Referendum abrogativo 2025 e responsabilità solidale negli appalti: cosa cambia
Il quesito referendario sull’abrogazione della deroga alla responsabilità solidale negli appalti: impatti giuridici, evoluzione normativa e analisi delle ricadute operative
Il quarto quesito, previsto dal referendum dell’8-9 giugno 2025 riguarda la spinosa questione della responsabilità solidale fra appaltatori e subappaltori per ciò che attiene agli infortuni sul lavoro.
Il quarto quesito referendario
Il quesito verte sull’abrogazione dell’ultimo periodo del comma 4 dell’art. 26 del d.lgs 81/2008 che prevede specifiche limitazioni in tema di responsabilità solidale per “i danni conseguenza dei rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici”.
Lo scopo di tale referendum, così come sostenuto dai promotori dello stesso, è quello di estendere il più possibile l’ambito di applicazione di responsabilità solidale fra gli operatori, al fine di garantire una maggiore tutela per i lavoratori, ripristinando quella che era l’originaria formulazione del comma 3 bis dell’art. 7 del d.lgs. 626/1994. Tale scopo viene perseguito abrogando l’ultimo periodo del comma 4 dell’art. 26 che ha introdotto una fattispecie derogatoria al principio di responsabilità solidale fra gli operatori.
Deve a tal fine rilevarsi che la responsabilità solidale, senza alcuna deroga, era già stata prevista, dall’art. 1, comma 910, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che aveva introdotto un comma 3-bis nell’art. 7 del d.lgs. n. 626 del 1994, per i danni non indennizzati dall’INAIL.
Tuttavia, quando, nel 2008, è stato promulgato il D.lgs. 81/2008 ed è stato abrogato il precedente d.lgs. n. 626/1994, il previgente art. 7 è stato riproposto nel comma 4 dell’art. 26, introducendo però la limitazione e la deroga di cui all’ultimo periodo, oggi oggetto del quesito referendario.
Dunque, come anche rilevato dalla Corte Costituzionale, “Dalla formulazione del quesito e dall’analisi della sua incidenza sul quadro normativo si evince in modo inequivocabile la finalità di rafforzare la responsabilità solidale per i danni non indennizzati dall’INAIL o dall’IPSEMA e di ripristinarne l’originaria ampiezza, nei termini definiti dall’art. 1, comma 910, della legge n. 296 del 2006, che non contemplava limitazioni di sorta.”
La questione, così come il quesito, è assolutamente complessa: su una norma estremamente tecnica si inserisce infatti una questione sicuramente politica, legata all’evoluzione e (forse) alla distorsione del meccanismo del subappalto; il che rende ogni ragionamento sul punto insidioso.
Inquadramento normativo e ambito di applicazione dell'art. 26
Ai fini di un corretto inquadramento della questione, occorre partire perimetrando con precisione la tematica oggetto del quesito referendario individuando l’ambito di applicazione di tale disposizione, così da comprendere l’effettiva incidenza della stessa.
L’art. 26 co. 4, il cui ultimo periodo è oggetto del referendum abrogativo, è inserito all’interno del testo unico in materia di sicurezza sul lavoro (D.lgs. 81/2008). Tale corpus normativo contiene un serie di disposizioni assai precise in materia di obblighi di sicurezza, misure di prevenzione e responsabilità civili e amministrativi in caso di inadempienze. Deve però precisarsi che, ove non arriva il D.lgs 81/2008, interviene la normativa generale di cui al Codice Civile: quest’ultima, dal canto suo, fissa alcuni principi e regole, che integrano e completano le disposizioni sicuramente più precise e puntuali contenute nel D.Lgs. 81/2008 (1).
Orbene, la responsabilità solidale fra gli operatori non è prevista e contemplata solo dall’art. 26 co. 4, ma trova la sua fonte anche nella normativa civilistica: conseguentemente, quella disciplinata dall’art. 26 co. 4 è solo una delle ipotesi di responsabilità solidale fra gli operatori economici nel caso di infortunio del lavoratore. La responsabilità dell’appaltatore, del subappaltatore e del committente è stata infatti più volte riconosciuta dalla giurisprudenza, non solo ai sensi dell’art. 26 co. 4, ma anche ai sensi del combinato disposto degli artt. 2087 c.c. e 2055 c.c. (2): dunque l’art. 26 co. 4 non costituisce l’unico, benché mai l’ultimo, baluardo a difesa della responsabilità solidale fra gli operatori. Tuttavia, l’importanza di tale previsione così specifica (ed anche la sua forza) risiede nel fatto che disciplina in modo molto preciso e perentorio una particolare ipotesi di responsabilità solidale: il che renda la sua applicazione particolarmente efficace.
