Stato legittimo e responsabilità dell’abuso: il TAR ribadisce i limiti dell’autotutela urbanistica
Onere probatorio in capo al privato, irrilevanza delle tolleranze atomistiche e limiti alla demolizione: cosa insegna la sentenza del TAR Lazio
Chi deve dimostrare lo stato legittimo di un immobile? Fino a che punto le tolleranze edilizie possono “coprire” un abuso parziale senza minare l’equilibrio del territorio?
Stato legittimo e responsabilità dell’abuso: la sentenza del TAR
Sono domande che ogni tecnico si pone quando si trova a gestire situazioni complesse, stratificate nel tempo, dove si intrecciano titoli edilizi assenti, difformità mai sanate e silenzi amministrativi che alimentano l’ambiguità. A fornire una risposta netta è il TAR Lazio che, con la sentenza n. 10321/2025, ha affrontato un caso emblematico, utile per chiarire alcuni punti chiave su onere della prova, natura delle tolleranze, limiti alla demolizione e responsabilità del soggetto coinvolto.
Nel dettaglio, il ricorso era stato proposto da un privato avverso l’ordinanza comunale di demolizione di alcune opere edilizie eseguite – secondo l’Amministrazione – in assenza di titolo abilitativo. Il fabbricato in questione, parte di un più ampio corpo immobiliare a destinazione residenziale, era stato interessato da interventi consistenti nell’ampliamento e nella sopraelevazione di porzioni strutturali, eseguiti in epoca risalente e successivamente “coperti” da una SCIA riferita ad altri lavori di manutenzione straordinaria.
Il Comune, nel riesaminare lo stato dei luoghi a seguito di un esposto, ha accertato che tali opere non erano riconducibili ad alcun titolo abilitativo valido e ha disposto la demolizione delle parti non conformi. Da qui il contenzioso, con il ricorrente che ha sostenuto l’illegittimità dell’ordinanza per violazione del principio di proporzionalità e per mancata valutazione delle circostanze fattuali, comprese le conseguenze strutturali della demolizione.
Il giudice ha rigettato il ricorso, ma nel farlo ha sviluppato una motivazione ampia e articolata, affrontando quattro temi centrali – lo stato legittimo, le tolleranze, la praticabilità della restitutio in pristino e la responsabilità soggettiva – che rendono questa pronuncia un importante punto di riferimento per chi opera nel settore edilizio.
Stato legittimo e onere della prova
La prima conferma riguarda l’onere probatorio sullo “stato legittimo” dell’immobile: spetta esclusivamente al proprietario fornire la dimostrazione della legittimità urbanistico-edilizia delle opere eseguite. Dopo la ricostruzione documentale dei titoli abilitativi e un attento sopralluogo, solo il proprietario dell’immobile può verificare la piena o parziale o difforme corrispondenza dello stato di fatto con lo stato legittimo.
Il TAR ha confermato che l’Amministrazione non ha alcun obbligo di effettuare una ricostruzione istruttoria autonoma o d’ufficio: in mancanza di un riscontro oggettivo – come l’allegazione dei titoli edilizi o la prova dell’epoca di realizzazione – l’ordinanza di demolizione è perfettamente legittima. Il potere sanzionatorio non deve fondarsi su una controprova del Comune, ma sull’assenza di prova da parte del privato.
Si tratta di un passaggio cruciale valido anche alla luce della nuova versione del comma 1-bis, art. 9-bis del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) dopo l’aggiornamento apportato dalla Legge n. 105/2024 di conversione del D.L. n. 69/2024 (Salva Casa), che semplifica (o almeno ci prova) le modalità di verifica dello stato legittimo, ma non deresponsabilizza il proprietario.
Le tolleranze non si valutano in modo atomistico
Altro punto chiave della sentenza è la valutazione delle tolleranze edilizie. Il TAR Lazio respinge ogni approccio parcellizzato, sottolineando che non è possibile “scomporre” le opere per dichiararne parzialmente la conformità e sottrarle all’ordinanza sanzionatoria.
Sul punto il TAR richiama un costante orientamento della giurisprudenza del Consiglio di Stato per il quale: “la valutazione dell’abuso edilizio presuppone una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate e non si può scomporne una parte per affermarne la sanabilità, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento a sé stante bensì dall’insieme delle opere nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni, per cui l’opera edilizia abusiva deve essere identificata con l’intero complesso immobiliare, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere in modo adeguato l’impatto effettivo degli interventi compiuti ed essendo irrilevante il frazionamento dei singoli interventi avulsi dalla loro incidenza sul contesto immobiliare unitariamente considerato”.
