Fiscalizzazione dell’abuso edilizio: il Consiglio di Stato chiarisce i limiti applicativi dell’art. 34 TUE

Quando l’abuso edilizio non può essere fiscalizzato: totale difformità, distanza minima inderogabile e nuovi principi applicativi ribaditi dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4950/2025

di Gianluca Oreto - 09/06/2025

Quando è possibile applicare la sanzione alternativa alla demolizione prevista all’art. 34 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia)? E fino a che punto è consentito invocare accordi tra privati o normative sopravvenute per superare il vincolo delle distanze minime inderogabili tra edifici?

Fiscalizzazione dell’abuso edilizio: il Consiglio di Stato sui limiti dell’art. 34 TUE

Domande su cui si è formata, nel tempo, una copiosa giurisprudenza amministrativa e che — soprattutto in relazione alla distinzione tra abusi parziali e totali — restano centrali per valutare le reali possibilità di sanatoria offerte dal Testo Unico Edilizia.

Un tema oggi ancora più attuale se si considera che, con le modifiche introdotte dalla Legge n. 105/2024 di conversione del D.L. n. 69/2024 (Salva Casa), gli abusi parziali — così come le variazioni essenziali — possono ora essere gestiti attraverso la sanatoria semplificata e la “doppia conformità alleggerita” prevista dal nuovo art. 36-bis TUE.

Sul punto è tornato a pronunciarsi il Consiglio di Stato che, con la recentissima sentenza n. 4950 del 6 giugno 2025, ha ribadito alcuni principi fondamentali in materia di classificazione e repressione degli abusi edilizi.

Il caso oggetto del contenzioso

Il contenzioso trae origine da un intervento edilizio realizzato su un immobile inizialmente oggetto di un permesso di costruire (formato per silenzio-assenso) relativo a lavori di ristrutturazione e ad alcune opere accessorie.

Successivamente, l’amministrazione comunale aveva parzialmente annullato in autotutela il titolo edilizio, contestando in particolare:

  • la sopraelevazione dell’edificio, non conforme ai parametri di altezza minima prescritti;
  • la modifica della sagoma e delle falde di copertura;
  • la violazione delle distanze minime tra edifici, in contrasto con quanto stabilito dal D.M. 1444/1968.

Nonostante l’annullamento parziale, erano stati eseguiti ulteriori lavori in sopraelevazione e per tali opere veniva presentata una domanda di sanatoria ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001. Il permesso di costruire in sanatoria rilasciato veniva tuttavia annullato in sede giurisdizionale.

All’esito del nuovo riesame, il Comune rigettava definitivamente la richiesta di sanatoria e disponeva la demolizione della parte di edificio realizzata in sopraelevazione.

A seguito dell’ordinanza di demolizione, veniva avanzata istanza di fiscalizzazione ai sensi dell’art. 34 del TUE, sostenendo che le opere potessero essere inquadrate nell’ambito della “parziale difformità”.

L’amministrazione, tuttavia, respingeva tale richiesta, ritenendo che l’intervento configurasse una “totale difformità” e dunque ricadesse nella disciplina repressiva dell’art. 31 TUE, con conseguente inapplicabilità della sanzione pecuniaria sostitutiva.

Il provvedimento di rigetto veniva impugnato, con esito sfavorevole in primo grado e conferma in sede di appello da parte del Consiglio di Stato.

Il quadro normativo di riferimento

Benché all’interno del Testo Unico Edilizia non siano limpidi i contorni che separano le varie tipologie di abuso, è possibile far riferimento ai seguenti articoli del Testo Unico Edilizia:

  • l’art. 31 disciplina gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, prevedendo come sanzione primaria la demolizione (che non può essere sostituita da nessuna sanzione alternativa);
  • l’art. 32 che definisce le variazioni essenziali rimandando poi il dettaglio alla normativa regionale;
  • l’art. 33 relativo agli interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità che prevede la demolizione o qualora, sulla base di motivato accertamento dell'ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, una sanzione alternativa;
  • l’art. 34 disciplina, invece, gli interventi realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire, ammettendo in questi casi e a determinate condizioni la possibilità di sostituire la demolizione con una sanzione pecuniaria.

Ai sensi dell’art. 31, comma 1, del TUE, sono considerati “abusi totali” gli interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile.

Ai sensi dell’art. 32, comma 1, del TUE – che come anticipato rimanda il dettaglio alla normativa regionale – una variazione essenziale ricorre quando si verifica una o più delle seguenti condizioni:

  • mutamento della destinazione d'uso che implichi variazione degli standards previsti dal DM n. 1444/1968;
  • aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato;
  • modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell'edificio sull'area di pertinenza;
  • mutamento delle caratteristiche dell'intervento edilizio assentito;
  • violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali.

