Locali interrati, pergolati e vincolo paesaggistico: qualificazione opere su funzione e impatto

Il Consiglio di Stato chiarisce che anche opere interrate e pergolati chiusi, se funzionali all’uso abitativo e realizzati in area vincolata, richiedono permesso di costruire e autorizzazione paesaggistica

di Redazione tecnica - 25/07/2025

Come vanno qualificati i manufatti realizzati in aree vincolate quando assumono forma apparentemente precaria, ma sono di fatto funzionali all’uso abitativo? È sufficiente occultare un’opera per sottrarla all’obbligo di titolo edilizio? E se l’Amministrazione si limita a recepire il verbale della Guardia di Finanza, si può parlare di difetto di istruttoria?

Abusi edilizi interrati, pergolati e vincolo paesaggistico: interviene il Consiglio di Stato

Ha risposto a queste domande il Consiglio di Stato che, con la sentenza n. 503 del 23 gennaio 2025, ha affrontato uno di quei casi in cui la rilevanza edilizia si misura non solo sulla volumetria ma anche sulla capacità dell’intervento di modificare stabilmente il territorio, rafforzando l’orientamento secondo cui il titolo edilizio è richiesto anche per i volumi interrati destinati ad uso residenziale e che anche in edilizia libera occorre fare sempre attenzione ai vincoli paesaggistici.

Nel caso oggetto dell’intervento del Consiglio di Stato viene impugnata dinanzi al TAR un’ordinanza con la quale il Comune aveva ordinato la demolizione di opere edilizie realizzate “in assenza di permesso di costruire” ovvero:

  • un corpo edilizio interrato, rifinito internamente come unità abitativa, accessibile da una botola e visivamente mascherato da una copertura vegetale;
  • una chiusura di veranda e pergolati, effettuata mediante infissi in legno e vetrate a pacchetto, tale da configurare un vero e proprio locale residenziale.

L’immobile era collocato in area soggetta a vincolo paesaggistico, prossima al demanio marittimo, e le opere erano state scoperte a seguito di un sopralluogo della Guardia di Finanza.

Le censure dell’appellante

Nel proporre appello contro la sentenza di primo grado, la ricorrente ha articolato una serie di rilievi volti a mettere in discussione la legittimità dell’ordinanza di demolizione e l’adeguatezza dell’istruttoria amministrativa. In primo luogo, ha sostenuto che le opere contestate – sia il vano interrato che il pergolato – avessero natura pertinenziale e non fossero idonee a generare nuova volumetria. Secondo questa impostazione, si sarebbe trattato di manufatti di modesta entità, privi di impatto visivo rilevante, tali da non richiedere un autonomo titolo edilizio.

Un ulteriore argomento ha riguardato la presunta precarietà della struttura lignea e delle vetrate, descritte come elementi facilmente amovibili e dunque non idonei a configurare una trasformazione edilizia stabile e permanente. In sostanza, l’appellante ha cercato di ricondurre l’intervento a un uso temporaneo e minimale, privo di significatività sotto il profilo urbanistico-paesaggistico.

A questo si è aggiunta la questione dell’affidamento: la ricorrente ha lamentato di aver agito nella convinzione della legittimità delle opere, anche alla luce della mancanza di contestazioni precedenti da parte dell’amministrazione comunale. In tale contesto, la demolizione sarebbe apparsa sproporzionata e lesiva del principio di buona fede.

Infine – e questo è il cuore del primo motivo di gravame – è stato censurato il comportamento dell’Amministrazione per aver omesso una propria autonoma istruttoria, limitandosi a recepire il verbale della Guardia di Finanza. Secondo l’appellante, l’ente locale avrebbe dovuto svolgere un accertamento diretto e completo, sia sul piano urbanistico che paesaggistico, valutando puntualmente lo stato dei luoghi e il quadro normativo applicabile. In assenza di questa attività istruttoria, l’ordinanza sarebbe viziata da travisamento dei fatti, difetto di motivazione e sviamento di potere.

