Avvalimento premiale: il Consiglio di Stato sulle certificazioni di parità di genere

Palazzo Spada si pronuncia sull’avvalimento “premiale puro”, diretto ad acquisire punteggi migliorativi in fase di valutazione dell’offerta e non relativo a requisiti di partecipazione dell'OE

di Redazione tecnica - 24/06/2025

È possibile ricorrere al c.d. “avvalimento premiale” per certificazioni relative alla parità di genere? Quali caratteristiche deve avere l’eventuale contratto stipulato tra ausiliaria e ausiliata, per non risultare nullo?

Certificazione parità di genere: si può usare per l'avvalimento?

A spiegare se sia possibile fare riferimento all’istituto disciplinato dall’art. 104 del Codice dei Contratti Pubblici è il Consiglio di Stato con la sentenza del 18 giugno 2025, n. 5345, nel contenzioso relativo a una procedura aperta, la cui aggiudicazione era stata annullata in primo grado perché non sarebbe stato possibile ricorrere all’avvalimento “premiale” per il possesso della certificazione sulla parità di genere (art. 46-bis, d.lgs. n. 198/2006), utilizzata per acquisire un punteggio tecnico aggiuntivo.

Il giudice di primo grado aveva escluso tale possibilità, affermando che la certificazione attiene a una “condizione soggettiva intrinseca” dell’impresa, non suscettibile di essere prestata tramite contratto di avvalimento.

Una tesi che non ha convinto invece Palazzo Spada, che sul punto ha richiamato quanto previsto dagli artt. 104 e 108 del Codice Appalti. Vediamo il perché.

L’avvalimento nel nuovo Codice dei Contratti Pubblici

Con l’articolo 104 del d.lgs. n. 36/2023, il legislatore ha innovato profondamente la disciplina dell’avvalimento, formalizzando e legittimando espressamente anche la sua funzione premiale.

“L’operatore economico può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di partecipazione avvalendosi delle capacità di altri soggetti, oppure migliorare la propria offerta con l’ausilio di altri soggetti”, recita il comma 1.

La novità principale consiste proprio nel riconoscimento normativo dell’avvalimento “premiale puro”, ossia non finalizzato a colmare lacune nei requisiti minimi di partecipazione, ma diretto ad acquisire punteggi migliorativi in fase di valutazione dell’offerta.

Viene quindi superata quella distinzione rigida – propria del precedente codice e di una parte della giurisprudenza – tra requisiti “prestabili” e “intrasferibili”, valorizzando invece il profilo funzionale e dinamico dell’istituto, oggi anche strumento di rafforzamento competitivo in chiave tecnica e organizzativa.

Non può, del resto, sfuggire che l’art. 108, comma 7, ultimo periodo, del nuovo Codice dei Contratti Pubblici ha inteso menzionare espressamente il possesso della certificazione della parità di genere come criterio premiale di aggiudicazione.

La norma si limita a imporre alle stazioni appaltanti la previsione di un criterio premiale di aggiudicazione legato al possesso della certificazione della parità di genere senza, tuttavia, prescriverne il necessario possesso diretto.

Certificazione parità di genere: sì all'avvalimento

Sulla base di questi presupposti, Palazzo Spada ha quindi riconosciuto la piena ammissibilità dell’avvalimento “premiale” anche per le certificazioni di qualità, tra cui rientra anche quella sulla parità di genere.

La decisione del Consiglio di Stato conferma l’impostazione più evolutiva dell’avvalimento “premiale” introdotta dal nuovo Codice e valorizza il principio eurounitario di concorrenza e il favor partecipationis, estendendo l’utilizzabilità dell’avvalimento anche ai requisiti premianti.

Il Collegio afferma con chiarezza che:

  • la certificazione sulla parità di genere è riconducibile al genus delle certificazioni di qualità, attestando l’adozione di processi organizzativi strutturati sulla base della prassi UNI/PdR 125:2022;
  • essa non rientra tra i requisiti generali di partecipazione soggetti a divieti di avvalimento, come quelli ex artt. 94 e 95 del Codice;
  • in quanto elemento tecnico-premiale dell’offerta, può essere messa a disposizione da un ausiliario mediante contratto di avvalimento, purché questo contenga una descrizione dettagliata delle risorse prestate.

Ne discende che il diniego in via generale dell’utilizzabilità dell’avvalimento per tale tipo di requisito non è coerente né con il nuovo impianto normativo, né con i principi euro-unitari di proporzionalità e massima partecipazione alle gare.

Contratto di avvalimento: occhio a contenuti e oggetto

Tuttavia, l’avvalimento continua a presupporre un rapporto reale e sostanziale tra ausiliato e ausiliario: ciò impone contratti specifici, circostanziati, verificabili, pena la nullità. Pur riconoscendo la legittimità astratta dell’avvalimento per la certificazione sulla parità di genere, il Consiglio ha accolto il ricorso incidentale proposto dall’altro concorrente, rilevando la nullità del contratto di avvalimento prodotto.

Secondo i giudici di Palazzo Spada, il contratto non indicava in maniera determinata né determinabile le risorse oggetto di “prestito”: mancavano riferimenti a piani di inclusione, protocolli, risorse umane o know-how aziendale.

Ciò viola l’art. 104, comma 1, secondo periodo, del nuovo Codice, che richiede espressamente l’indicazione delle risorse prestate a pena di nullità, sia per l’avvalimento partecipativo che per quello premiale.

Il rischio, in mancanza, è che l’avvalimento diventi un guscio vuoto, senza alcuna concreta capacità di migliorare la qualità dell’offerta tecnica, eludendo la ratio dell’istituto.

Conclusioni

In conclusione, l’appello è stato quindi accolto laddove è stata riconosciuta l’erroneità della sentenza di primo grado, confermando l’applicabilità dell’avvalimento premiale per la cerrtificazione della parità di genere.

Di contro il contratto di avvalimento è stato ritenuto nullo perché generico, con accoglimento anche del ricorso presentato dalla controinteressata.

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