Vicinitas e abusi edilizi: il TAR fissa i limiti sull'interesse al ricorso

La mera vicinanza non basta a permettere al proprietario confinante di impugnare i titoli edilizi: occorrono prove per dimostrare il pregiudizio concreto

di Redazione tecnica - 05/07/2025

La disciplina urbanistico-edilizia è da sempre caratterizzata da un intreccio di interessi pubblici e privati, che rende particolarmente delicata la questione della legittimazione al ricorso. Per esempio, ci si può chiedere quando la vicinanza di un manufatto ritenuto abusivo giustifica un’azione giudiziaria e se sia sufficiente la semplice contiguità fisica, oppure se occorra provare uno specifico pregiudizio.

Abusi edilizi e vicinitas: i presupposti per il ricorso

Proprio su questo tema si concentra la sentenza del TAR Sicilia del 27 giugno 2025, n. 2038, spiegando che, quando si tratta di contestare opere edilizie realizzate da terzi, il presupposto imprescindibile è la dimostrazione di un interesse concreto e attuale, in quanto l’ordinamento non ammette azioni a tutela di mere posizioni astratte.

Le opere realizzate

La vicenda trae origine dal ricorso di un proprietario confinante, che aveva denunciato al Comune la realizzazione di una serie di opere su un immobile destinato a ristorante e consistenti in:

  • un corridoio coperto di ingresso realizzato senza titolo edilizio;
  • una struttura prefabbricata, dichiarata come “tenda”, ma di fatto utilizzata come sala ristorante, collocata in aderenza all’immobile del ricorrente;
  • una tettoia su elementi metallici e tegole, posta a chiudere l’area del giardino;
  • una copertura a doppia falda con pannelli di cemento-amianto.

In riscontro agli esposti, il Comune aveva comunicato l’assenza di violazioni edilizie, richiamando i titoli abilitativi esistenti

  • una CILA per la tenda, corredata da documentazione tecnica e parere igienico-sanitario;
  • una CILA e una successiva SCIA in sanatoria ex art. 37 d.P.R. n. 380/2001 per la tettoia;
  • una CILA per il frazionamento e il cambio di destinazione d’uso di una parte del fabbricato.

Il ricorso

Ritenendo tale risposta omissiva e non idonea a risolvere le criticità denunciate, la ricorrente ha proposto un articolato ricorso amministrativo, lamentando che:

  • le opere avevano determinato la chiusura dell’intero cortile, trasformandolo in un locale commerciale utilizzato tutto l’anno;
  • per consistenza e finalità, si sarebbe reso necessario un permesso di costruire ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e) del Testo Unico Edilizia;
  • il SUAP avrebbe dovuto revocare l’autorizzazione commerciale in quanto rilasciata in relazione a una struttura urbanisticamente irregolare.

La difesa dei controinteressati e le questioni pregiudiziali

Il controinteressato si è costituito in giudizio, eccependo l’assenza di un interesse concreto in capo alla ricorrente. Sul piano tecnico, la difesa ha sostenuto che le opere presentavano caratteristiche di precarietà (elementi ancorati con bulloni movibili) e che non era ravvisabile alcuna lesione diretta della proprietà confinante.

Il TAR ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso, ribadendo dei punti chiave di portata generale sulla vicinitas e sull'interesse pregiudiziale.

Vicinitas e interesse al ricorso

Riprendendo la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 22/2021, il Collegio ha ricordato che il criterio della vicinitas individua la legittimazione, ma non vale di per sé a dimostrare l’interesse concreto e attuale: "riaffermata la distinzione e l'autonomia tra la legittimazione e l'interesse al ricorso quali condizioni dell'azione, è necessario che il giudice accerti, anche d'ufficio, la sussistenza di entrambi e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, valga da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell'interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall'atto impugnato".

Perché il ricorso sia ammissibile, è necessario che il confinante fornisca serie allegazioni di un pregiudizio specifico, come ad esempio:

  • diminuzione di luce, aria;
  • deprezzamento e svalutazione dell’immobile;
  • degrado ambientale;
  • aumento del carico urbanistico.

Nel caso di specie, la ricorrente si è limitata ad affermazioni generiche, prive di qualsiasi principio di prova documentale o peritale: "In definitiva, è inammissibile per carenza di interesse il ricorso in esame proposto dal confinante, non essendo sufficiente a fondare l'interesse al ricorso la mera vicinitas, ma incombendo, per converso, sul ricorrente la puntuale allegazione e la comprova dello specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato ciò che nel caso di specie è mancato, impedendo così a questo Tribunale di accertare la sussistenza - per l’appunto dichiarata, ma non provata – dell’interesse ad agire".

Conclusioni

Il ricorso è stato quindi dichiarato inammissibile per carenza di interesse. Si conferma così, che nel contenzioso edilizio, la vicinitas non è presunta, ma deve essere provata e accompagnata da una descrizione del pregiudizio diretto e differenziato.

Il TAR ha infatti sottolineato che, anche a fronte dell’eccezione sollevata dalla controparte, la ricorrente non ha prodotto elementi oggettivi (planimetrie, fotografie, relazioni tecniche) idonei a dimostrare l’effettivo impatto delle opere. Non solo: la ricorrente non ha fornito alcuna indicazione puntuale nemmeno sulla violazione delle distanze legali, che, anche su questo profilo, assume rilievo solo se consente un ripristino concretamente utile e non meramente emulativo.

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