Da ricordare pure che una variazione essenziale effettuata su immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico, ambientale e idrogeologico, nonché su immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e regionali, è da considerare totale difformità.

Gli abusi “parziali” sono tutti quelli “in mezzo” tra l’abuso totale e la variazione essenziale.

Ai fini della corretta lettura della sentenza va considerato, infine, l’art. 9 del D.M. 1444/1968 che stabilisce le distanze minime inderogabili tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. Nel caso di zona B tale distanza minima assoluta è di almeno 10 metri.

La decisione del Consiglio di Stato

Ricostruito il quadro normativo di riferimento, è possibile passare in rassegna la sentenza del Consiglio di Stato che, di fatto, ha confermato la posizione dell’amministrazione e del TAR, chiarendo alcuni punti chiave.

Qualificazione dell’abuso come totale difformità

Anche il Consiglio di Stato ha evidenziato che l’intervento abusivo — consistente in una sopraelevazione con modifica della copertura, delle sagome e delle altezze — non rappresentava una semplice parziale difformità ma una vera e propria trasformazione radicale dell’edificio.

Non rileva in tal senso la modesta percentuale di volume aggiunto rispetto all’esistente (meno del 5%, come sostenuto dai ricorrenti). Ciò che conta è la natura e l’effetto sostanziale della trasformazione, che qui ha comportato un organismo edilizio integralmente diverso rispetto a quello assentito.

Di conseguenza, correttamente il Comune ha inquadrato l’abuso nell’ambito dell’art. 31, precludendo la fiscalizzazione.

Inderogabilità delle distanze minime

I giudici hanno ribadito con nettezza che le distanze minime prescritte dal D.M. n. 1444/1968 sono norme inderogabili:

  • non possono essere superate tramite accordi tra privati;
  • non è possibile invocare l’art. 2-bis, comma 1-ter, del TUE per legittimare nuove opere in contrasto con tali limiti;
  • 1l’eventuale legittimità di situazioni preesistenti non consente di reiterare o aggravare la violazione con nuovi interventi (come avvenuto nella sopraelevazione oggetto di causa).

Esclusione della fiscalizzazione

I giudici di secondo grado hanno inoltre evidenziato che la mancata impugnazione dell’ordinanza di demolizione ha cristallizzato l’inquadramento dell’abuso come rientrante nell’art. 31. In tale contesto, non è possibile per l’amministrazione accogliere successivamente un’istanza di fiscalizzazione, poiché mancano i presupposti giuridici per farlo.

La cristallizzazione giuridica della qualificazione dell’abuso come “totale” ha definitivamente escluso l’applicabilità della disciplina ex art. 34, a prescindere da successive valutazioni tecniche o di opportunità

Insussistenza del legittimo affidamento

Infine, è stato respinto anche il richiamo ai principi di proporzionalità e legittimo affidamento. Il Consiglio di Stato ha ribadito che non può esservi affidamento giuridicamente tutelabile sul mantenimento di opere abusive realizzate in assenza o in radicale difformità dal titolo edilizio, ancor più se mai autorizzate in alcuna forma.

Considerazioni operative

La sentenza conferma alcuni principi di grande rilievo pratico per tutti i tecnici chiamati a gestire situazioni di abuso edilizio:

  • la fiscalizzazione è un’eccezione limitata ai soli casi di parziale difformità che non può essere invocata in presenza di trasformazioni radicali, variazioni essenziali o assenza sostanziale di titolo;
  • il dato quantitativo (volume realizzato) non è sufficiente di per sé a escludere l’inquadramento come abuso totale: è la complessiva trasformazione dell’organismo edilizio a rilevare;
  • le distanze di cui al D.M. n. 1444/1968 sono inderogabili: nessun accordo tra privati o successiva modifica normativa può legittimare la violazione di tali parametri;
  • l’inerzia del privato (nel non impugnare l’ordinanza di demolizione) consolida l’efficacia del provvedimento repressivo e impedisce successive invocazioni dell’art. 34;
  • non può invocarsi il principio di legittimo affidamento per il mantenimento di abusi mai legittimati.

Conclusioni

La sentenza del Consiglio di Stato si pone come un importante punto fermo in materia di repressione degli abusi edilizi. Ancora una volta viene chiarito che la fiscalizzazione è un istituto residuale e rigorosamente circoscritto che non può essere trasformato in uno strumento di sanatoria generalizzata né può essere utilizzato per aggirare norme inderogabili come quelle sulle distanze minime.

In definitiva, occorre valutare con la massima attenzione la natura dell’abuso, evitando di alimentare facili aspettative su sanatorie o fiscalizzazioni che, alla prova del diritto, risultano giuridicamente impraticabili.

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