Tale precisazione consente di giungere subito ad una prima conclusione: quale che sia l’esito del referendum, e dunque sia nel caso in cui la deroga dell’ultimo periodo “sopravviva”, sia nel caso in cui detta deroga venga abrogata, la responsabilità solidale fra gli operatori permane anche alla luce della normativa generale di cui al Codice Civile. Normativa che, tuttavia, è meno stringente e meno puntuale rispetto a quella del citato art. 26, e la cui applicazione è sicuramente più complessa.
Note
1. Per quel che può interessare ai fini della presente disamina, i principi del Codice civile integrano e si affiancano al D.lgs 81/2008 per ciò che attiene agli obblighi di protezione del datore di lavoro sui propri dipendenti (art. 2087 c.c.), per ciò che attiene ai principi di responsabilità solidale fra i soggetti che con le loro condotte hanno concorso alla causazione di un danno. Proprio la giurisprudenza ha più volte affermato che “l'art. 2087 c.c. che, integrando le disposizioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro previste da leggi speciali, impone all'imprenditore l'adozione delle misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro, è applicabile anche nei confronti del committente, obbligandolo a provvedere alle misure di sicurezza dei lavoratori, benché da lui non dipendenti, ove egli stesso si sia reso garante della vigilanza relativa alle misure da adottare in concreto, riservandosi i poteri tecnico-organizzativi dell'opera da eseguire. (Cass. Civile, Sez. Lav., 10 gennaio 2023, n. 375).
2. Particolarmente chiara sul punto la sentenza della Corte di Cassazione, Sez. Lav., 10 gennaio 2023, n. 375 secondo cui “in linea generale, infatti, deve rileva, si che la responsabilità dell'appaltatore non solo non esclude quella del committente (Sez. 3, Sentenza n. 25758 del 15/11/2013, Rv. 629134 - 01), ma anzi quest'ultima è configurabile quando vi sia stata in concreto assunzione di una posizione di garanzia e comunque, qualora il lavoratore presti la propria attività in esecuzione di un contratto d'appalto, non viene meno se non per i soli rischi specifici delle attività proprie dell'appaltatore o del prestatore d'opera (Sez. 4 penale, Sentenza n. 12348 del 29/01/2008 Ud., dep. 20/03/2008, Rv. 239252 - 01).
Invero, questa Corte ha già ritenuto (Sez. 4 penale, Sentenza n. 7188 del 10/01/2018 Ud., dep. 14/02/2018, Rv. 272221 - 01) che, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente, anche nel caso di subappalto, è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l'infortunio, sia per la scelta dell'impresa sia in caso di omesso controllo dell'adozione, da parte dell'appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro., specie nel caso in cui la mancata adozione o l'inadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini. Si è anche affermato (Sez. 4 penale, Sentenza n. 28728 del 22/09/2020 Ud., dep. 16/10/2020, Rv. 280049 - 01) che, in materia di infortuni sul lavoro, in caso di lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto, sussiste la responsabilità del committente che, pur non ingerendosi nella esecuzione dei lavori, abbia omesso di verificare l'idoneità tecnico¬ professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati, poiché l'obbligo di verifica di cui all'art. 90, lett. a), d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, non può risolversi nel solo controllo dell'iscrizione dell'appaltatore nel registro delle imprese, che integra un adempimento di carattere amministrativo.
