Le società miste costituite o partecipate dalle amministrazioni
pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi
strumentali all'attività di tali enti in funzione della loro
attività devono operare esclusivamente con gli enti costituenti o
partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore
di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né
con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti.
Questo in sintesi il contenuto della sentenza del Consiglio di
Stato n. 4080 dello scorso 25 agosto, mediante la quale i giudici
di Palazzo Spada hanno rigettato il ricorso in appello di una
società mista contro la sentenza del TAR della Sardegna che aveva
accolto il ricorso presentato contro l'aggiudicazione ad alla
società di un appalto pubblico al di fuori del territorio di
competenza dell'ente locale che controlla la società.
Attraverso la sentenza il Consiglio di Stato ha approfondito alcuni
profili della disciplina delle cosiddette società miste e degli
affidamenti
in house di servizi pubblici locali, ricordando
che il primo presuppone l'investimento di capitale privato, mentre
il secondo è ammissibile a condizione di una partecipazione
pubblica totalitaria.
Il modello della società mista non avrebbe comunque carattere
ordinario nel nostro sistema, costituendo piuttosto un'eccezione
alla regola dell'integrale ricorso al mercato da parte
dell'amministrazione, dovendosi fare decisa applicazione del
principio di sussidiarietà orizzontale, che consiste nel
fare svolgere all'ente gerarchicamente inferiore tutte le funzioni
e i compiti di cui esso è capace, lasciando all'ente sovraordinato
la possibilità di intervenire per surrogarne l'attività, laddove le
risorse e le capacità dell'ente sottordinato non consentano di
raggiungere pienamente e con efficacia ed efficienza la
soddisfazione di un interesse o l'effettuazione di un servizio.
Per quanto riguarda la questione della possibilità per le società
miste costituite da enti locali di svolgere attività
imprenditoriali extraterritoriali, tale questione era stata risolta
partendo dal principio basilare secondo cui la società mista
costituita da enti locali è strumentale al perseguimento degli
interessi della collettività locale e che non si può a priori
escludere la possibilità di svolgimento di attività
extraterritoriali, ma occorre verificare che l'espletamento di tali
attività, da un lato contribuisca al miglior perseguimento
dell'interesse della collettività locale, e, dall'altro lato, non
si traduca in un aumento di costi per tale collettività, in termini
di aumento di tasse o tariffe, o peggioramento del servizio.
I giudici di Palazzo Spada hanno proseguito nella sentenza
ricordando che in ambito comunitario la Corte UE ha mostrato di
considerare le società miste un elemento di disturbo del mercato
privato e sottolineando il rischio che si creino particolari
situazioni di privilegio per alcune imprese, quando queste ultime
usufruiscano, sostanzialmente, di un aiuto di Stato.
Per tale motivo, in ambito nazionale al fine di prevenire tale
rischio l'art. 13 del dl 223/2006 recante
Disposizioni urgenti
per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in
materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale al comma
1 afferma:
Al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza
e del mercato e di assicurare la parità degli operatori, le
società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite dalle
amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di
beni e servizi strumentali all'attività di tali enti, nonché, nei
casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di
funzioni amministrative di loro competenza, debbono operare
esclusivamente con gli enti costituenti ed affidanti, non possono
svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati,
né in affidamento diretto né con gara, e non possono partecipare ad
altre società o enti.
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