Ampliamenti in totale assenza di titolo: nessuna sanatoria semplificata con il Salva Casa
La Cassazione ribadisce i limiti dell’art. 36-bis del Testo Unico Edilizia: esclusi gli interventi completamente abusivi, anche se realizzati anni prima
È possibile sanare un abuso edilizio totale utilizzando la nuova procedura introdotta con il Salva Casa? L’art. 36-bis del Testo Unico Edilizia può essere applicato anche a interventi privi di qualsiasi titolo edilizio? Quali sono i limiti per l’applicazione della nuova sanatoria semplificata prevista dal Salva Casa?
Ampliamenti in totale assenza di titolo: interviene la Cassazione
L’entrata in vigore dell’art. 36-bis del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) – Legge n. 105/2024 di conversione del D.L. n. 69/2024 (Salva Casa) – ha acceso un dibattito infinito sulle casistiche in cui è possibile utilizzare la nuova sanatoria semplificata e sui contorni (in alcuni casi “sfumati”) tra le varie difformità edilizie (abusi totali, parziali e variazioni essenziali).
È vero che il Salva Casa ha aperto a una nuova forma di sanatoria semplificata, ma è altrettanto chiaro che la sua portata applicativa va interpretata con rigore e non può diventare una pretesa per revocare o sospendere ordini di demolizione già emessi dalla pubblica amministrazione.
L’argomento ha già ricevuto parecchie pronunce dalla giurisprudenza, alla quale si aggiunge la sentenza della Corte di Cassazione 8 maggio 2025, n. 17292, che ha ribadito in maniera chiara i limiti oggettivi e soggettivi dell’art. 36-bis, escludendone l’utilizzo per gli interventi realizzati in difformità totale.
Il caso riguarda la richiesta di revoca o sospensione di un ordine di demolizione relativo ad opere edilizie abusive, tra cui un ampliamento di 50 mq, una rampa, un torrino scala e un fabbricato a tre elevazioni, tutte realizzate in assenza di qualsiasi titolo edilizio. I ricorrenti avevano invocato la possibilità di ottenere la sanatoria, anche sulla base dell’art. 36-bis, ritenendo l’intervento riconducibile tra quelli sanabili ai sensi della nuova disposizione.
Il Tribunale di Napoli, in sede esecutiva, aveva respinto l’istanza e si è arrivati in Cassazione.
Le motivazioni del ricorso in Cassazione
Contro il rigetto dell’istanza di revoca o sospensione della demolizione da parte del giudice dell’esecuzione, i ricorrenti hanno proposto ricorso in Cassazione articolando due distinti gruppi di doglianze:
- violazione di legge e vizio di motivazione sulla sanabilità
delle opere
I ricorrenti contestano la mancata applicazione degli artt. 36 e 36-bis del Testo Unico Edilizia. In particolare, ritenevano sussistente la doppia conformità urbanistica, evidenziando che il tecnico incaricato aveva asseverato la conformità dell’opera alla disciplina vigente al momento della domanda. Sostenevano inoltre che l’entrata in vigore dell’art. 36-bis avrebbe dovuto consentire l’esame dell’istanza anche nei casi di assenza totale di titolo edilizio. - violazione del principio di proporzionalità e del diritto
all’abitazione (art. 8 CEDU)
Secondo i ricorrenti, il provvedimento di demolizione avrebbe dovuto essere sospeso in quanto pregiudizievole per l’unico immobile destinato a loro abitazione. La sanzione veniva ritenuta eccessivamente afflittiva rispetto alle concrete condizioni familiari ed economiche, con conseguente lesione del diritto alla casa e disapplicazione del principio di proporzionalità, più volte affermato anche dalla Corte EDU.
Sanatoria e doppia conformità
Il primo motivo di ricorso è stato ritenuto inammissibile: l’ordinanza impugnata aveva correttamente escluso la presenza della doppia conformità richiesta dall’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001.
