Edilizia e Salva Casa: come provare lo stato legittimo di un immobile
Guida operativa all’utilizzo dell’art. 9-bis, comma 1-bis, del Testo Unico Edilizia per l’attestazione dello stato legittimo degli immobili
Una delle migliori intuizioni del legislatore è stata quella di inserire il comma 1-bis all’art. 9-bis del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia). Mi riferisco, naturalmente, al concetto di “stato legittimo” di un immobile, che fino al D.L. n. 76/2020 (Decreto Semplificazioni) era incredibilmente assente nel Testo Unico Edilizia.
Stato legittimo: cosa prevede il Testo Unico Edilizia
Con la Legge n. 105/2024 di conversione del D.L. n. 69/2024 (Salva Casa), Governo e Parlamento hanno varato un nuovo pacchetto di modifiche, tra cui la riscrittura del comma 1-bis e l’introduzione del comma 1-ter (che distingue lo stato legittimo tra parti comuni e private negli edifici plurifamiliari).
In questa guida pratica cercherò di chiarire, con taglio operativo, come ricostruire lo stato legittimo di un immobile, partendo dal testo vigente dell’art. 9-bis, comma 1-bis, integrando spunti di giurisprudenza e Linee Guida del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (sulle quali — lo anticipo — nutro più di una perplessità).
Come sempre, applicherò il mio “metodo dell’esplosione normativa”, analizzando i singoli periodi del citato comma 1-bis.
Stato legittimo: i titoli di partenza
Il primo periodo dispone “Lo stato legittimo dell'immobile o dell'unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa o da quello, rilasciato o assentito, che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o l'intera unità immobiliare, a condizione che l'amministrazione competente, in sede di rilascio del medesimo, abbia verificato la legittimità dei titoli pregressi, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali”.
Il punto di partenza per ricostruire lo stato legittimo può essere (alternativamente) il titolo edilizio “rilasciato o assentito”
- che ha previsto la costruzione dell’immobile (concessione/licenza edilizia, permesso di costruire) o che l’ha legittimata (condoni e sanatorie);
- che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o l'intera unità immobiliare, a condizione che l'amministrazione competente, in sede di rilascio del medesimo, abbia verificato la legittimità dei titoli pregressi, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali.
Ma, cosa si intende per titoli “rilasciati o assentiti”?
Certamente le concessioni/licenze edilizie e i permessi di costruire sono titoli rilasciati.
Qualche perplessità possiamo averla sui titoli “assentiti”. In edilizia, il termine "assentito" è utilizzato per indicare che un determinato intervento o titolo edilizio è stato formalmente approvato o autorizzato dall’amministrazione competente.
Sull’argomento molto interessate è l’interpretazione fornita dal MIT. Secondo le Linee guida (FAQ D1.1.1), per far valere il titolo edilizio più recente che ha interessato l’intero immobile o l’unità immobiliare ai fini della dimostrazione dello stato legittimo, è possibile assumere che l’Amministrazione abbia verificato la legittimità dei titoli pregressi in determinate condizioni operative. In particolare:
- quando il titolo più recente sia stato rilasciato con formale provvedimento, che attesti espressamente — anche tramite eventuali clausole-tipo — che lo stesso è stato adottato previa verifica della legittimità dei titoli pregressi;
- oppure, con riferimento ai titoli rilasciati con formale provvedimento o formatisi per silenzio-assenso (“come nel caso della SCIA o della SCIA alternativa al permesso di costruire”), laddove siano stati indicati gli estremi dei titoli originari e successivi relativi all’immobile o all’unità immobiliare e, sulla base della documentazione prodotta, non sia stata formulata alcuna contestazione da parte dell’Amministrazione in ordine a eventuali difformità rispetto allo stato legittimo.
In sostanza, secondo le Linee guida la verifica della legittimità dei titoli pregressi non comporta un riesame integrale “a ritroso” da parte dell’Amministrazione, ma si ritiene assolta quando:
- gli elementi dichiarati e documentati dal privato hanno consentito all’Amministrazione, in sede di rilascio del titolo più recente, di appurare che l’immobile è stato interessato da titoli legittimi e validi;
- e non sono state sollevate contestazioni esplicite su eventuali difformità pregresse che avrebbero potuto ostare al rilascio del nuovo titolo.
Resta naturalmente salva la possibilità per l’Amministrazione di agire qualora emerga che la documentazione prodotta sia incompleta o mendace, o che difformità siano state realizzate successivamente al titolo più recente.
A mio avviso il tema è controverso. Secondo la formulazione normativa (“titolo rilasciato o assentito”), la SCIA non è né l’uno né l’altro. La SCIA (art. 19 della Legge n. 241/1990) è un documento che sostituisce “Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi”.
La SCIA presuppone che decorsi inutilmente 30 giorni dalla sua presentazione, l’attività edilizia può cominciare. Non si tratta, però, di un silenzio assenso (come scritto dal MIT nelle sue linee guida), in quanto siamo dinanzi ad interventi sottoposti al regime di semplificazione voluta dal legislatore (come per la CILA).
Il silenzio-assenso, invece, può aversi nel procedimento di rilascio del permesso di costruire. Ed è in questi casi che, decorsi inutilmente i termini per l’adozione del provvedimento finale, sulla domanda di permesso di costruire si forma il silenzio assenso. Operativamente, per far valere questo titolo ai fini dell’attestazione dello stato legittimo, è possibile richiedere allo sportello unico edilizia un’attestazione circa il decorso dei termini del procedimento.
Volendo, dunque, seguire la formulazione normativa, l’unico titolo utilizzabile dovrebbe essere il permesso di costruire che riguarda l’intero immobile. Sarà interessante verificare i prossimi interventi che arriveranno dalla giurisprudenza amministrativa.
