Paga l'IRAP il professionista con studio tecnologicamente avanzato

20/04/2012

Paga l'Irap il professionista che si avvale di uno studio dotato di bene strumentali sofisticati e tecnologicamente avanzati. In tema di Irap, l'esercizio di attività di lavoro autonomo, diversa dall'impresa commerciale, costituisce presupposto impositivo solo se si tratta di attività autonomamente organizzata che ricorre quando il contribuente:
  • sia sotto qualsiasi forma il responsabile della organizzazione e non sia inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità o interesse;
  • impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l'id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l'esercizio della attività in assenza di organizzazione oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.

Questo in sintesi il contenuto dell'Ordinanza n. 5320 con la quale il 3 aprile 2012 la Sezione Civile della Corte di Cassazione ha cassato la sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Bologna che aveva affermato il diritto di un contribuente al rimborso dell'IRAP giudicando insussistente il presupposto impositivo dell'autonoma organizzazione.

Il ricorso presentato dall'Agenzia delle Entrate si fondava su due motivi:
  1. con il primo motivo si denuncia la violazione falsa applicazione degli articoli 2 e 3 D.Lgs. n. 446/1997 (art. 360, n. 3, cpc), censurandosi la sentenza appellata per avere negato che l'attività contribuente presentasse i requisiti dell'autonoma organizzazione, nonostante l'utilizzo di "beni strumentali sofisticati e tecnologicamente avanzati" e con l'utilizzo di prestazioni fornite da terzi per le quali il contribuente corrispondeva compensi rilevanti;
  2. con il secondo motivo l'Agenzia ha denunciato il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione in merito al punto decisivo e controverso della sussistenza del presupposto impositivo dell'autonoma organizzazione, non avendo la Commissione Tributaria Regionale dato conto dei rilievi proposti nell'appello dell'Ufficio sul rilevante valore dei beni utilizzati dal professionista e sul rilevante importo dei compensi corrisposti a terzi.

I giudici della Suprema Corte hanno ricordato che, come già più volte chiarito (sentenze 3672107, SSUU 12108/09, 10240/10 21122/10, 8556/11), in tema di IRAP l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diversa dall'impresa commerciale costituisce, secondo l'interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 156 del 2001, presupposto dell'imposta soltanto qualora si tratti di attività autonomamente organizzata. Il requisito dell'autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente che eserciti attività di lavoro autonomo:
  • a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;
  • b) impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo l'id quod plerumque accidit, costituiscono nell'attualità il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività anche in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.

In virtù di tali principi, devono ritenersi integrativi del requisito dell'autonoma organizzazione tanto l'utilizzo di attrezzature tecnologiche di rilevante valore quanto l'impiego non occasiona!e di lavoro altrui, anche se non prestato nelle forme del contratto di lavoro dipendente. Inoltre, il ricorso al lavoro di terzi per la fornitura di tutti i necessari servizi (dalla telefonia al segretariato) in forma rilevante e non occasionale, ma continuativa, integra il presupposto dell'esercizio abituale di attività autonomamente organizzata, non rilevando che la struttura posta a sostegno e potenziamento dell'attività professionale del contribuente sia fornita da personale dipendente o da un terzo in base ad un contratto di fornitura.

In definitiva, i giudici della Cassazione hanno ritenuto che la CTR abbia trascurato i suddetti principi, dunque ne ha cassato la sentenza.



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