Ricordiamo, infatti, che è ormai pacifico il principio per cui, in tema di reati urbanistici, la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il reato di cui all'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, non ammettendo termini o condizioni, deve riguardare l'intervento edilizio nel suo complesso e può essere conseguita solo qualora ricorrano tutte le condizioni espressamente indicate dall'art. 36 d.P.R. citato e, precisamente, la «doppia conformità» delle opere alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione del manufatto, che al momento della presentazione della domanda di sanatoria.
Nel caso in esame, il tecnico incaricato aveva asseverato solo la conformità alla normativa vigente al momento della domanda, ma non a quella vigente alla data di realizzazione delle opere. Di conseguenza, non poteva essere rilasciato alcun titolo in sanatoria.
Sanatoria semplificata Salva Casa
La Cassazione ha escluso l’applicazione del nuovo art. 36-bis alle istanze presentate prima della sua entrata in vigore (30 maggio 2024). In assenza di una espressa disposizione di retroattività, vale il principio generale dell’art. 11 delle disposizioni preliminari al Codice civile, come già affermato da Consiglio di Stato e Corte Costituzionale.
La parte più rilevante della sentenza è quella in cui la Corte ha escluso in modo categorico la possibilità di utilizzare l’art. 36-bis per regolarizzare interventi totalmente abusivi. La norma è, infatti, destinata ai soli casi di:
- parziale difformità dal permesso di costruire (art. 34);
- interventi eseguiti in assenza o difformità da SCIA (art. 37);
- variazioni essenziali (art. 32).
Non rientrano nella previsione gli interventi eseguiti in totale assenza di titolo abilitativo, per i quali rimane il solo canale della doppia conformità ex art. 36.
La Corte ha, altresì, sottolineato che l’art. 36-bis ha natura eccezionale e deroga a un principio fondamentale di riforma economico-sociale, per cui non può essere esteso analogicamente a casi diversi da quelli espressamente previsti.
Indicazioni operative e conclusioni
La sentenza della Cassazione n. 17292/2025 consolida un orientamento chiaro: la sanatoria semplificata introdotta dal Salva Casa non è uno strumento di regolarizzazione a effetto retroattivo né può essere utilizzata per sanare interventi completamente abusivi, privi di qualsiasi titolo.
Siamo di fronte a un istituto eccezionale che opera in deroga al principio della doppia conformità: proprio per questo motivo, la sua applicazione è rigorosamente limitata ai casi espressamente previsti dall’art. 36-bis del Testo Unico Edilizia:
- difformità parziali dal permesso di costruire (art. 34),
- interventi eseguiti in assenza o difformità da SCIA (art. 37),
- variazioni essenziali (art. 32).
Fuori da questi ambiti, resta solo la strada dell’art. 36, con il requisito imprescindibile della doppia conformità simmetrica: rispetto alle norme urbanistiche sia al momento della realizzazione dell’opera sia al momento della richiesta di sanatoria.
Dal punto di vista tecnico-urbanistico, la Corte ribadisce un principio fondamentale: solo le difformità marginali e compatibili con la pianificazione vigente possono accedere a percorsi semplificati. Gli interventi che alterano radicalmente la legittimità formale e sostanziale dell’edificato non sono in alcun modo regolarizzabili ex post.
Infine, attenzione alla tempistica della domanda: la norma non è retroattiva. Se l’istanza è stata presentata prima del 30 maggio 2024, non può beneficiare della disciplina dell’art. 36-bis.
In sintesi, il Salva Casa non è un condono mascherato, ma uno strumento tecnico e mirato, da usare con cautela, conoscendo bene i limiti oggettivi e soggettivi entro cui può operare. Nessun automatismo, nessuna estensione analogica: solo applicazione rigorosa nei casi tipizzati dalla legge.
Documenti Allegati
Sentenza Corte di Cassazione 8 maggio 2025, n. 17292