Ad ogni modo, a questi titoli occorre integrare tutti quelli successivi che hanno abilitato interventi parziali.
Altra perplessità riguarda un passo delle Linee guida del MIT secondo le quali “In presenza di eventuali difformità non rilevate dall’Amministrazione in sede di rilascio dei titoli pregressi non potrà, quindi, contestarsi la mancanza di stato legittimo dell’immobile”.
Sull’argomento abbiamo recentemente registrato la posizione:
- del TAR Lombardia (sentenza n. 227 del 25 gennaio 2025) secondo il quale la circostanza che un’opera non legittima sia rappresentata nelle pratiche edilizie non può comportarne la regolarizzazione postuma;
- del Consiglio di Stato (sentenza n. 1382 del 18 febbraio 2025), per cui non è giuridicamente configurabile un assenso implicito a opere abusive.
Stato legittimo: gli altri titoli
Il secondo periodo dispone “Sono ricompresi tra i titoli di cui al primo periodo i titoli rilasciati o formati in applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 34-ter, 36, 36-bis e 38, previo pagamento delle relative sanzioni o oblazioni”.
Nessun dubbio su questa formulazione che fa rientrare (forse anche in maniera ridondante rispetto alle indicazioni del primo periodo):
- i nuovi casi particolari di interventi eseguiti in parziale difformità dal titolo di cui all’art. 34-ter del TUE (varianti ante ’77 e agibilità sanante);
- le due sanatorie ordinaria e semplificate di cui agli artt. 36 e 36-bis del TUE;
- il permesso di costruire in sanatoria formatosi a seguito del pagamento della sanzione nel caso di interventi realizzati sulla base di un permesso di costruire annullato e qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino (art. 38 del TUE).
Stato legittimo: i titoli che concorrono
Il terzo periodo dispone “Alla determinazione dello stato legittimo dell'immobile o dell'unità immobiliare concorrono, altresì, il pagamento delle sanzioni previste dagli articoli 33, 34,37, commi 1, 3, 5 e 6, e 38, e la dichiarazione di cui all'articolo 34-bis”.
Tralasciando la ripetizione (probabilmente un refuso del legislatore) dell’art. 38, giustamente il legislatore ha voluto risolvere la “querelle” relativa a tutte le forme di sanzione alternativa alla demolizione che fino a prima del Salva Casa consentivano di tollerare l’abuso ma senza alcun effetto sulla legittimità dell’immobile che non poteva subire alcun intervento.
Quindi, su un immobile con un titolo di partenza (ordinario o in sanatoria):
- il pagamento delle sanzioni:
- alternative alla demolizione di cui agli articoli 33, 34 e 38;
- per interventi realizzati in assenza di SCIA (art. 37);
- la dichiarazione del tecnico per l’attestazione delle tolleranze costruttive (art. 34-bis);
possono essere utilizzate ai fini dell’attestazione dello stato legittimo.
Stato legittimo: immobili “ante titolo edilizio” e casi di titolo smarrito
Il concetto di “stato legittimo” è particolarmente delicato quando si ha a che fare con immobili costruiti in epoca remota o nei casi in cui non sia più rintracciabile la documentazione edilizia originaria. Il quarto e il quinto periodo dell’art. 9-bis, comma 1-bis, del d.P.R. n. 380/2001 stabiliscono due regole fondamentali per affrontare queste situazioni:
- “Per gli immobili realizzati in un'epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto, o da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d'archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali”.
- “Le disposizioni di cui al quarto periodo si applicano altresì nei casi in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo del quale, tuttavia, non siano disponibili la copia o gli estremi”.
È importante evitare interpretazioni automatiche o approssimative. La sola collocazione temporale dell’edificio – ad esempio “ante 1942” o “ante 1967” – non è di per sé sufficiente a escludere l’obbligo di titolo edilizio. Spesso, soprattutto in ambito urbanistico, questa assenza viene affermata in modo generico e talvolta anche pretestuoso. La normativa nazionale, infatti, va letta in combinazione con la disciplina urbanistica locale vigente all’epoca della realizzazione.
La verifica preliminare da fare è una sola: l'anno di
costruzione dell'immobile coincide con un periodo in cui era
effettivamente assente un piano regolatore o altro strumento
urbanistico che prevedeva l’obbligo del titolo?
Se la risposta è affermativa, sarà necessario dimostrare in modo
concreto che l’immobile è stato costruito in quell’anno,
utilizzando documentazione di tipo probatorio. Gli strumenti
principali a disposizione del tecnico sono:
- informazioni catastali di primo impianto;
- riprese fotografiche storiche;
- estratti cartografici;
- documenti d’archivio (anche comunali o catastali);
- atti pubblici o privati (di provenienza certa).
A tale documentazione, va sempre integrato l’eventuale titolo abilitativo che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio riguardante l’intero immobile o unità immobiliare, oltre ai titoli successivi che abbiano abilitato modifiche parziali.
Il quinto periodo amplia l’ambito applicativo della regola anche ai casi in cui il titolo edilizio sia stato effettivamente rilasciato, ma oggi non sia più reperibile. La norma parla di “principio di prova”: un’espressione volutamente elastica, ma che impone al tecnico un approccio prudente e documentato.
Non basta affermare che il titolo esistesse: serve un riscontro oggettivo, anche se indiretto. Ad esempio, possono costituire principio di prova:
- una ricevuta di presentazione dell’istanza;
- un estratto di delibera comunale;
- un atto notarile che menzioni il rilascio del titolo;
- un certificato catastale che descrive lo stato legittimo post-intervento.
Anche in questo caso, una volta individuato un elemento che attesti ragionevolmente l’esistenza del titolo, sarà necessario integrarlo con gli ulteriori titoli successivi che abbiano autorizzato interventi parziali sull’immobile.