Due
sentenze della Cassazione intervengo sul problema
dell’aumento dei canoni degli immobili non abitativi.
La prima sentenza è la
n. 10500 della Sezione III civile dell’8
maggio 2006 interviene sull’argomento precisando che in
applicazione del principio generale della
libera determinazione
del canone nei contratti di locazione di immobili urbani ad uso
diverso dalla residenza (industriale, commerciale, artigianale,
alberghiero, ecc.) sono
legittime le clausole che prevedono un
canone in misura differenziata e crescente per successive
frazioni di tempo nell’arco del rapporto contrattuale, a
prescindere dagli aggiornamenti annuali effettuati sulla base delle
variazioni dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie
di operai ed impiegati se contrattualmente previsti ai sensi
dell’articolo 32 della Legge 392/1978 (ed a tal proposito è
possibile guardare anche la sentenza della Cassazione, Sez. III, 26
febbraio 1999, n. 1683).
Secondo i giudici, però, tali
clausole sono valide (nel
rispetto dell’articolo. 79 della Legge 392/1978) solo
se gli
aumenti del canone sono legati ad elementi particolari che
incidono sull’equilibro economico del contratto (ad esempio,
qualora il conduttore si faccia carico delle spese per i lavori di
ristrutturazione dell’immobile) ovvero ad una riduzione
giustificata del canone per un limitato periodo iniziale (ad
esempio, per agevolare il conduttore nel primo periodo della sua
attività economica).
La seconda sentenza è la
n. 16073 della Sezione III civile del
14 luglio 2006 interviene sempre sullo stesso argomento
precisando, però, che è
nulla ogni pattuizione diretta a
limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al
locatore un canone maggiore rispetto a quello legislativamente
previsto o ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le
disposizioni della legge n. 392/1978.
Viene, invece, precisato, invece (come peraltro aveva stabilito la
sentenza della Cassazione n. 10550 precedentemente citata) che la
clausola convenzionale, che prevede future maggiorazioni del
canone diverse dall’aggiornamento in base ad indici di
rivalutazione del potere di acquisto,
può essere considerata
legittima, purché sia chiaramente riferita ad elementi
predeterminati, desumibili dal contratto e tali da essere idonei ad
influire sull’equilibrio economico del rapporto, in modo autonomo
dalle variazioni annue del potere di acquisto della moneta.
Nella sentenza viene, altresì, precisato che il conduttore, con
azione proponibile fino a sei mesi dopo la riconsegna dell’immobile
locato, può chiedere la restituzione delle somme sotto qualsiasi
forma corrisposte in violazione dei divieti e dei limiti previsti
dalla legge.
In conclusione, quindi, dalle due sentenze si evince che, nei
contratti di locazione diversi da quelli abitativi:
- è possibile pattuire un certo canone che può essere ridotto nei
primi anni soltanto se tale riduzione è giustificata dal fatto che
il conduttore si faccia carico delle spese per i lavori di
ristrutturazione;
- non è possibile inserire nel contratto di locazione aumenti del
canone diversi da quelli previsti dalla legge;
- è nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale
del contratto.
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