I reati estinti non sono ostativi alla stipulazione di contratti
con la pubblica amministrazione che, in assenza di una qualunque
altra clausola del bando diretta a prevedere la dichiarazione anche
per detti reati e non disponendo di alcun margine di
discrezionalità sulla ricorrenza dei requisiti di moralità in capo
al legale rappresentante della società che ha commesso tali reati,
non può disporre in alcun modo la revoca dell'aggiudicazione.
Lo ha affermato la Sezione Seconda Quater del Tribunale
Amministrativo Regionale per il Lazio con la sentenza n. 7483 del
22 luglio 2009 relativamente ad una vicenda in cui la S.A. ha
revocato l'aggiudicazione in favore della società istante in quanto
in sede di verifica della regolarità documentale, era stato
accertato che nei confronti del Presidente della società erano
state pronunciate alcune sentenze di condanna poi estinte, non
dichiarate in sede di prequalifica.
In particolare, l'Amministrazione, acquisito preventivamente il
parere dell'Avvocatura dello Stato, aveva ritenuto che tenuto conto
della natura dei reati, ancorché estinti, ricorressero i
presupposti per disporre la revoca dell'aggiudicazione.
Avverso il provvedimento di revoca e il provvedimento di
aggiudicazione dell'appalto alla società seconda in graduatoria, la
ricorrente ne ha dedotto l'illegittimità per violazione e falsa
applicazione dell'art. 38 del D.Lgs. 163/06, nonché eccesso di
potere per travisamento, motivazione carente, erronea,
irragionevole e contraddittoria. Sostenendo, inoltre, che il
provvedimento di revoca sarebbe non soltanto contrario alle
disposizioni di legge, ma sarebbe perfino irragionevole, atteso che
il bando si limitava a richiamare la disposizione dell'art. 38
lett. c) del D.Lgs. n. 163/06, e detta norma, nel prescrivere
l'obbligo di esclusione dalle gare per i soggetti condannati con
sentenze passate in giudicato per reati di partecipazione a
un'organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali
definiti dagli atti comunitari citati all'art. 45, paragrafo 1,
direttiva CE 2004/18, farebbe comunque salva l'applicazione
dell'art. 178 c.p. e dell'art. 445, comma 2, del c.p.p.
Il TAR del Lazio, ritenendo fondata la tesi del ricorrente, ha,
innanzitutto, rilevato che il bando di gara si limitava a prevedere
l'obbligo di dichiarazione di responsabilità attestante
l'insussistenza dei motivi di esclusione di cui all'art. 38 comma 1
lettere a,b,c,d,e,f,g,h,i,l,m del D.lgs. 163/06 e s.m.i., non
prevedendo alcun obbligo di dichiarazione aggiuntiva rispetto a
quelle previste dal Legislatore.
L'art. 38, comma 1, lett c) prevede che:
"Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di
affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture
e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non
possono stipulare i relativi contratti i soggetti nei cui confronti
à stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o
emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure
sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi
dell'art. 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in
danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità
professionale; à comunque causa di esclusione la condanna, con
sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di
partecipazione a un'organizzazione criminale, corruzione, frode,
riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all'art.
45, paragrafo 1, direttiva CE 2004/18; l'esclusione e il divieto
operano se la sentenza o il decreto sono stati emessi nei
confronti: del titolare o del direttore tecnico se si tratta di
impresa individuale; del socio o del direttore tecnico, se si
tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari o del
direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice;
degli amministratori muniti di potere di rappresentanza o del
direttore tecnico se si tratta di altro tipo di società o
consorzio. In ogni caso l'esclusione e il divieto operano anche nei
confronti dei soggetti cessati dalla carica nel triennio
antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora
l'impresa non dimostri di aver adottato atti o misure di completa
dissociazione della condotta penalmente sanzionata; resta salva in
ogni caso l'applicazione dell'art. 178 del codice penale e
dell'art. 445, comma 2, del codice di procedura penale."
La decisione della controversia dipende, dunque,
dall'interpretazione che deve essere assegnata a detta
disposizione, essendo ipotizzabili due diverse opzioni
ermeneutiche, l'una diretta a riconoscere l'esercizio del potere
discrezionale di valutazione dei requisiti di moralità dei
concorrenti da parte della stazione appaltante, e l'altra, invece,
che esclude ogni possibilità di valutazione difforme da quanto
previsto dallo stesso Legislatore.
I giudici del TAR hanno rilevato che la disposizione in questione
costituisce una clausola di salvaguardia, introdotta dal
Legislatore al fine di rendere irrilevanti le condanne che abbiano
perso ormai effetto a causa di provvedimenti di riabilitazione o di
estinzione pronunciati dal competente giudice penale. In tal senso,
nel delineare l'ambito di rilevanza delle condanne ai fini
dell'accertamento della moralità professionale dei concorrenti, è
escluso che il giudizio di immoralità possa derivare da condanne
risalenti nel tempo, ancorché per reati particolarmente odiosi,
trattandosi di contraenti dell'Amministrazione (turbativa degli
incanti, corruzione, frode), quando i reati fossero estinti, ed i
soggetti a suo tempo condannati fossero stati riabilitati con
formale provvedimento del giudice competente, avendo ritenuto che
la condanna avrebbe avuto un effetto irreversibile, tale da non
consentire a detti soggetti, benché ormai esenti da emenda, di
poter perennemente stipulare contratti con la P.A.
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