tra il 5% e il 15%. Si tratta di parametri tecnici consolidati nella prassi amministrativa, non vincolanti né normativamente prescritti.
Il procedimento è avviato dal RUP, con il supporto del direttore dei lavori e di eventuali esperti, mediante una proposta motivata di accordo. L’appaltatore può accettare o rifiutare la proposta. Se sottoscritto da entrambe le parti, l’accordo ha valore transattivo, con effetti analoghi a quelli previsti dall’art. 1965 c.c., in quanto idoneo a prevenire il contenzioso.
L’accordo bonario si rivela particolarmente utile nei casi in cui i maggiori oneri derivino da ritardi imputabili alla stazione appaltante, da varianti per esigenze sopravvenute o da cause di forza maggiore.
È essenziale che l’intero procedimento sia adeguatamente motivato sotto il profilo tecnico e giuridico, ispirato al principio del ragionevole interesse pubblico, e supportato da documentazione completa e tracciabile, al fine di garantire trasparenza, legalità e tutela contro eventuali rilievi degli organi di controllo.
Esempio operativo
In un appalto di lavori stradali del valore di 8 milioni di euro, l’impresa iscrive riserve per 1,1 milioni di euro a causa del rinvenimento di sottoservizi non rilevati in fase progettuale. Verificata la rilevanza economica delle riserve (circa il 13,75%), il RUP attiva la procedura di accordo bonario ai sensi dell’art. 211. Con il supporto del direttore dei lavori e di un esperto, viene predisposta una proposta motivata, che l’appaltatore accetta. Si evita così un contenzioso, con risparmio di tempo e risorse per l’amministrazione.
Transazione - Art. 212
La transazione, ai sensi dell’art. 1965 c.c., è un contratto con cui le parti, mediante reciproche concessioni, pongono fine a una lite pendente o evitano l’insorgere di una controversia. Tale istituto è espressamente richiamato e regolato anche in ambito pubblico dall’art. 212 del D.Lgs. n. 36/2023.
Nel settore dei contratti pubblici, la stazione appaltante può concludere una transazione nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza, buon andamento e tutela dell’interesse pubblico. L’accordo transattivo deve essere preceduto da un’istruttoria tecnica e amministrativa che ne dimostri la convenienza economica e l’opportunità amministrativa, in comparazione con gli effetti potenziali del contenzioso o con altri strumenti di risoluzione.
Il provvedimento di approvazione deve essere adeguatamente motivato, evidenziando i benefici attesi, le ragioni di scelta e il raffronto con le alternative disponibili. Inoltre, il contenuto dell’accordo non deve alterare in modo sostanziale l’oggetto del contratto originario, né l’equilibrio economico complessivo, per evitare violazioni dei principi di evidenza pubblica.
In ambito contrattuale, la transazione è utilizzabile, ad esempio, per:
- definire riserve pregresse non risolte con l’accordo bonario o tramite pareri tecnici;
- regolare conseguenze economiche derivanti da eventi eccezionali e imprevedibili, come emergenze sanitarie, crisi energetiche, eventi bellici o calamità naturali.
Una transazione ben istruita consente di contenere tempi e costi del contenzioso, mantenendo il primato dell’interesse pubblico e la continuità dell’esecuzione contrattuale.
Esempio – Accordo bonario: Durante l’esecuzione di un’opera stradale da 5 milioni di euro, l’appaltatore presenta riserve per un importo complessivo del 12% a causa di interferenze non previste con sottoservizi. Il RUP attiva la procedura di accordo bonario e, dopo istruttoria con il direttore lavori, propone un’indennità parziale che l’impresa accetta, chiudendo la questione senza azioni legali.
Consiglio operativo: Una gestione trasparente e documentata delle riserve agevola il ricorso all’accordo bonario e consente di contenere il rischio di danni erariali per la stazione appaltante.
Arbitrato - Art. 213
L’art. 213 regola l’arbitrato, consentendo che le controversie relative all’esecuzione dei contratti pubblici possano essere risolte da un collegio arbitrale, previa clausola compromissoria o compromesso tra le parti. La clausola compromissoria deve essere approvata con atto motivato e contenere le modalità di nomina degli arbitri, che devono rispettare i criteri di indipendenza, imparzialità e competenza.
Esempio operativo: In un appalto per la costruzione di una scuola, sorgono divergenze sulla contabilizzazione di lavorazioni extra. Poiché il contratto includeva una clausola compromissoria, le parti deferiscono la controversia a un collegio arbitrale. Il procedimento, concluso in sei mesi, consente una decisione tecnica rapida e meno conflittuale rispetto al giudizio ordinario.
