Recupero sottotetti, ristrutturazione edilizia e vincoli urbanistici: interviene il Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato chiarisce che il solo adeguamento sismico non basta a legittimare interventi di ristrutturazione di un sottotetto, in contrasto con le norme urbanistiche comunali

di Redazione tecnica - 06/06/2025

Quali limiti pone la pianificazione urbanistica locale agli interventi edilizi in zona A? Quando un permesso di costruire può essere rilasciato nonostante la normativa di zona vieti interventi diversi dalla manutenzione ordinaria? E in che misura la corretta qualificazione edilizia delle opere incide sulla legittimità del titolo abilitativo?

Cambio d’uso, sopraelevazione e vincoli urbanistici: il Consiglio di Stato riforma il TAR

Domande quanto mai attuali, affrontate inizialmente dal Tribunale Amministrativo Regionale, che ha respinto un ricorso finalizzato all’annullamento di un permesso di costruire, del parere favorevole del responsabile unico del procedimento e dell’autorizzazione sismica, relativi a un intervento che prevedeva:

  • il cambio di destinazione d'uso del piano terra da residenziale a commerciale (pizzeria);
  • la diversa distribuzione interna del piano primo;
  • la demolizione e ricostruzione della copertura con sopraelevazione, abbaino e cordoli sismici.

Ma in Italia la giustizia amministrativa si articola su più gradi di giudizio e, dopo il TAR, può intervenire il Consiglio di Stato. E così è avvenuto nel caso esaminato nella sentenza n. 4848 del 4 giugno 2025, con la quale i giudici di Palazzo Spada hanno riformato la decisione di primo grado, annullando il permesso di costruire rilasciato per un immobile ricadente in zona omogenea A, soggetta a vincoli particolarmente restrittivi.

Il caso: le opere autorizzate e il contesto urbanistico

Il titolo edilizio oggetto di controversia autorizzava una serie di interventi edilizi in zona A, comprendenti modifiche interne, cambio d’uso e interventi strutturali con aumento delle altezze. In particolare, le opere prevedevano:

  • trasformazione funzionale del piano terra da residenziale a commerciale (pizzeria);
  • modifiche interne al piano primo;
  • ricostruzione della copertura con aumento dell’altezza alla gronda di 60 cm e al colmo di 18 cm;
  • realizzazione di un abbaino e inserimento di cordoli in sommità.

Tutte le opere venivano giustificate dall’amministrazione comunale come necessarie per esigenze funzionali e di adeguamento sismico.

Il fabbricato, però, si trovava in una zona A ai sensi del d.m. 1444/1968, per la quale le Norme Tecniche di Attuazione del Piano Regolatore ammettevano esclusivamente interventi di manutenzione ordinaria, escludendo ristrutturazioni e mutamenti di destinazione d’uso.

Il giudizio di primo e secondo grado

Il ricorso veniva inizialmente respinto dal TAR, che aveva ritenuto il permesso legittimo sulla base di alcune considerazioni:

  • la modifica della copertura e l’inserimento del cordolo sismico erano stati qualificati come interventi non comportanti nuova volumetria né impatto significativo;
  • l’abbaino veniva considerato elemento accessorio e compatibile;
  • il mutamento di destinazione d’uso era ritenuto non incompatibile con le previsioni urbanistiche.

La pronuncia del TAR è stata però smentita in secondo grado. Il Consiglio di Stato ha, infatti, accolto l’appello e annullato il titolo abilitativo, rilevando:

  • qualificazione edilizia errata: le opere eseguite non potevano essere ricondotte alla manutenzione ordinaria o straordinaria, ma costituivano una vera e propria ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 380/2001;
  • violazione della disciplina urbanistica: la zona omogenea A, secondo le NTA del PRG, ammette esclusivamente interventi di manutenzione ordinaria, escludendo espressamente qualsiasi intervento più invasivo, incluso il cambio d’uso;
  • inidoneità del cordolo sismico a giustificare la sopraelevazione: le prescrizioni delle NTC, pur finalizzate alla sicurezza strutturale, non possono derogare alla normativa urbanistica, che resta vincolante;
  • mancata valutazione della compatibilità urbanistica da parte dell’amministrazione: il titolo rilasciato non dimostrava un’effettiva coerenza con le prescrizioni di zona e si poneva in netto contrasto con il piano regolatore.

In conclusione, i giudici hanno annullato il permesso di costruire e tutti gli atti conseguenti.

Conclusioni

Il nuovo intervento del Consiglio di Stato conferma un principio spesso trascurato nella prassi edilizia: la conformità urbanistica è presupposto imprescindibile per il rilascio del titolo abilitativo. Non può essere derogata per esigenze tecniche, né superata da letture estensive delle definizioni funzionali.

Adeguamento sismico, miglioramento delle condizioni d’uso, aggiornamento tecnologico: tutte esigenze legittime, ma che devono confrontarsi – e non eludere – i limiti imposti dagli strumenti urbanistici.

Un ulteriore segnale, se mai ce ne fosse bisogno, che la riforma della normativa edilizia non può più attendere. Serve un impianto chiaro, armonico e coerente, che consenta di garantire sicurezza, legalità e qualità urbana, partendo da un metodo condiviso e affidandosi alle competenze tecniche di chi conosce davvero il territorio.

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