L'allegato A, paragrafo 9, del
Decreto del Ministero dello
Sviluppo Economico 26 giugno 2009 recante
"Linee guida
nazionali per la certificazione energetica degli edifici"
prevede che per gli edifici di superficie utile inferiore o uguale
a 1000 mq il proprietario può scegliere di ottemperare agli
obblighi di legge attraverso una dichiarazione in cui si afferma
che l'edificio è di classe energetica G e i costi per la gestione
energetica dell'edificio sono molto alti.
Con questo pretesto, nelle Regioni dove è consentito,
l'autodichiarazione in classe G è stata nettamente preferita (in
Abruzzo, Calabria, Campania, Sicilia) rispetto alla certificazione
energetica effettuata dal tecnico abilitato, con la conseguenza che
gli acquirenti e/o inquilini non hanno ricevuto alcuna indicazione
in merito ai consumi energetici dell'immobile ed al piano di
miglioramento del rendimento.
Lo ha affermato il Comitato Termotecnico Italiano (CTI) che, nel
attraverso il suo rapporto annuale sull'attuazione della
Certificazione Energetica degli Edifici in Italia, ha rilevato
l'impasse normativo che ha portato l'Italia ad essere messa in mora
dalla Commissione Europea che ha ritenuto questa scelta non
coerente con il recepimento della Direttiva 31. L'autodichiarazione
sarà dunque messa al bando su tutto il territorio nazionale
attraversi l'emanazione di Decreto statale "correttivo".
Nel Rapporto 2012 del CTI, interessante è il risultato delle
domande poste ai Responsabili delle politiche locali (Dirigenti e
Assessori), protagonisti nel processo di elaborazione e di
attuazione dei programmi di efficienza e certificazione energetica
degli edifici, ai quali è stato chiesto di descrivere le principali
politiche energetiche intraprese, con i relativi orientamenti
futuri. Le risposte hanno fatto emergere la necessità di:
- estendere a tutte le Regioni le "buone pratiche" poste in
essere da quelle che hanno investito maggiormente in passato in
termini di risorse di bilancio;
- migliorare il coordinamento tra legislazione nazionale e
regionale o agire direttamente sul grado di omogeneità dei
testi;
- semplificare gli iter autorizzativi e di accesso alle
sovvenzioni;
- consolidare l'accesso agli incentivi per interventi di
riduzione dei consumi energetici;
- istituire sistemi informativi regionali/nazionali per la
raccolta e la gestione degli ACE;
- rendere più funzionali e meno onerose per i cittadini le
procedure mediante, ad esempio, la "dematerializzazione" dei
documenti;
- aumentare l'importanza della sensibilizzazione e
dell'informazione dei cittadini sulle tematiche energetiche, con la
diffusione della consapevolezza che gli obiettivi del burden
sharing (meccanismo di ripartizione di un impegno collettivo, che
avviene secondo principi di equità e di responsabilità) sono
traguardi comuni, condivisi e irrinunciabili.
L'analisi condotta dal CTI ha fatto emergere anche la difficoltà
italiana per ciò che riguarda le targhe energetiche installate che,
tra l'altro, dovrebbero essere obbligatorie per gli uffici ad uso
pubblico (art. 6 D. Lgs. n. 192/2005). I dai del CTI hanno
evidenziato come tutte le Regioni, ad eccezione di Basilicata,
Marche e Molise, hanno comunicato il numero di ACE depositati. Le
Regioni che hanno applicato la certificazione con maggior rigore
sono state Lombardia (710.000), Emilia Romagna (260.000), Piemonte
(233.931), Liguria (66.329) e Lazio (29.700).
Significativo, infine, per ciò che riguarda la qualità delle
certificazioni energetiche realizzate, è il dato che, pur se
riferito ad un ridotto campione, ha fatto emergere un'elevata
percentuale di ACE con risultanze non conformi. In tal senso, il
CTI ha ricordato che la direttiva 2010/31/UE, già in vigore,
all'art. 18 affronta la questione prescrivendo, alle autorità
nazionali competenti o agli organismi da esse delegati,
l'istituzione di sistemi di controllo indipendenti (dispone la
verifica di una percentuale statisticamente significativa di tutti
gli ACE rilasciati nel corso di un anno), in conformità
all'allegato II della direttiva medesima.
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