La Camera arbitrale presso l’ANAC - Art. 214
L’articolo 214 del nuovo Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. n. 36/2023) ha confermato l’importanza della Camera arbitrale presso l’ANAC come organismo centrale per la gestione delle controversie nei contratti pubblici, che riguardino lavori, servizi o forniture. Si tratta di un’istituzione pensata per assicurare imparzialità, trasparenza e professionalità nella composizione dei collegi arbitrali, oltre che per garantire un controllo sistematico sui procedimenti arbitrali.
La Camera arbitrale ha il compito di curare la formazione e la gestione dell’Albo degli arbitri, nonché di redigere il relativo codice deontologico. Inoltre, assicura il corretto funzionamento dei collegi arbitrali, occupandosi degli adempimenti necessari per la loro costituzione.
L’organo è strutturato attorno a due figure chiave: il Presidente e il Consiglio arbitrale. Quest’ultimo è composto da cinque membri, nominati direttamente dall’ANAC tra esperti in materia di contratti pubblici dotati di comprovata competenza e integrità. Al suo interno viene scelto il Presidente, e gli incarichi hanno una durata di cinque anni. Durante il periodo di iscrizione all’Albo e nei tre anni successivi, agli arbitri è fatto divieto di assumere incarichi professionali per conto delle parti coinvolte nei giudizi da loro trattati, inclusi eventuali incarichi come arbitro di parte: una misura necessaria a preservare l’indipendenza e a prevenire conflitti di interesse.
Per lo svolgimento delle proprie funzioni, la Camera arbitrale si avvale di una segreteria tecnica composta da personale interno all’ANAC. Tra le sue attività vi è anche la rilevazione annuale dei dati sul contenzioso in materia di contratti pubblici, dati che vengono poi trasmessi all’ANAC stessa e alla Cabina di regia istituita presso la Presidenza del Consiglio.
L’Albo degli arbitri può essere composto da diverse categorie professionali: magistrati ordinari, amministrativi, contabili o militari in pensione; avvocati iscritti agli albi ordinari o speciali con abilitazione al patrocinio presso le magistrature superiori; tecnici laureati in ingegneria o architettura con almeno dieci anni di esperienza professionale; professori universitari (anche in quiescenza) e dirigenti pubblici con comprovata esperienza nel settore dei contratti pubblici.
La trasparenza è uno degli elementi fondanti della riforma: sul sito dell’ANAC sono pubblicati gli elenchi aggiornati degli arbitrati in corso e definiti, i nominativi e i compensi degli arbitri e dei periti, oltre alle principali vicende procedurali che caratterizzano ciascun arbitrato.
L’iscrizione all’Albo ha una validità triennale e può essere rinnovata solo dopo due anni dalla scadenza. I dettagli applicativi sull’Albo degli arbitri, l’elenco dei periti e dei segretari sono disciplinati dall’allegato V.1 del Codice.
Attraverso questa struttura, il legislatore ha voluto creare un sistema arbitrale affidabile, professionale e ben regolamentato, in grado di offrire alle stazioni appaltanti e agli operatori economici uno strumento alternativo alla giustizia ordinaria, ma con forti garanzie di competenza e terzietà.
Collegio Consultivo Tecnico (CCT) - Art. 215
Il Collegio Consultivo Tecnico (CCT), previsto dall’art. 215, è lo strumento centrale di composizione preventiva delle controversie. È obbligatorio per i lavori diretti alla realizzazione delle opere pubbliche, incluse quelle realizzate tramite contratti di concessione o di partenariato pubblico-privato, di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea. È facoltativo negli altri casi. Composto da tre membri (uno per ciascuna parte, più un presidente terzo), il CCT esprime pareri tecnici vincolanti (se previsto nel contratto come lodo ai sensi dell’art. 808-ter c.p.c.) oppure non vincolanti, ma con forte peso tecnico e giuridico.
Esempio operativo: Nel corso di un appalto per la realizzazione di una scuola, l'esecutore contesta i tempi di consegna dei materiali da parte della stazione appaltante, ritenendo di aver subito ritardi. Il Collegio Consultivo Tecnico, nominato secondo l’art. 215 e l’Allegato V.2, esamina la documentazione e formula una determinazione equitativa in merito alla proroga del termine. Entrambe le parti la accettano, evitando un ricorso al TAR.
Consiglio operativo: Nominare il CCT sin dall’avvio dell’esecuzione nei lavori complessi consente una gestione efficace delle controversie, specialmente in contesti ad alta criticità tecnico-temporale.