Titolo obbligatorio anche per opere interrate

Il Consiglio di Stato ha, innanzitutto, precisato che l’opera interrata in oggetto, dotata di ambienti abitativi e impianti completi, rientra a pieno titolo nella nozione di “nuova costruzione” ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e.1 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia).

L’occultamento visivo, come il mascheramento con elementi naturali o artificiali (prato, teli, pannelli), non incide sulla natura edilizia del manufatto, né sulla necessità di autorizzazione paesaggistica. Decisiva è la sua effettiva funzionalità all’uso umano stabile e continuativo, anche se collocato sotto il piano di campagna.

Inoltre, è stato ribadito che l’adozione dell’ordinanza di demolizione costituisce atto vincolato, privo di margini discrezionali, e che l’eventuale affidamento soggettivo dell’interessato non può mai giustificare il mantenimento di opere abusive.

Pergolati: chiusura e volumetria richiedono titolo

Una parte centrale della decisione è dedicata alla chiusura del pergolato, originariamente realizzato come struttura leggera ma successivamente trasformato in locale chiuso e stabilizzato, mediante infissi in legno e vetrate scorrevoli.

Secondo il Consiglio di Stato, la realizzazione di chiusure stabili e permanenti, anche se in vetro e teoricamente “rimovibili”, determina la trasformazione del pergolato in un organismo edilizio vero e proprio, suscettibile di autonoma utilizzazione e quindi produttivo di volumetria.

Il fatto che la struttura chiusa presentasse una superficie di oltre 100 metri quadrati e risultasse idonea a soddisfare esigenze abitative ha comportato la necessità del permesso di costruire, oltre che dell’autorizzazione paesaggistica, trattandosi di intervento con impatto visivo in area vincolata.

La natura precaria, transitoria o “protettiva” dell’opera, invocata dall’appellante, è stata ritenuta irrilevante rispetto alla sua configurazione oggettiva e alla destinazione d’uso.

Quadro normativo di riferimento

La pronuncia si fonda su un impianto normativo articolato, che definisce in modo rigoroso i presupposti per l’intervento edilizio legittimo, anche in aree vincolate.

  • Art. 10, comma 1, lett. a) del d.P.R. n. 380/2001: assoggetta a permesso di costruire gli interventi di nuova costruzione, comprese le opere interrate e i manufatti che, per consistenza e autonomia funzionale, incidono sull’assetto del territorio.
  • Art. 31 dello stesso Testo Unico: impone la demolizione obbligatoria delle opere realizzate senza titolo, a prescindere dall’intenzionalità o dall’impatto visivo effettivo.
  • Art. 146 del d.lgs. n. 42/2004: subordina qualsiasi intervento che possa anche solo potenzialmente alterare l’aspetto esteriore dei luoghi tutelati al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.
  • Art. 21-octies, comma 2, della Legge n. 241/1990: prevede che l’eventuale vizio procedurale (es. motivazione per relationem) non infici la legittimità del provvedimento finale quando questo abbia contenuto vincolato.

Nel complesso, la sentenza riafferma che la regola è il controllo, e che ogni trasformazione urbanistica rilevante necessita di titolo abilitativo, anche in presenza di una struttura apparentemente leggera o nascosta.

Conclusioni operative

Con questa sentenza, il Consiglio di Stato ha ribadito che la qualificazione edilizia delle opere non può basarsi su apparenze, ma deve tener conto della loro reale funzione e impatto.

Anche strutture realizzate “sotto terra” o mascherate da elementi naturali, così come i pergolati chiusi con infissi e vetrate, possono costituire vere e proprie nuove costruzioni, soggette a permesso di costruire e autorizzazione paesaggistica. In presenza di vincolo, ogni elemento che incida sul profilo visuale, anche solo potenzialmente, deve essere valutato sotto il profilo paesaggistico.

L’ordinanza di demolizione, in simili casi, non è un’opzione ma un obbligo, e non possono essere invocati né l’affidamento dell’interessato né la supposta irrilevanza paesaggistica dell’opera.

La sentenza rafforza, infine, un principio operativo essenziale per i tecnici: la valutazione della legittimità edilizia va condotta sempre in base alla sostanza dell’intervento, non alla forma apparente o alla destinazione dichiarata.

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