Il diritto comunitario osta ad una disposizione nazionale che, pur
perseguendo gli obiettivi legittimi di parità di trattamento degli
offerenti e di trasparenza nell'ambito delle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici, stabilisca un divieto
assoluto, a carico di imprese tra le quali sussista un rapporto di
controllo o che siano tra loro collegate, di partecipare in modo
simultaneo e concorrente ad una medesima gara d'appalto, senza
lasciare loro la possibilità di dimostrare che il rapporto suddetto
non ha influito sul loro rispettivo comportamento nell'ambito di
tale gara.
Lo ha affermato la sez. IV della
Corte di Giustizia Europea
con la
sentenza n. C-538/07 del 19 maggio 2009 in merito
all'interpretazione dell'
art. 29, primo comma, della direttiva
del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi,
nonché dei principi generali del diritto comunitario in materia di
appalti pubblici.
In particolare, la sentenza è stata formulata in risposta ad una
controversia in merito alla compatibilità con le disposizioni e i
principi comunitari di una normativa nazionale che vieta la
partecipazione ad una medesima procedura di aggiudicazione di
appalto, in modo separato e concorrente, di società tra le quali
sussista un rapporto di controllo o delle quali una eserciti sulle
altre un'influenza notevole.
Una disamina del contesto normativo europeo di riferimento ha
chiarito che l'art. 29 della direttiva 92/50, contenuto nel
capitolo 2 di quest'ultima, recante il titolo "Criteri di selezione
qualitativa", al suo primo comma dispone quanto segue:
"Può venir escluso dalla partecipazione ad un appalto qualunque
prestatore di servizi il quale:
a) sia in stato di fallimento, di liquidazione, di amministrazione
controllata, di concordato preventivo, di sospensione dell'attività
commerciale o si trovi in qualsiasi altra situazione analoga
derivante da una procedura simile prevista dalle leggi e dai
regolamenti nazionali;
b) sia oggetto di procedimenti di dichiarazione di fallimento, di
liquidazione coatta o di amministrazione controllata, di un
concordato preventivo oppure di qualunque altro procedimento simile
previsto dalle leggi o dai regolamenti nazionali;
c) sia stato condannato per un reato relativo alla condotta
professionale di prestatore di servizi, con sentenza passata in
giudicato;
d) si sia reso responsabile di gravi violazioni dei doveri
professionali, provate con qualsiasi elemento documentabile
dall'amministrazione (aggiudicatrice);
e) non abbia adempiuto obblighi riguardanti il pagamento dei
contributi di sicurezza sociale conformemente alle disposizioni
legislative del paese in cui è stabilito o di quello
dell'amministrazione (aggiudicatrice);
f) non abbia adempiuto obblighi tributari conformemente alle
disposizioni legislative del paese dell'amministrazione
(aggiudicatrice);
g) si sia reso colpevole di gravi inesattezze nel fornire le
informazioni esigibili in applicazione del presente capitolo o non
abbia fornito dette informazioni.
L'art. 3, n. 4, secondo e terzo comma, della
direttiva del
Consiglio 14 giugno 1993, 93/37/CEE, che coordina le procedure
di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, per quanto
riguarda i contratti di concessione di lavori pubblici, prevede che
non si considerano come terzi le imprese che si sono raggruppate
per ottenere la concessione né le imprese ad esse collegate.
Come chiarito dai giudici della Corte Europea per
impresa
collegata s'intende qualsiasi impresa su cui il concessionario
può esercitare direttamente o indirettamente un'influenza
dominante, o qualsiasi impresa che può esercitare un'influenza
dominante. L'influenza dominante è presunta quando un'impresa
direttamente o indirettamente, nei confronti di un'altra impresa:
- detiene la maggioranza del capitale sottoscritto dell'impresa,
o
- dispone della maggioranza dei voti connessi alle partecipazioni
al capitale dell'impresa, o
- può designare più della metà dei membri dell'organo di
amministrazione, direzione o di vigilanza dell'impresa.
Per quanto riguarda la
normativa nazionale, vediamo che la
direttiva 92/50 è stata trasposta nel diritto italiano dal
decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157 che non prevede un
divieto di partecipazione ad una medesima procedura di
aggiudicazione di appalto pubblico di servizi a carico di imprese
tra le quali esistano rapporti di controllo o che siano tra loro
collegate.
L'
art. 10, comma 1 bis, della legge 11 febbraio 1994, n.
109, legge quadro in materia di lavori pubblici stabilisce che
non possono partecipare alla medesima gara imprese che si trovino
fra di loro in una delle situazioni di controllo previste
dall'articolo 2359 del codice civile.
Secondo la normativa nazionale, sono considerate collegate le
società sulle quali un'altra società esercita un'influenza
notevole. L'influenza si presume quando nell'assemblea ordinaria
può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se
la società ha azioni quotate in mercati regolamentati.
L'
art. 34, comma 2 del Dlgs 163/2006 dispone che non possono
partecipare alla medesima gara concorrenti che si trovino fra di
loro in una delle situazioni di controllo di cui all'articolo 2359
del codice civile<(B>. Le stazioni appaltanti escludono
altresì dalla gara i concorrenti per i quali accertano che le
relative offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale,
sulla base di univoci elementi.
Vi è, dunque, un obbligo assoluto per le amministrazioni
aggiudicatrici di escludere dalla procedura di gara d'appalto le
imprese che presentino offerte separate e concorrenti, qualora tali
imprese siano legate fra loro da rapporti di controllo, quali
quelli previsti dalla normativa nazionale oggetto della causa
principale. Tuttavia,
sarebbe contraria ad un'efficace
applicazione del diritto comunitario l'esclusione sistematica delle
imprese tra loro collegate dal diritto di partecipare ad una
medesima procedura di aggiudicazione di appalto pubblico. Una
soluzione siffatta, infatti, ridurrebbe notevolmente la concorrenza
a livello comunitario. Pertanto, è giocoforza constatare che la
normativa nazionale, nella misura in cui estende il divieto di
partecipazione ad una medesima procedura di aggiudicazione alle
situazioni in cui il rapporto di controllo tra le imprese
interessate rimane ininfluente sul comportamento di queste ultime
nell'ambito di siffatte procedure, eccede quanto necessario per
conseguire l'obiettivo di garantire l'applicazione dei principi di
parità di trattamento e di trasparenza.
In definitiva,
il diritto comunitario osta ad una disposizione
nazionale che, pur perseguendo gli obiettivi legittimi di
parità di trattamento degli offerenti e di trasparenza nell'ambito
delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici,
stabilisca un divieto assoluto, a carico di imprese tra le quali
sussista un rapporto di controllo o che siano tra loro collegate,
di partecipare in modo simultaneo e concorrente ad una medesima
gara d'appalto, senza lasciare loro la possibilità di dimostrare
che il rapporto suddetto non ha influito sul loro rispettivo
comportamento nell'ambito di tale gara.
© Riproduzione riservata