In sostanza, non è legittimo isolare piccole difformità e farle rientrare nelle soglie di tolleranza dell’art. 34-bis del d.P.R. n. 380/2001, ignorando l’impatto urbanistico generale. L’abuso va guardato nel suo insieme, e ciò che rileva è l’effetto globale prodotto sull’assetto edilizio del territorio.
Questa impostazione, già presente in giurisprudenza, rafforza la necessità di un’analisi unitaria, strutturale e contestualizzata degli interventi: non basta individuare singoli scostamenti per sostenere che si è nei limiti di legge.
La fiscalizzazione dell’abuso
Uno dei profili contestati dal ricorrente riguardava la possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 34, comma 2 del d.P.R. n. 380/2001. Secondo il privato, l’immobile oggetto di ordinanza poggiava su una porzione strutturale (i box sottostanti) destinata alla demolizione, e ciò avrebbe determinato un rischio concreto per la stabilità dell’intero edificio. Da qui la pretesa che la P.A. avrebbe dovuto valutare d’ufficio l’applicabilità della fiscalizzazione.
Il TAR, tuttavia, ha rigettato integralmente tale doglianza, chiarendo che:
- l’onere di dimostrare l’effettivo pregiudizio strutturale derivante dalla demolizione grava sul privato;
- la fiscalizzazione è una misura eccezionale, attivabile solo nella fase esecutiva del procedimento e su istanza motivata dell’interessato;
- non spetta all’Amministrazione procedente valutare preventivamente la possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria.
Sul punto il TAR ha richiamato la giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha chiarito che “la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria, disciplinata dalla disposizione appena citata, deve dunque essere valutata dall’Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione […] In quella sede, le parti ben potranno dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità del fabbricato asseritamente derivante dall’esecuzione della demolizione del muro di contenimento del terrapieno su cui poggia la relativa fabbrica”.
Sostanzialmente la possibilità di fiscalizzazione va valutata a valle del processo demolitorio e non inficia la legittimità dell’ordinanza.
La responsabilità dell’abuso
Infine, la sentenza chiarisce la distinzione tra responsabilità sostanziale e obbligo esecutivo. La responsabilità dell’abuso edilizio ricade su chi ha materialmente realizzato l’intervento non conforme. Tuttavia, l’ordine di demolizione può essere validamente rivolto anche all’attuale proprietario, quale soggetto che dispone materialmente del bene e può rimuovere l’illecito.
Anche in questo caso il TAR ha richiamato una giurisprudenza consolidata per cui “è responsabile dell’abuso non solamente chi ha posto in essere materialmente la violazione contestata, ma anche colui che è subentrato nella titolarità del bene [ovvero ne abbia la disponibilità quale detentore e utilizzatore] in modo da potersi avvalere nel tempo successivo alla realizzazione dell’utilità derivante dal bene stesso senza titolo, e che perciò, avendo la disponibilità materiale di detto bene, non è esentato dal dovere di ripristino dello stato dei luoghi, pur senza essere l’autore materiale dell’abuso preesistente”.
Un chiarimento importante, perché distingue il piano sanzionatorio (eventuale, e personale) da quello amministrativo (oggettivo). Il nuovo proprietario – pur non responsabile dell’abuso – è tenuto comunque a rimuovere le opere abusive, salvo che riesca a dimostrare la loro legittimità originaria, circostanza che, come visto, richiede documentazione solida.
Conclusioni
Il nuovo intervento del TAR Lazio rappresenta un utile richiamo ai principi fondamentali della disciplina edilizia:
- lo stato legittimo non si presume ma si desume: il privato deve dimostrarlo;
- le tolleranze si applicano all’insieme, non al dettaglio: il giudizio urbanistico è unitario e non atomistico;
- la fiscalizzazione non è un’alternativa automatica: se l’ordine di demolizione è formalmente legittimo, la possibilità di sostituirlo con una sanzione pecuniaria può emergere solo nella fase esecutiva, previa istanza motivata e asseverata dal privato. L’Amministrazione non ha alcun obbligo di valutarla in via preventiva;
- anche il proprietario non autore dell’abuso è tenuto alla rimozione: ai sensi dell’art. 31, comma 2, del TUE, l’ordinanza può essere legittimamente rivolta tanto al responsabile dell’abuso quanto al proprietario attuale del bene.
Per i tecnici, si tratta di indicazioni fondamentali: serve rigore nella ricostruzione dello stato legittimo, prudenza nell’invocare le tolleranze e consapevolezza degli effetti strutturali delle sanzioni. Per le amministrazioni, un monito a esercitare i poteri in modo proporzionato, senza trascurare gli effetti concreti delle proprie determinazioni.
Documenti Allegati
Sentenza TAR Lazio 28 maggio 2025, n. 10321