Analoga la posizione delle sezioni civili di questa Corte, che hanno affermato (Sez. 3, Sentenza n. 21694 del 20/10/2011, Rv. 620243 - 01) che, in tema d'infortuni sul lavoro, l'art. 2087 cod. civ., espressione del principio del "neminem laedere" per l'imprenditore e l'art. 7 del d.lgs. 19 settembre 1994 n. 626, che disciplina l'affidamento di lavori in appalto all'interno dell'azienda, prevedono l'obbligo per il committente, nella cui disponibilità permane l'ambiente di lavoro, di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità e la salute dei lavoratori, ancorché dipendenti dall'impresa appaltatrice, consistenti nell'informazione adeguata dei singoli lavoratori e non solo dell'appaltatrice, nella predisposizione di tutte le misure necessarie al raggiungimento dello scopo, nella cooperazione con l'appaltatrice per l'attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi sia al luogo di lavoro sia all'attività appaltata, tanto più se caratterizzata dall'uso di macchinari pericolosi. Pertanto l'omissione di cautele da parte dei lavoratori non è idonea ad escludere il nesso causale rispetto alla condotta colposa del committente che non abbia provveduto all'adozione di tutte le misure di prevenzione rese necessarie dalle condizioni concrete di svolgimento del lavoro, non essendo né imprevedibile né anomala una dimenticanza dei lavoratori nell'adozione di tutte le cautele necessarie, con conseguente esclusione, in tale ipotesi, del cd. rischio elettivo, idoneo ad interrompere il nesso causale ma ravvisabile solo quando l'attività non sia in rapporto con lo svolgimento del lavoro o sia esorbitante dai limiti di esso.
I destinatari
Quanto ai destinatari dell’art. 26 co. 4, essi sono i cd. “imprenditori committenti”, e dunque quei soggetti che nell’ambito di un’attività di impresa appaltano o subappalta l’esecuzione di specifiche lavorazioni e interventi. Tale disposizione, pertanto, nel momento in cui contempla una responsabilità in solido per un infortunio sul lavoro, si rivolge unicamente agli appaltatori, ai subappaltatori, ai general contractor.
Conseguentemente, sono esclusi dalla specifica responsabilità in solido di cui all’art. 26, i soggetti che non operano da imprenditori, e dunque il committente privato, che appalta l’esecuzione dei lavori per un bene di sua proprietà, il committente “condominio” che appalta lavori su beni condominiali, etc..
Tale precisazione consente dunque di superare quel timore per cui, con l’abrogazione dell’ultimo periodo del comma 4 dell’art. 26, tutti i committenti, ivi compresi i soggetti privati, possano dover rispondere in solido per infortuni sul lavoro occorsi ai lavoratori.
Ciò, tuttavia, non esclude che essi possano essere considerati comunque responsabili per gli infortuni sul lavoro, in ragione delle previsioni generali di cui al Codice Civile, in particolare per via della cd. culpa in eligendo (3).
Proprio la responsabilità per la cd. culpa in eligendo rappresenta un principio pacifico nel nostro ordinamento, indipendentemente da quanto previsto dal D.lgs. 81/2008: infatti la responsabilità dei committenti (siano essi imprenditori, siano essi privati) per gli infortuni sul lavoro sussiste nel caso in cui il lavoro sia stato affidato ad un soggetto manifestamente inidonea a svolgere lo stesso in sicurezza (4).
Naturalmente, dimostrare la responsabilità per culpa in eligendo del committente o del subcommittente è sicuramente più complesso rispetto a dimostrare la responsabilità ex art. 26 del D.lgs 81/2008. Il che spiega le argomentazioni del comitato promotore del referendum secondo cui, estendendo l’ambito della responsabilità solidare fra gli operatori, essi sarebbero indotti a prestare più attenzione e cura nella scelta degli appaltatori e dei subappaltatori più affidabili circa il rispetto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro.
Note
3. Anche in questo caso la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire "Poiché l'appaltatore gode di autonomia organizzativa e gestionale, una responsabilità del committente per i danni causati a terzi durante l'esecuzione dell'opera è configurabile solo in due casi: o quando l'opera sia stata affidata ad impresa manifestamente inidonea (cosiddetta "culpa in eligendo"), ovvero quando la condotta causativa del danno sia stata imposta all'appaltatore dal committente stesso, attraverso rigide ed inderogabili direttive" (Cass. 10588/ 2008; Cass. 36399/ 2023). Cassazione civile sez. III, 10/05/2024, (ud. 15/04/2024, dep. 10/05/2024), n.12839
4. La giurisprudenza in tal senso è pacifica nel sostenere che “una corresponsabilità del committente può sorgere solo in caso di specifiche violazioni di regole di cautela ex art. 2043 c.c., ovvero in caso di una riferibilità dell'evento al committente stesso per una culpa in eligendo e cioè per essere stata l'opera affidata a chi palesemente difettava delle necessarie capacità o dei mezzi tecnici indispensabili per eseguire la prestazione senza il pericolo di arrecare danni a terzi; in particolare, in materia di appalto, anche di opera pubblica, non è configurabile a carico dell'appaltante una responsabilità indiretta per fatto illecito dell'appaltatore, a meno che, in base ai patti contrattuali, l'esecuzione dei lavori all'autonomia dell'appaltatore e rimessa all'immediata ed esclusiva direzione del committente (così Cass., sez. III, sent. 29/09/2003, n. 14465; conforme Cass., sez. III, sent. 23/04/2008, n. 10588)” Cass. civile sez. III, 29/12/2023, n.36399.
