Condono edilizio e vincoli paesaggistici: quando l’abuso non è sanabile?
Il Consiglio di Stato ribadisce i limiti invalicabili del “terzo condono” nel caso di superamento dei limiti volumetrici e di interventi sostanziali in area sottoposta a tutela
È possibile ottenere il condono per un immobile che ha aumentato volume e superficie, sebbene ricadente in area vincolata paesaggisticamente? Il parere positivo di compatibilità paesaggistica estingue anche l’illecito edilizio? Qual è il peso del limite volumetrico dei 750 mc nel contesto del terzo condono?
A questi interrogativi ha risposto il Consiglio di Stato con la sentenza del 16 giugno 2025, n. 5242, respingendo l’appello proposto contro il diniego di sanatoria edilizia ai sensi dell’art. 32 del d.l. n. 269/2003 (c.d. “terzo condono”).
Terzo condono: no ad aumenti volumetrici in area vincolata
Il caso in esame riguarda un’istanza di condono per un intervento consistente in un innalzamento delle altezze al secondo piano, nell’adeguamento impiantistico di locali ad uso abitativo, e in un incremento significativo di volumetria (oltre 1.550 mc), in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
Sebbene la Soprintendenza avesse espresso parere favorevole in merito alla compatibilità paesaggistica, il Comune aveva negato la sanatoria edilizia per la presenza congiunta di più condizioni ostative, rispetto a quanto previsto dalla normativa in materia.
Terzo condono: cosa prevede la normativa per ottenere la sanatoria edilizia
Ricordiamo che con la normativa del “terzo condono”, di cui al D.L. n. 269/2003, convertito dalla legge n. 326/2003, il legislatore ha voluto circoscrivere con precisione i presupposti per la sanatoria in questi termini:
- il comma 25 impone un limite massimo di 750 metri cubi di volumetria condonabile;
- i commi 26 e 27 precludono la sanatoria in area vincolata per tutte le opere diverse da quelle classificate ai numeri 4, 5 e 6 dell’Allegato 1 (interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo);
- il comma 27, lett. d) impone l’esclusione del condono quando gli abusi siano stati realizzati in zone vincolate in assenza o in difformità di titolo edilizio e non conformi alle prescrizioni urbanistiche.
Come ribadito anche dal Consiglio di Stato, è sufficiente la presenza anche di una sola delle condizioni ostative per rendere non sanabile l’opera abusiva e che non vi è alcun automatismo tra il parere positivo paesaggistico e il rilascio del titolo edilizio in sanatoria.
Le condizioni ostative al condono
Nel caso in esame, le condizioni ostative al rilascio del condono erano tre:
- tipologia dell’abuso (Allegato 1, tipo 1): le opere rientravano tra quelle maggiormente impattanti (nuovi volumi e superfici), non ammesse in condono se realizzate in aree vincolate, ai sensi dei commi 26 e 27 dell’art. 32;
- superamento del limite di 750 mc: il limite volumetrico, fissato dal comma 25 dell’art. 32 d.l. 269/2003, rappresenta una soglia inderogabile. E nel caso specifico, caratterizzato da una volumetria di oltre 1.500 mc, il superamento era evidente.
- effetti limitati del parere paesaggistico: Come chiarito dalla legge n. 308/2004, l’accertamento di compatibilità paesaggistica non incide sul procedimento edilizio, ma ha efficacia solo sul piano penale, estinguendo il reato paesaggistico.
No al frazionamento degli abusi
Altro profilo interessante della decisione è il rigetto della tesi difensiva basata sul “frazionamento” dell’intervento. I giudici hanno chiarito che l’intervento va considerato nella sua interezza e non può essere “spacchettato” per rientrare nei limiti volumetrici: «Il limite di 750 mc si applica all’intera costruzione indicata nella domanda di condono… anche ove frazionata in più istanze o in più unità abitative».
In conclusione: un caso emblematico
Il ricorso è stato quindi respinto: nonostante il parere paesaggistico favorevole, l’intervento non presentava le condizioni per la condonabilità ai sensi dell’art. 32 del d.l. 269/2003, per superaento dei limiti volumetrici in area vincolata. Nessuna apertura, infine, nemmeno alla luce del decreto “salva casa”, che – come ricorda il Consiglio – non ha valore retroattivo né automatico.
Documenti Allegati
Sentenza