Garage, tettoia, chiusura balcone: sono qualificabili come pertinenze?

È legittimo l'ordine di demolizione per opere che il proprietario riconduce alla nozione di pertinenza o qualifica come interventi di risanamento conservativo? Ecco la risposta del Consiglio di Stato

di Redazione tecnica - 30/05/2025

Quali sono i limiti entro cui si può realizzare una tettoia o un locale accessorio senza permesso di costruire? Quando un’opera può essere qualificata come “pertinenza” e quando, invece, assume rilevanza edilizia autonoma? È sufficiente rispettare il volume assentito per escludere l’abuso?

Abusi edilizi: quando le opere in difformità non sono qualificabili come pertinenze

A queste domande risponde la sentenza del Consiglio di Stato del 29 maggio 2025, n. 4739, con cui Palazzo Spada ha confermato l’ordine di demolizione disposto per una serie di interventi realizzati in difformità dalla licenza edilizia e consistenti in:

  1. un locale garage/magazzino in muratura (circa 43 mq);
  2. una tettoia in legno con forno sottostante (circa 26 mq);
  3. un ampliamento del piano terra, consistente nella chiusura di un’area di circa 31 mq.

Secondo il proprietario, le opere non alteravano la consistenza originaria dell’immobile in quanto si trattava di elementi qualificabili come pertinenze o interventi di risanamento conservativo, o addirittura rientranti nell’edilizia libera.

Il concetto di pertinenza urbanistica 

Uno dei punti nodali della sentenza riguarda proprio la qualificazione di pertinenza urbanistica. Il Consiglio di Stato ha ricordato che la nozione di “pertinenza urbanistica” ha un ambito più ristretto rispetto a quella civilistica.

In particolare, per configurarsi come tale, un’opera deve essere:

  • di modesta entità volumetrica e dimensionale;
  • non autonomamente utilizzabile né suscettibile di autonoma commerciabilità;
  • non idonea a modificare la sagoma e la fisionomia architettonica dell’edificio.

In questo caso, la superficie aggiuntiva complessiva era pari a 70 mq derivante dalle due opere (garage e tettoia): sicuramente eccessiva per potersi considerare “modesta”.

Inoltre, entrambe erano potenzialmente utilizzabili in modo autonomo, un aspetto che, unito alle dimensioni significative e alla capacità di alterare il contesto territoriale, le rendeva incompatibili con la definizione di pertinenza urbanistica.

Risanamento conservativo: impossibile in caso di nuove costruzioni

Anche la qualificazione dell’ampliamento del piano terra come intervento di risanamento conservativo è stata radicalmente esclusa.

La motivazione è chiara: secondo la lett. c) dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001, la nozione di risanamento conservativo presuppone che i lavori abbiano ad oggetto un pre-esistente organismo edilizio, sul quale sono operati interventi di recupero; al contrario, nel caso di specie, l’intervento ha creato nuovi volumi, alterato la sagoma dell’edificio, e ha modificato la fisionomia architettonica dell’immobile.

Si tratta quindi, secondo l’art. 3, lett. e.1) e e.6) dello stesso Testo Unico Edilizia, di un intervento riconducibile alla categoria delle nuove costruzioni, per cui è richiesto il permesso di costruire.

Chiusura del balcone ed edilizia libera

Quanto alla pretesa di ricondurre l’intervento di chiusura del balcone alla nuova fattispecie di edilizia libera introdotta con la lett. b-bis) dell’art. 6, comma 1, TUE (VEPA e vetrate panoramiche amovibili), il Collegio è stato netto: tale norma non era in vigore all’epoca dei fatti, ma anche se lo fosse stata, non sarebbe applicabile, in quanto l’intervento ha comportato la creazione di superfici e volumi pienamente abitabili e stabili, incompatibili con la disciplina delle strutture temporanee e removibili.

La documentazione fotografica dimostra infatti che il proprietario non si è limitato ad installare sul balcone vetrate amovibili panoramiche e trasparenti, in funzione di temporanea protezione degli agenti atmosferici, ma ha completamente chiuso con muratura e vetri un’ampia zona del pianterreno.

È stato quindi incrementato significativamente lo spazio utilizzabile al piano terra dell’edificio, del quale si è modificata anche la sagoma esterna, alterando la fisionomia architettonica dell’intero edificio. Questo esclude, evidentemente che l’intervento in questione possa essere qualificato eventualmente come risanamento conservativo, posto che esso non ha affatto conservato, né restaurato il precedente organismo edilizio, ma lo ha sensibilmente innovato.

Il ricorso è stato quindi respinto: le opere erano state realizzate in difformità dalla licenza edilizia rilasciata, confermando la piena legittimità dell’ordine di demolizione emesso dall’Amministrazione.

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