Danni e responsabilità solidale
Altra precisazione riguarda i danni, per i quali l’art. 26 contempla una responsabilità solidale.
Tale responsabilità solidale non riguarda tutti i danni che può subire un lavoratore nello svolgimento della sua prestazione, bensì solo quelli per i quali il lavoratore “non risulti indennizzato ad opera dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) o dell'Istituto di previdenza per il settore marittimo (IPSEMA)”: si tratta dunque, a titolo esemplificativo e non esaustivo, di ipotesi di danno biologico differenziale o danno morale-esistenziale.
La corretta comprensione di tale disposizione richiede una premessa: in caso di infortunio sul lavoro – salvo deroghe specifiche legate, ad esempio, alla tipologia del datore di lavoro – il danno viene indennizzato in prima battuta dall’INAIL (o dall’IPSEMA), sulla base di criteri e tabelle proprie di tale Ente. Il lavoratore riceve dunque un indennizzo “sicuro” e “rapido” che, tuttavia, può non corrispondere a quello per cui esso ritiene di aver diritto: pertanto, egli è legittimato ad agire direttamente verso il datore di lavoro e i committenti per ricevere il cd. danno differenziale e dunque la differenza fra quanto già percepito dall’Inail e quanto ritiene di aver diritto. Dunque, la responsabilità solidale fra gli operatori riguarda principalmente questo “danno differenziale” (oltre altre ipotesi di danno non indennizzato dall’INAIL, come può essere il danno morale). Dal canto suo, l’INAIL avrà diritto ad agire verso il datore di lavoro e gli altri soggetti responsabili in solido per la restituzione di questa somma versata al lavoratore. Occorre precisare che la responsabilità solidale del datore di lavoro e degli altri operatori nei confronti dell’INAIL si basa su regole e previsioni diverse da quelle dell’art. 26 che, pertanto, non vengono toccate dal referendum abrogativo.
Tale precisazione consente di inquadrare correttamente l’argomentazione dei promotori del referendum secondo cui, con l’abrogazione dell’ultimo periodo del comma 4, i lavoratori avrebbero maggiori certezze e possibilità di ricevere un risarcimento, senza correre il rischio che i soggetti responsabili possano essere incapienti. In realtà, tale rischio è in gran parte assorbito dal ruolo dell’INAIL che “paga” esso stesso l’indennizzo al lavoratore infortunato, indipendentemente dalla capienza del datore di lavoro. Conseguentemente, il rischio di incapienza tale da precludere l’ottenimento del risarcimento del danno attiene esclusivamente ad una parte (in genere, minima) di danno. Tuttavia, è anche vero – come sostengono i promotori del referendum - che la previsione di una responsabilità solidale fra gli operatori svolge un ruolo di deterrenza e spinge tutti gli operatori ad una maggiore attenzione, proprio al fine di evitare la responsabilità solidale.
Tale rilievo consente di arrivare all’esame specifico della deroga prevista dall’ultimo periodo del comma 4, oggetto della richiesta di abrogazione mediante referendum.
La sicurezza nei luoghi di lavoro
Ai fini della corretta comprensione della questione, occorre una breve premessa: il sistema di sicurezza sul luogo di lavoro delineato prima dalla 626/1994 e poi dal d.lgs. 81/2008 si basa – in estrema sintesi e semplificazione - sul principio di un controllo reciproco fra gli operatori e sulla conseguente responsabilità collettiva (e dunque solidale) degli operatori: tale sistema richiede dunque un accurato coordinamento fra gli operatori e fra le misure di sicurezza da applicare.
Particolarmente significativo di tale approccio è in questo senso è il Piano di sicurezza e coordinamento, ove i singoli POS vengono tra loro coordinati e armonizzati affinché tutti i lavoratori possano operare in sicurezza e tutti, a loro volta, possano controllare il rispetto delle regole di sicurezza.
