Diniego di autorizzazione paesaggistica: il TAR sul parere tardivo della Soprintendenza

Quali sono gli effetti di un parere reso oltre i termini previsti dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio? A spiegarlo è un'interessante sentenza

di Redazione tecnica - 19/06/2025

Cosa accade se la Soprintendenza rilascia un parere oltre i termini? Il Comune può comunque basarsi su tale parere per negare l’autorizzazione paesaggistica? E quale autonomia valutativa resta in capo all’Amministrazione locale in presenza di atti tardivi?

Parere tardivo e silenzio assenso: il TAR sul diniego di autorizzazione paesaggistica

A chiarire questi profili è la sentenza del TAR Campania dell’11 giugno 2025, n. 4406, che affronta in modo articolato la questione della compatibilità paesaggistica ex art. 167 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nell’ambito di un intervento edilizio eseguito senza titolo.

Il ricorrente aveva realizzato, senza autorizzazione, alcune murature in cemento armato destinate al contenimento di smottamenti e installato due pergolati in legno su un terrazzamento creato mediante l’eliminazione del pendio naturale. A seguito dell’intervento, è stata richiesta la regolarizzazione in sanatoria ai sensi dell’art. 167 del d.lgs. n. 42/2004, ma la procedura si è conclusa con un diniego dell’autorizzazione paesaggistica da parte del Comune, fondato esclusivamente sul parere negativo della Soprintendenza.

Il parere però era stato reso oltre il termine di 90 giorni previsto dalla norma. Proprio su questo vizio si è innestata la doglianza principale del ricorso.

Gli effetti del parere tardivo

L’art. 167, co. 5, del d.lgs. n. 42/2004 (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio) stabilisce che la Soprintendenza debba esprimersi entro 90 giorni dalla trasmissione della proposta di autorizzazione da parte dell’Amministrazione preposta al rilascio del titolo edilizio.

Secondo il TAR, decorso inutilmente tale termine, il parere, pur non traducendosi in silenzio assenso, perde la sua natura vincolante, e l’amministrazione procedente può concludere autonomamente l'iter, valutando il contributo della Soprintendenza come elemento istruttorio non vincolante.

La pronuncia, nel disinnescare la forza cogente del parere tardivo, richiama l’assetto co-decisorio “asimmetrico” delineato dalla giurisprudenza amministrativa e confermato dalla disciplina del Codice dei beni culturali: la Soprintendenza incide sul contenuto del provvedimento, ma solo se si esprime nei termini. In caso contrario, il Comune deve motivare in autonomia sulla compatibilità paesaggistica dell’intervento, senza utilizzare pedissequamente quanto detto dall’Ente preposto alla tutela.

Quando il silenzio non vale assenso, ma toglie il vincolo

Non solo: il TAR ha escluso l’applicazione dell’art. 17-bis della legge n. 241/1990, che disciplina il silenzio-assenso tra amministrazioni ai procedimenti paesaggistici, poiché il Codice dei beni culturali configura una disciplina speciale.

Tuttavia, la qualificazione del termine come “perentorio” implica l’inefficacia giuridica del parere tardivo: la sua tardività comporta la perdita del potere di vincolare l’amministrazione procedente, che non è più tenuta ad adottare il provvedimento conformemente al parere soprintendentizio.

Il ricorso è stato quindi accolto: una volta superato il termine perentorio della Soprintendenza, non solo decade la vincolatività del parere, ma l’amministrazione locale deve esprimere un giudizio istruttorio autonomo e motivato, pena l’illegittimità del diniego, oltretutto nel caso di un manufatto, qual è quello in esame, non visibile da spazi pubblici e funzionale alla stabilità del suolo.

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