Affidamento diretto, determina a contrarre e falso ideologico: interviene la Cassazione
La sentenza della Cassazione penale richiama alla responsabilità i RUP: se la verifica dei requisiti è fittizia, scatta il reato di falso ideologico
Quali sono le reali conseguenze per una stazione appaltante che affida direttamente un contratto senza verificare in modo sostanziale i requisiti dell’operatore economico? È sufficiente una dichiarazione generica nel corpo della determina per evitare responsabilità? E cosa accade se l’affidamento si basa su presupposti documentali inesistenti?
Affidamento diretto: la Cassazione sulla determina a contrarre
Domande quanto mai attuali per chi opera nel sistema degli appalti pubblici e si confronta con il regime degli affidamenti diretti previsto per i contratti sotto soglia dall’art. 50 del D.Lgs. n. 36/2023 (Codice dei contratti). Lo abbiamo evidenziato più volte anche su queste pagine: l’affidamento diretto non configura una procedura di gara e, come chiarito dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (parere n. 3177 del 30 gennaio 2025), l’obbligazione giuridica si perfeziona con la determina a contrarre, che rappresenta l’atto costitutivo dell’accordo tra amministrazione e operatore.
A rispondere alle domande iniziali è intervenuta la Corte di Cassazione penale, con la sentenza 17 gennaio 2025, n. 2153, che rappresenta un vero e proprio monito per il responsabile unico del progetto (RUP).
Nel caso esaminato, veniva contestata la determina con cui si era proceduto all’affidamento diretto di un incarico per servizi accessori (security, ospitalità, luci e video) relativi a un evento pubblico. Secondo la Procura, l’affidamento si fondava su un’asserita ma inesistente esperienza pregressa dell’operatore economico, che aveva modificato il proprio oggetto sociale pochi giorni prima dell’incarico, senza alcuna prova di attività svolte nel settore.
I principi espressi dalla Cassazione
La Suprema Corte, accogliendo il ricorso del Pubblico Ministero, ha ribaltato l’ordinanza del Tribunale del riesame, chiarendo due punti chiave:
- la determina di affidamento comporta implicitamente l’attestazione che i requisiti dell’affidatario (tra cui la “documentata esperienza pregressa” richiesta dall’art. 50, comma 1, lett. b) del Codice) sono stati verificati e risultano sussistenti;
- la mancata menzione esplicita della verifica nell’atto non salva il dirigente dalla responsabilità penale, se il presupposto è oggettivamente falso o privo di riscontro.
L’affidamento diretto previsto dalle lettere a) e b), comma 1, art. 50, del Codice dei contratti prevede, infatti, che per procedere con questa tipologia di procedura si debba assicurare “che siano scelti soggetti in possesso di documentate esperienze pregresse idonee all'esecuzione delle prestazioni contrattuali anche individuati tra gli iscritti in elenchi o albi istituiti dalla stazione appaltante”.
La norma non consente margini interpretativi: per procedere con affidamento diretto è necessario accertare e documentare esperienze pregresse idonee all’esecuzione delle prestazioni contrattuali, anche tramite iscrizione in elenchi o albi tenuti dalla stazione appaltante.
In mancanza di tale attività istruttoria, è configurabile il reato di falso ideologico in atto pubblico (art. 479 c.p.), indipendentemente dalla presenza di formule esplicite nell’atto.
Il giudice del rinvio dovrà riesaminare il caso applicando il principio secondo cui l’efficacia dispositiva della determina comporta una responsabilità per attestazioni anche solo implicite, se fondate su presupposti oggettivamente insussistenti.
Cosa cambia per i tecnici pubblici
Dal punto di vista operativo, la sentenza richiama con forza il ruolo tecnico-amministrativo del RUP e dei dirigenti pubblici. Anche nell’ambito di affidamenti sotto soglia, la semplificazione delle procedure prevista dal Codice non equivale a una deresponsabilizzazione. Anzi, proprio la maggiore discrezionalità richiede un controllo più attento e una tracciabilità completa delle verifiche effettuate.
In particolare:
- le “documentate esperienze pregresse” devono essere oggettive, riscontrabili e coerenti con l’oggetto dell’affidamento e non possono essere evocate in astratto: devono emergere da atti, contratti, certificazioni o incarichi precedenti coerenti con le prestazioni da affidare e con eventuale allegazione della documentazione istruttoria;
- la verifica dei requisiti soggettivi e oggettivi (ex artt. 94 e 95 del Codice) non può ridursi a una formula generica nella determina: occorre una motivazione puntuale e un’istruttoria formalizzata, anche in assenza di obblighi di consultazione multipla;
- la responsabilità personale del sottoscrittore dell’atto (RUP o dirigente) non viene meno in assenza di dolo esplicito, se l’atto certifica fatti non veri o comunque non verificati.
Conclusioni
La semplificazione non è sinonimo di deresponsabilizzazione. E la sentenza della Cassazione lo ribadisce con forza.
Dopo l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio (L. n. 114/2024), resta pienamente operante – e forse più insidiosa – la responsabilità per falso ideologico in atto pubblico.
Chi svolge il ruolo di RUP o dirigente deve quindi:
- formalizzare e conservare ogni verifica effettuata sull’esperienza e l’idoneità dell’affidatario;
- motivare con chiarezza l’affidamento, anche nei casi di somma urgenza o sotto soglia;
- evitare scorciatoie: non basta una dichiarazione generica nella determina per mettersi al riparo da conseguenze penali;
- investire in formazione, per comprendere i profili di rischio connessi agli atti dispositivi.
Una semplificazione vera passa da atti ben istruiti, non da formule preconfezionate. E questo, oggi più che mai, vale anche per gli affidamenti sotto i 140.000 euro (per servizi e forniture, ivi compresi i servizi di ingegneria e architettura e l'attività di progettazione) e sotto i 150.000 euro (per i lavori).
Documenti Allegati
Sentenza Corte di Cassazione 17 gennaio 2025, n. 2153