In pratica, tutti i lavoratori e tutti gli operatori sono responsabili dell’osservanza e del controllo dei sistemi e dei piani di sicurezza, che a loro volta devono essere coordinati fra loro e organizzati da un professionista responsabile.
Naturalmente, quelli che costituiscono i “rischi specifici” propri di una particolare attività, viste le loro peculiarità, non possono essere “coordinati” in modo efficace con il sistema e il piano di sicurezza generale, né tanto meno possono essere oggetto di un sistema di controllo collettivo.
A titolo esemplificativo, l’esecuzione di una specifica lavorazione, come può essere ad esempio l’attività edilizia “su fune”, è talmente specifica e soggetta a regole talmente particolari e peculiari che difficilmente può essere inserita in modo efficace in un sistema di sicurezza coordinato: in tal senso, un’attività così peculiare difficilmente può essere oggetto di controllo e di verifica da parte di soggetti non esperti di tale modalità di lavorazione.
Un tale contesto, ripetesi, rappresentato in modo “estremamente semplificato e riassuntivo”, può in astratto spiegare la deroga e la limitazione di responsabilità prevista dell’ultimo periodo del comma 4 dell’art. 26: le lavorazioni particolari e i relativi “rischi specifici” non possono determinare una responsabilità solidale fra tutti gli operatori proprio perché, afferendo a rischi specifici, gli altri operatori non sono materialmente in grado di verificare e controllare che siano rispettate tutte le misure di sicurezza, e pertanto non possono essere considerati responsabili in solido per qualcosa rispetto al quale non hanno alcun potere di controllo e intervento.
Tuttavia, tale quadro e tale scelta normativa appare oggi inattuale e inefficace ove si consideri l’evoluzione del sistema di subappalto: il che – spoilerando le conclusioni del presente contributo – potrebbe giustificare il cambio di rotta richiesto con il referendum abrogativo.
In tal senso, è notorio che, negli ultimi anni, sia notevolmente incrementato il ricorso al sistema di subappalto: l’impresa principale esegue sempre meno lavorazioni con i propri lavoratori, preferendo subappaltare interventi più o meno specifici ad altri soggetti ed operatori. Particolarmente significativo in questo senso è lo sviluppo di figure come il general contractor che, di fatto, non esegue direttamente alcuna lavorazione, subappaltandole tutte a soggetti diversi.
Conclusioni
Tutto ciò porta all’aberrante conclusione di veder frustrato il sistema di sicurezza sul lavoro concepito del D.lgs. 81/2008. Mancando un soggetto unico che esegue le lavorazioni principali e subappalta solo quelle “speciali” e “peculiari”, tutte le lavorazioni e gli interventi oggetto dei singoli subappalti finiscono per rientrare nella previsione (rectius nella deroga) dell’ultimo periodo del comma 4: con la conseguenza di limitare, se non proprio bloccare, il sistema della responsabilità solidale.
In estrema sintesi: prima, la deroga alla responsabilità solidale di cui all’ultimo periodo del comma 4 poteva aver senso proprio perché le attività subappaltate costituivano una minoranza, caratterizzata da proprie peculiarità e specificità operative; ora, considerato che il ricorso al subappalto è notevolmente incrementato, e tutte le lavorazioni vengono di fatto subappalte, la deroga alla responsabilità solidale rischia di frustrare il senso del controllo e della responsabilità collettiva che caratterizza il sistema della sicurezza sul lavoro.
Dunque, proprio il notevole incremento del ricorso allo strumento del subappalto ha reso l’articolo 26 co. 4 inattuale, limitandone la sua efficacia e protezione: si rende pertanto necessario – ad avviso di chi scrive – una sua modifica al fine di adeguarlo alla nuova realtà del subappalto, cominciando, così come richiesto dal referendum, ad abrogare la limitazione introdotta, in quanto ormai ingiustificata e inattuale.
Naturalmente, sempre ad avviso di chi scrive, l’abrogazione di tale previsione deve costituire il primo passo di un percorso che vada ad intervenire disciplinando in modo più preciso e puntuale il fenomeno del subappalto: fenomeno che, nel bene e nel male, sta caratterizzando attualmente l’organizzazione del lavoro e lo svolgimento delle attività, ragion per cui rende necessario un intervento tecnico del legislatore. E ciò indipendentemente dall’esito del referendum dell’8-9 giugno.