Esempio operativo: In un appalto da 12 milioni di euro per un parcheggio multipiano, l’impresa segnala ritardi dovuti a interferenze con una linea elettrica. Il CCT, costituito in fase iniziale, emette un parere motivato che riconosce una proroga dei termini e l’indennizzo dei maggiori costi, accettato da entrambe le parti. Si evita così un ricorso al TAR, tutelando il cronoprogramma.
Pareri obbligatori - Art. 216
L’articolo 216 del Codice dei Contratti Pubblici introduce un meccanismo chiaro e vincolante per il ricorso al Collegio Consultivo Tecnico (CCT), ponendolo come attore centrale nei momenti di criticità durante l’esecuzione dei contratti pubblici.
In particolare, il parere del CCT è obbligatorio in alcune circostanze ben definite, soprattutto per i contratti di lavori pubblici di importo pari o superiore alle soglie europee. Tra queste situazioni rientrano:
- la sospensione dei lavori, sia essa volontaria che coattiva;
- l’insorgenza di riserve, varianti o controversie tecniche nel corso dell’esecuzione del contratto;
- nei contratti di servizi e forniture, nei casi specificamente individuati dall’articolo 121, comma 11, secondo periodo.
Accanto al parere, le parti possono richiedere che il CCT fornisca una determinazione vincolante, che può essere espressamente qualificata come lodo contrattuale ai sensi dell’art. 808-ter del codice di procedura civile. In tal caso, non è più ammesso il ricorso all’accordo bonario. Questo rafforza l’autorevolezza del Collegio e favorisce una risoluzione delle controversie all’interno del contratto stesso, senza dover ricorrere a ulteriori strumenti.
Un altro ambito di intervento fondamentale riguarda la risoluzione contrattuale. Prima che la stazione appaltante possa procedere alla risoluzione di un contratto, è obbligatorio acquisire il parere del CCT. Tale parere non è un semplice passaggio formale: deve contenere una valutazione tecnica ed economica sull’opportunità di proseguire l’esecuzione con lo stesso operatore oppure no. A supporto di questa analisi, il CCT può suggerire diverse opzioni operative:
- la prosecuzione dei lavori in via diretta, anche avvalendosi di enti o società pubbliche;
- l’interpello dei concorrenti che hanno partecipato alla gara per affidare loro il completamento dei lavori;
- l’indizione di una nuova procedura di gara;
- oppure, in situazioni particolarmente critiche, la nomina di un commissario straordinario, ai sensi dell’art. 4 del D.L. 32/2019.
Il Collegio assume inoltre un ruolo decisivo nel caso di sospensioni legate a gravi cause tecniche, qualora tra le parti non vi sia accordo. In questi casi, entro 15 giorni dalla comunicazione della sospensione, il CCT deve intervenire per accertare la legittimità della causa e fornire indicazioni chiare e operative su come proseguire l’esecuzione del contratto e quali modifiche eventualmente apportare. Anche in questo caso, la decisione del Collegio ha valore di lodo contrattuale, salvo che le parti non abbiano espressamente deciso di escludere questa possibilità, come previsto dall’articolo 217.
In conclusione, l’articolo 216 rafforza il ruolo del Collegio Consultivo Tecnico come strumento di prevenzione e risoluzione dei conflitti, ma anche come presidio di legalità, efficienza e continuità dell’azione amministrativa, in un’ottica di tutela dell’interesse pubblico e di garanzia per gli operatori.
Esempio 1 – Sospensione dei lavori per imprevisti geologici
Contesto:
- Lavori pubblici per un tunnel stradale da 12 milioni di euro (sopra soglia UE).
- Durante lo scavo, si rilevano impreviste infiltrazioni d’acqua e fratture nella roccia.
- L’impresa sospende i lavori, ma non c’è accordo con la stazione appaltante su come procedere.
Applicazione dell’art. 216:
- La sospensione è per gravi motivi tecnici: si attiva il CCT.
- Entro 15 giorni, il CCT accerta che le condizioni geologiche giustificano la sospensione.
- Il CCT suggerisce: modificare il progetto, consolidare il fronte e riprendere i lavori.
- Se non escluso, il parere può assumere valore di lodo contrattuale.
Esempio 2 – Proposta di variante con riserva
Contesto:
- Contratto per la costruzione di una scuola da 8 milioni di euro.
- L’impresa propone una variante in corso d’opera per migliorare la sicurezza sismica e iscrive una riserva per costi aggiuntivi.
- La stazione appaltante non concorda con l'aumento di spesa.
Applicazione dell’art. 216:
- La variante e la riserva rientrano tra i casi previsti al comma 1.
