Gara annullata: i limiti al potere di autotutela dell'Amministrazione
La sentenza del TAR: questo potere non può essere esercitato in assenza di una motivazione puntuale, concreta e attuale sull’interesse pubblico alla rimozione dell’atto, che non può esaurirsi nel generico richiamo alla necessità di ripristinare la legalità violata
Cosa succede quando una stazione appaltante annulla in autotutela una procedura di gara già in corso, invocando un vizio formale che non ha inciso sull’esito della selezione? Può il solo richiamo al “ripristino della legalità” giustificare un atto così radicale, a distanza di tempo e senza valutare l’affidamento già maturato nei partecipanti? E, soprattutto, quali sono i limiti che la legge e la giurisprudenza pongono al potere di autotutela della Pubblica Amministrazione?
Annullamento gara in autotutela: non sempre è legittimo
Con la sentenza del 6 giugno 2025, n. 1053, il TAR Campania torna a pronunciarsi su un tema centrale per l’azione amministrativa: l’esercizio del potere di autotutela nell’ambito delle procedure di gara, e in particolare l’annullamento in via di autotutela di una procedura selettiva già avviata.
Il caso riguardava l’annullamento di una procedura di affidamento da parte della stazione appaltante, che giustificava il provvedimento esclusivamente con riferimento a una presunta modifica “postuma” dei criteri di valutazione delle offerte. Secondo l’Amministrazione, si sarebbe verificata un’alterazione della natura di alcuni sub-criteri, passati da quantitativi a qualitativi.
Annullamento che è stato impugnato dalla ricorrente, rilevando come:
- non si fosse trattato di una vera e propria modifica dei criteri di valutazione, ma della mera rettifica di un refuso evidente;
- mancasse del tutto una motivazione in ordine all’interesse pubblico concreto e attuale sotteso al provvedimento;
- la modifica dei sub-criteri fosse in realtà ininfluente sull’assegnazione del punteggio e sull’esito della gara.
Annullamento d'ufficio: il potere di autotutela dell'Amministrazione
Come chiarito dal Collegio, il potere di annullamento d’ufficio, di cui all’art. 21-nonies della legge n. 241/1990, è espressione della potestà di autotutela dell’Amministrazione, non sindacabile dal giudice amministrativo, “il quale è tenuto ad attenersi ad aspetti che evidenziano irragionevolezza, difetti logici, violazione dell'imparzialità e travisamento istruttorio […] Secondo i principi che regolamentano l'agere amministrativo è consentito all'Amministrazione di ritornare sulle proprie decisioni con atti di autotutela, esercitando un potere che è stato sempre ritenuto come generale ed immanente nell'attribuzione della cura del pubblico interesse del caso concreto e che consente di annullare, modificare e revocare gli atti amministrativi. Ciò significa che le ragioni di interesse pubblico sottese all'atto di ritiro della gara, ove effettivamente addotte dall'Amministrazione ed ove plausibili e non affette da macroscopici vizi logici, sfuggono al sindacato giurisdizionale”.
Anche in relazione ai procedimenti ad evidenza pubblica per l'affidamento di lavori, servizi e forniture, l'amministrazione conserva il potere di ritirare in autotutela il bando, le singole operazioni di gara o lo stesso provvedimento di aggiudicazione, ancorché definitivo, in presenza di vizi dell'intera procedura, ovvero a fronte di motivi di interesse pubblico tali da rendere inopportuna, o anche solo da sconsigliare, la prosecuzione della gara.
Attenzione però: questo potere non può essere esercitato in assenza di una motivazione puntuale, concreta e attuale sull’interesse pubblico alla rimozione dell’atto. E tale interesse non può esaurirsi nel generico richiamo alla necessità di ripristinare la legalità violata.
Conclusioni: il formalismo non giustifica l’autotutela
Proprio per questo, il TAR ha ribadito che il ripristino della legalità costituisce una condizione necessaria ma non sufficiente all’annullamento: è necessario che l’Amministrazione dia conto di una valutazione comparativa tra l’interesse pubblico al ritiro dell’atto e l’interesse privato al mantenimento della posizione acquisita, tenendo conto del legittimo affidamento ingenerato.
Nel caso in esame, tale valutazione manca del tutto. Il provvedimento impugnato si limita a registrare un errore formale nella formulazione di alcuni sub-criteri, peraltro qualificato esso stesso come “incongruenza di carattere formale” e non incidente sull’attribuzione del punteggio.
Il ricorso è stato quindi accolto, censurando l’operato dell’Amministrazione sotto più profili: il principio di legalità va interpretato non in senso meramente formale, ma in chiave sostanziale, alla luce dei principi del risultato e della fiducia.
In questa prospettiva, l’annullamento in autotutela di una procedura di gara non può essere giustificato da violazioni solo astrattamente ipotizzabili, né da vizi formali privi di effettiva incidenza sul risultato della procedura. Tanto più quando la stazione appaltante stessa riconosca che le rettifiche apportate non abbiano avuto alcuna conseguenza pratica sull’assegnazione dei punteggi.
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Sentenza