Stato legittimo: non basta l’ante 1942 se il Comune aveva già un regolamento edilizio

Il TAR Lazio chiarisce che la legittimità urbanistica non si presume: è il privato a dover dimostrare la conformità dell’opera al quadro normativo vigente al momento della realizzazione

di Gianluca Oreto - 24/06/2025

Qual è il vero valore della data di realizzazione di un immobile rispetto al suo stato legittimo? È sufficiente che un’opera sia anteriore alla Legge Urbanistica n. 1150 del 1942 o alla Legge Ponte n. 765 del 1967 per essere considerata legittima? E cosa succede se il Comune aveva già adottato un proprio Regolamento edilizio?

Abusi edilizi e stato legittimo: importante pronuncia del TAR Lazio

La gestione del patrimonio edilizio esistente, specie in contesti storici, continua a porre interrogativi delicati sull’accertamento dello stato legittimo degli immobili. Troppo spesso si confonde la mancanza di norme nazionali con l’assenza di regolamentazione locale, alimentando l’illusione di una “legittimità per vetustà” che non trovano riscontro nel diritto positivo. Un chiarimento importante arriva dal TAR Lazio con la sentenza n. 11723 del 16 giugno 2025 che ci consente di approfondire il tema della prova dello stato legittimo per gli immobili realizzati (o ipoteticamente realizzati) in un'epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio.

Un caso emblematico in cui il giudice amministrativo ribadisce tre principi fondamentali:

  • il primo riguarda l’onere della prova in capo al privato per dimostrare lo stato legittimo;
  • il secondo smentisce l’assunto secondo cui tutto ciò che è anteriore al 1942 o al 1967 sia automaticamente lecito;
  • il terzo riguarda la validità dell'ordine di demolizione in assenza di comunicazione di avvio del procedimento.

La vicenda nasce dal diniego di un permesso di costruire, cui seguono il rigetto dell’istanza di accertamento del silenzio assenso e un’ordinanza di demolizione per opere eseguite in un immobile del centro storico di un Comune.

Stato legittimo: la prova spetta al privato

Il TAR ribadisce con chiarezza che lo stato legittimo di un immobile non può essere dichiarato "d’ufficio" dall’amministrazione. Al contrario, è il privato che deve fornire una documentazione precisa, circostanziata e oggettiva, che dimostri la conformità dell’opera alle norme edilizie vigenti al tempo della sua realizzazione. Non basta, insomma, affermare che “l’opera esiste da sempre” o che “è precedente alle leggi nazionali in materia”: serve una prova puntuale, coerente e verificabile.

È il principio della “vicinanza della prova”, ben noto nel diritto amministrativo, qui applicato al tema dello stato legittimo.

Altro punto essenziale: il TAR chiarisce che non si può presumere la legittimità urbanistica di un’opera solo perché anteriore alla Legge Urbanistica n. 1150/1942 o alla Legge Ponte n. 765/1967. Questo principio, troppo spesso invocato per aggirare l’onere probatorio, viene smentito alla radice.

La legittimità va valutata sulla base della regolamentazione vigente nel Comune al momento della realizzazione. E nel caso di specie, il Comune aveva adottato un Regolamento edilizio sin dal 1927: da quel momento, qualsiasi intervento edilizio era soggetto ad autorizzazione formale. La mera anteriorità cronologica rispetto alle leggi statali non esimeva, quindi, dall’ottenere i necessari titoli locali.

La comunicazione di avvio del procedimento

Altro punto affrontato nella sentenza riguarda la mancata comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio ex artt. 7 e 10 della Legge n. 241/1990. La ricorrente ne aveva eccepito l’omissione quale vizio procedurale, ritenendo l’atto carente dei presupposti di legittimità.

Il TAR, tuttavia, ribadisce un principio consolidato: nei procedimenti vincolati, come quelli relativi alla repressione degli abusi edilizi ex art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, l’obbligo di partecipazione procedimentale può essere superato. L’ordinanza di demolizione, quando fondata su elementi obiettivi e istruttoria tecnica chiara, è espressione di un potere vincolato che non richiede valutazioni discrezionali. Dunque, l’eventuale omissione della comunicazione di avvio non ne determina l’illegittimità, salvo che la partecipazione del privato potesse apportare elementi decisivi in grado di incidere sull’esito.

Esiste un principio consolidato della giurisprudenza del Consiglio di Stato a mente del quale “l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento inteso alla repressione di abusi edilizi non vizia il provvedimento adottato laddove lo stesso risulti adeguatamente motivato in riferimento alla realizzazione di opere in assenza di titolo e con il richiamo alla normativa violata, non occorrendo alcuna specifica valutazione dell’interesse pubblico sotteso e della relativa comparazione con gli interessi privati coinvolti né la comunicazione del preavviso di rigetto”.

L'ordine di demolizione, dunque, se adeguatamente motivato è esente da qualsiasi vizio anche se in assenza di avvio del procedimento.

Sul punto si è formato un nuovo indirizzo della giurisprudenza amministrativa che riguarda gli abusi di piccola entità o quelli molto datati. Un recente intervento del TAR Lazio (sentenza 21 febbraio 2025, n. 3934) ha confermato che nei casi in cui l’abuso edilizio presenta elementi dubbi o complessi, l’amministrazione deve garantire un contraddittorio con l’interessato prima di adottare l’ordinanza di demolizione.

Nel caso di specie, evidentemente, l’amministrazione non ha avuto alcun dubbio sull’illegittimità dell’opera contestata e, in ogni caso, i giudici hanno considerato che parte ricorrente è stata in grado di interloquire con l’amministrazione nel contesto del procedimento “parallelo” che ha condotto al diniego del permesso di costruire.

Conclusioni

La sentenza del TAR Lazio rappresenta un importante punto fermo per chi opera nel campo dell’edilizia privata e nella consulenza tecnico-legale su sanatorie e abusi:

  • lo stato legittimo non si presume, ma si dimostra: il tecnico deve sempre documentare con precisione la conformità delle opere al quadro normativo dell’epoca;
  • la presenza di un Regolamento edilizio comunale precedente al 1942 o al 1967 è determinante: anche prima delle leggi nazionali, i Comuni potevano (e spesso dovevano) autorizzare formalmente gli interventi edilizi;
  • il concetto di “preesistenza storica” deve essere trattato con cautela, specie in contesti vincolati o con stratificazioni edilizie complesse;
  • la difesa in giudizio non può basarsi su dichiarazioni generiche: occorrono prove documentali, come progetti approvati, licenze, autorizzazioni espresse o conformità catastali utili a ricostruire lo status originario.

In un contesto normativo e giurisprudenziale sempre più attento al rigore documentale, la corretta ricostruzione dello stato legittimo e l’assistenza professionale qualificata rappresentano oggi condizioni imprescindibili per evitare sanzioni e contenziosi.

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