- È obbligatorio acquisire il parere del CCT sulla fondatezza tecnica della variante e della riserva.
- Le parti possono chiedere al CCT una determinazione vincolante (lodo contrattuale), rinunciando alla procedura dell’accordo bonario.
Digitalizzazione e formazione: gli strumenti organizzativi
La trasformazione digitale rappresenta oggi un asse strategico imprescindibile per l’efficientamento della contrattualistica pubblica. Il nuovo Codice dei contratti pubblici, adottato con D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, assegna alla digitalizzazione un ruolo centrale e sistemico. In particolare, l’articolo 19 istituisce il principio del ciclo di vita digitale del contratto pubblico, stabilendo che tutte le fasi dell’affidamento e dell’esecuzione dei contratti – dalla programmazione alla progettazione, dalla pubblicazione alla stipula, fino al collaudo – devono avvenire mediante strumenti digitali interoperabili e tracciabili.
L’obiettivo non è meramente tecnologico, ma risponde a un’esigenza sostanziale di trasparenza, semplificazione, controllo e tempestività. L’intero procedimento amministrativo si evolve in un sistema di dati strutturati, nativamente digitali, che permettono non solo una gestione più efficiente, ma anche il controllo in tempo reale delle informazioni da parte di soggetti pubblici e privati, nel rispetto del principio della fiducia sancito all’art. 2 del Codice. La digitalizzazione, dunque, rafforza la dimensione relazionale e collaborativa dell’amministrazione, rendendo ogni azione verificabile, documentabile e accessibile secondo criteri di responsabilità e accountability.
L’implementazione del ciclo digitale si traduce in benefici concreti: la tracciabilità delle operazioni consente una maggiore affidabilità documentale e limita fenomeni patologici; la trasparenza migliora l’accesso alle informazioni da parte degli operatori economici e della cittadinanza; l’efficienza si manifesta nella riduzione dei tempi procedimentali e nella standardizzazione delle attività; infine, la disponibilità immediata di dati e metadati riduce sensibilmente il contenzioso e potenzia la capacità amministrativa.
Per rendere effettiva tale rivoluzione, il legislatore ha previsto un apparato organizzativo e funzionale adeguato. Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti devono dotarsi di piattaforme digitali certificate, conformi ai requisiti di interoperabilità con la Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici (BDNCP), gestita da ANAC. Il fascicolo virtuale dell’operatore economico (FVOE), anch’esso informatizzato, rappresenta uno strumento essenziale per la verifica dei requisiti e delle cause di esclusione ai sensi degli artt. 94 e seguenti. Analogamente, l’utilizzo del registro digitale delle riserve, obbligatorio in fase esecutiva, garantisce trasparenza e tempestività nella gestione delle riserve e dei rilievi dell’esecutore, con valore legale e probatorio.
Tuttavia, la digitalizzazione non può prescindere da un investimento strutturale nella formazione del personale. L’Allegato I.2, che disciplina le attività e i requisiti del Responsabile Unico del Progetto (RUP), impone una formazione continua e specialistica per tutte le figure coinvolte nel ciclo dell’appalto. In particolare, si stabilisce che il RUP, per esercitare correttamente le proprie funzioni, debba essere in possesso di “competenze coerenti con la natura del contratto” e debba aggiornarsi periodicamente, secondo quanto previsto anche dall’art. 15, comma 7 del Codice.
Ciò implica la necessità per le amministrazioni pubbliche di adottare programmi di aggiornamento permanente per RUP, progettisti, direttori dei lavori, direttori dell’esecuzione e componenti delle commissioni giudicatrici. Non si tratta soltanto di adempiere a un obbligo formale, ma di dotarsi di un personale consapevole, competente e in grado di gestire strumenti digitali complessi, interagendo in modo efficace con il sistema nazionale di procurement.
L’efficacia del modello digitale si misura infatti nella capacità delle persone di interpretare, governare e utilizzare le piattaforme, nonché di inserire, validare e controllare i dati secondo le regole stabilite. La tecnologia è un mezzo, non un fine. Di conseguenza, si suggerisce che le stazioni appaltanti nominino referenti per la transizione digitale e adottino protocolli operativi interni, attraverso cui uniformare la gestione delle piattaforme, documentare i procedimenti, monitorare gli accessi e garantire la sicurezza informatica.
