Ammissibili i progetti presentati nell'ambito del programma di
intervento previsto dalla legge 8 febbraio 2001, n. 21,
contratti di quartiere, che mirano a qualificare un area
scarsamente abitata con un complesso organizzato di interventi,
destinati ad incidere sulla viabilità, sulla dotazione di
parcheggi, scuole, parchi, e la realizzazione di nuove abitazioni e
di strutture di carattere commerciale.
Questo in sintesi il contenuto della sentenza del Consiglio di
Stato n. 4104 dello scorso 1 settembre, mediante la quale il
giudici di Palazzo Spada hanno ribaltato una sentenza del TAR di
Salerno che aveva respinto un ricorso di una società contro un
Comune campano che aveva rigettato un progetto presentato
nell'ambito del programma di intervento previsto dalla legge 8
febbraio 2001, n. 21,
contratti di quartiere.
In particolare, il TAR campano aveva rigettato il ricorso non
rilevando il denunziato vizio di incompetenza ad opera della Giunta
perché l'intervento non avrebbe avuto natura urbanistica e, in ogni
caso, l'iniziativa medesima non era corrispondente alla fisionomia
del contratto di quartiere tracciata dal panorama normativo di
riferimento perché, mentre quest'ultimo impone la riqualificazione
di aree già edificate e degradate, mentre la proposta del
ricorrente si esplica nell'idea di urbanizzare un'area di
completamento tuttora prevalentemente libera da edifici.
I giudici del Consiglio di Stato hanno fatto presente che il
modello del contratto di quartiere lascia al proponente una vasta
gamma di soluzioni e la competenza del Consiglio o della Giunta
scatta a seconda dell'incidenza della proposta sull'assetto del
territorio. Nel caso in questione, trattandosi di progetto
destinato a disciplinare un'area ancora scarsamente abitata,
risulta chiaro che la decisione sulla sua compatibilità con le
scelte di indirizzo sull'assetto del territorio avrebbe dovuto
essere assunta dal Consiglio comunale. L'atto della Giunta non
contiene una motivazione capace di giustificare la divergenza del
progetto rispetto al paradigma dell'intervento quale esso risulta
delineato dal d.m. 21.11.2003. Le finalità indicate dal d.m. non
devono essere ritenute alla stregua di altrettanti criteri
tassativi nel senso che il progetto dovesse necessariamente
rispondere a ciascuno di essi. In altre parole, l'esame non avrebbe
potuto sostanziarsi nella verifica circa la presenza nel progetto
di una risposta a ciascuno degli obiettivi perseguiti dalla l.
2001/21 ma avrebbe dovuto riguardare l'insieme delle attività
prospettate per stabilire se queste, intese come un complesso
inscindibile, potessero risultare funzionali o meno allo scopo
complessivamente indicato nella sede legislativo-regolamentare.
Tale esame è mancato perché la Giunta ha ritenuto decisivo il dato
che il progetto non si sostanziasse in un'iniziativa di recupero
del patrimonio edilizio esistente e degradato nonché il dato che
l'area in questione non potesse essere definita come quartiere e
non fosse nella disponibilità del proponente.
Come affermato nella sentenza nessuna delle motivazioni assunte
dalla Giunta può ritenersi ostativa alla astratta ammissibilità del
progetto considerato. Ciò perché l'intervento innovativo non poteva
essere scrutinato dal solo punto di vista meramente edilizio ma
doveva essere considerato anche per la sua potenzialità di incidere
sugli altri obiettivi, quale il degrado dell'ambiente urbano, la
carenza di servizi, il contesto di scarsa coesione sociale e di
marcato disagio abitativo, etc
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