Falsi certificati di esecuzione lavori: legittima la sanzione ANAC
L’OE deve sopportare le conseguenze che derivano dalla presentazione di documenti falsi, a meno che non dimostri che al momento della loro produzione, altri ne avessero disponibilità e potessero alterarli
Sono legittime la decadenza dall’attestazione SOA e le sanzioni attribuite da ANAC per la produzione di false certificazioni CEL, laddove venga riconosciuta la colpa grave dell’impresa.
Falsi CEL e attestazione SOA: le conseguenze della decadenza
A stabilirlo è la sentenza del TAR Lazio del 18 giugno 2025, n. 11973, con cui è stato respinto il ricorso di un’impresa colpita, dalla decadenza dell’attestazione SOA rilasciata sulla base di un certificato di esecuzione lavori (CEL) risultato contraffatto, e per il quale l’Autorità Anticorruzione ha irrogato anche una sanzione interdittiva di 24 giorni, una pecuniaria e disposto l’annotazione nel Casellario informatico.
La vicenda trae origine da una segnalazione della SOA che, su richiesta dell’ANAC, aveva trasmesso il fascicolo relativo a un’attestazione rilasciata all’impresa, contenente anche un CEL relativo a lavori in subappalto su tre fabbricati residenziali.
Interpellato dall’Autorità, il direttore dei lavori ha formalmente disconosciuto la propria firma, parlando espressamente di un “copia e incolla” non autorizzato e riferendo di pressioni ricevute da un soggetto presentatosi come collaboratore della SOA stessa. L’impresa, in sua difesa, ha sostenuto l’autenticità del documento, richiamando una dichiarazione a firma dello stesso professionista, inviata nel 2021 via raccomandata, che confermava il CEL.
Il provvedimento ANAC
Nonostante le osservazioni dell’impresa, l’ANAC aveva infatti ritenuto accertato l’utilizzo di documentazione non autentica, rilevando che:
- l’impresa non ha adottato misure organizzative minime di verifica sulla veridicità del CEL;
- non ha sporto querela né avviato alcuna iniziativa a propria tutela dopo il disconoscimento del documento;
- il comportamento integra almeno colpa grave, ai sensi dell’art. 84, co. 4-bis, d.lgs. 50/2016.
Il ricorso dell'impresa
Nel ricorso, l’impresa ha dedotto che:
- l’ANAC avrebbe fondato il provvedimento su una “ritrattazione postuma” del direttore dei lavori, senza accertamento penale del falso;
- il documento era stato confermato con dichiarazione firmata nel 2021;
- la documentazione a corredo (contratto, fatture, fotografie, titoli edilizi) dimostrava l’effettiva esecuzione dei lavori;
- i lavori certificati non erano nemmeno decisivi ai fini della categoria SOA richiesta;
- il provvedimento era tardivo, essendo decorso il termine di 90 giorni.
Il contesto normativo
Ai sensi dell’art. 86, co. 5, del d.P.R. 207/2010 (oggi dell’art. 24, co. 5, dell’allegato II.12 al d.lgs. n. 36/2023), «nel caso indicato al comma 2 - cioè per i lavori il cui committente non sia tenuto all'applicazione del codice - le relative dichiarazioni sono corredate dalla seguente documentazione: a) permesso a costruire ovvero dichiarazione di inizio attività, relativi all'opera realizzata, ove richiesti, con allegata copia autentica del progetto approvato; b) copia del contratto stipulato; c) copia delle fatture corrispondenti al quantitativo di lavori eseguiti; d) copia del certificato di regolare esecuzione rilasciato dal direttore dei lavori».
L’art. 86, co. 7, del d.P.R. 207/2010 (oggi art. 24, co. 7, dell’allegato II.12 al d.lgs. 36/2023) prosegue specificando che «fermo restando quanto previsto ai commi 5 e 6, nel caso indicato al comma 2 l'impresa deve presentare la certificazione di esecuzione lavori rilasciata dal committente e sottoscritta dal direttore dei lavori; i firmatari sono responsabili anche dell'indicazione degli eventuali subappaltatori, i quali dovranno altresì presentare la documentazione prevista al comma 5, lettera b)».
La documentazione del requisito relativo allo svolgimento dei lavori privati avviene, pertanto, necessariamente attraverso le certificazioni rilasciate dal committente e sottoscritte dal direttore dei lavori, che assumono, a tal fine, il valore probatorio della scrittura privata, disciplinato dall’art. 2702 c.c., secondo cui «la scrittura privata fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta».
Qualora la scrittura privata contenga dichiarazioni di terzi, la giurisprudenza ha stabilito che «nel caso che l'autenticità del documento formi oggetto di contestazione, il relativo onere probatorio incomberà a chi del documento vuol far uso sostenendone la genuinità».
La sentenza del TAR: il principio di autoresponsabilità e le gravi colpe dell'OE
Nel valutare la questione, il TAR ha evidenziato che il disconoscimento formale del CEL, reso a mezzo PEC, fosse attendibile che non vi fosse alcuna prova di effettiva diligenza da parte dell’impresa nella verifica del documento.
L’impresa ha presentato il CEL di propria iniziativa e la SOA non ha dimostrato l’adozione di procedure interne di controllo idonee a evitare l’uso di atti non veritieri.
Sulla base di questi presupposti, il TAR ha riconosciuto all’impresa violazione del principio di autoresponsabilità, che impone all’OE di garantire la veridicità della documentazione prodotta. La mancata individuazione dell’autore materiale della falsificazione non impedisce l’imputazione dell’illecito, perché il documento è stato utilizzato consapevolmente e senza verifiche.
In altri termini, spiega il tribunale, l’operatore economico non può non sopportare le conseguenze ‒ anche sanzionatorie ‒ che derivano dalla presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, a meno che non dimostri che al momento della produzione del documento altri, estraneo alla sua sfera di controllo, ne avesse la disponibilità e potesse alterarne il contenuto.
In base a questo assetto, il ricorso è stato respinto, confermando che la sanzione ANAC è stata proporzionata e fondata su indizi gravi, precisi e concordanti, riconoscendo, se non altro, una completa inerzia dell’impresa nell’implementazione delle cautele «costituenti lo standard minimo di diligenza richiesto ad un operatore economico che intende accedere alla qualificazione».
Documenti Allegati
Sentenza