In conclusione, la digitalizzazione dei contratti pubblici, così come delineata nel D.Lgs. n. 36/2023, costituisce una vera e propria transizione culturale prima ancora che amministrativa. Il legislatore ha delineato un modello integrato che mette al centro l’informazione come bene pubblico, richiede competenze qualificate e rafforza la legittimazione dell’azione amministrativa tramite la trasparenza digitale. Si tratta ora di attuarlo, evitando che resti una mera dichiarazione di principio, ma traducendolo in prassi organizzative coerenti, sostenibili e fondate su una visione sistemica.
Conclusioni e raccomandazioni operative
Il nuovo Codice dei contratti pubblici, introdotto con il D.Lgs. n. 36/2023, rappresenta una riforma di sistema che incide profondamente sul modo in cui le pubbliche amministrazioni programmano, affidano ed eseguono i contratti. Le direttrici fondamentali del Codice – semplificazione, digitalizzazione, fiducia, risultato e buona amministrazione – sono state declinate in una serie di istituti e strumenti operativi che impongono un aggiornamento profondo delle prassi organizzative e gestionali delle stazioni appaltanti.
In primo luogo, la centralità del principio del risultato (art. 1 del Codice) richiama tutti i soggetti coinvolti – funzionari, RUP, progettisti, direttori dei lavori, organi di controllo – a una responsabilità condivisa per il buon esito dell’intervento. Non si tratta più di limitarsi all’adempimento formale delle procedure, ma di perseguire effettivamente l’interesse pubblico, nel rispetto dei tempi, dei costi e della qualità dell’opera, del servizio o della fornitura.
Il rafforzamento della figura del Responsabile Unico del Progetto (RUP) – disciplinato dagli artt. 15 e 16 del Codice e dettagliato nell’Allegato I.2 – comporta un investimento in competenze trasversali e specialistiche. Il RUP non è solo garante della legittimità, ma anche promotore della buona riuscita del contratto, in coordinamento con gli altri attori. La selezione e la formazione dei RUP devono quindi essere curate con particolare attenzione, anche attraverso il supporto degli organismi di formazione accreditati e l’utilizzo delle piattaforme digitali certificate.
Altro aspetto rilevante riguarda la gestione dei contenziosi e delle criticità in fase esecutiva. Il Codice prevede un sistema articolato di strumenti alternativi di risoluzione delle controversie (ADR) – quali il Collegio Consultivo Tecnico (art. 215), l’accordo bonario (art. 211), la transazione (art. 212) e l’arbitrato (art. 213) – con l’obiettivo di risolvere tempestivamente le controversie, contenere i costi e tutelare l’equilibrio contrattuale. È fondamentale che le stazioni appaltanti attivino questi strumenti nei casi previsti, seguendo le modalità e le soglie stabilite dal Codice, anche con il supporto di tecnici e giuristi esperti.
La digitalizzazione dei contratti pubblici – come già evidenziato nel capitolo precedente – deve essere intesa non come una mera informatizzazione dei procedimenti, ma come un cambiamento strutturale e culturale. L’art. 19, in combinato disposto con l’Allegato I.2 e con l’intero impianto della Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici (BDNCP), impone l’utilizzo integrato di strumenti digitali in tutte le fasi del ciclo di vita del contratto, con vantaggi in termini di trasparenza, controllo e semplificazione.
Infine, è opportuno ribadire l’importanza del coordinamento tra livelli istituzionali e tra i diversi attori della filiera contrattuale. Solo attraverso un’azione sinergica, orientata alla formazione continua, all’adozione di standard operativi condivisi e all’uso consapevole delle piattaforme digitali, sarà possibile realizzare gli obiettivi della riforma. In tal senso, si raccomanda:
- L’adozione di regolamenti interni coerenti con il nuovo Codice, aggiornati e armonizzati con i principi del D.Lgs. n. 36/2023.
- La formazione continua obbligatoria per tutto il personale coinvolto nei contratti pubblici, con focus su digitalizzazione, responsabilità, strumenti ADR e tecniche di project management.
- La nomina di referenti digitali per ogni procedura rilevante, che possano interfacciarsi con ANAC e con gli organismi di controllo.
- La tempestiva attivazione del Collegio Consultivo Tecnico nei casi previsti, specie per lavori complessi o superiori a 1 milione di euro, come previsto dall’art. 215.
- Il monitoraggio continuo del rispetto dei tempi contrattuali e delle soglie di anomalia, anche attraverso l’utilizzo del registro digitale delle riserve e degli strumenti di verifica della qualità dell’esecuzione.
L’attuazione efficace del Codice richiede quindi un approccio integrato, fondato su competenza, organizzazione e cultura del risultato. Solo così sarà possibile rendere la contrattualistica pubblica un motore di sviluppo, legalità e fiducia nei confronti delle istituzioni