Alla fine del mese scorso, nell'occasione della pubblicazione di un
articolo sulla riforma delle professioni, in considerazione di
molteplici commenti dei nostri lettori, abbiamo posto ai Presidenti
del Consiglio nazionale dei Geologi, del Consiglio nazionale degli
architetti e del Consiglio nazionale degli Ingegneri ed ai
Presidenti degli Ordini degli Architetti di Roma, Firenze e Torino
alcune domande che hanno avuto, le puntuali risposte di:
- Gianvito Graziano, Presidente del Consiglio nazionale
dei geologi;
- Armando Zambrano, Presidente del Consiglio nazionale
degli Ineggneri;
- Riccardo Bedrone, Presidente dell'Ordine degli
Architetti di Torino.
- Fabio Barluzzi, Presidente dell'Ordine degli Architetti
di Firenze;
Abbiamo pubblicato nei giorni passati le risposte di Gianvito
Graziano, Presidente del Consiglio nazionale dei Geologi e quelle
di Armando Zambrano, Presidente del Consiglio nazionale degli
Ingegneri e pubblichiamo, oggi, le risposte di
Riccardo
Bedrone, Presidente dell'Ordine degli Architetti di Torino.
D.
Ritiene giusta una riforma della professione che modifichi
l'attuale struttura regolata da norme che sono abbondantemente
datate e che superi le attuali connotazioni in Consigli provinciali
e Consiglio Nazionale?
R. L'attuale governo ha introdotto modifiche riduttive rispetto
all'ordinamento professionale vigente che hanno semplicemente
ridotto i compiti e le funzioni degli Ordini, senza però nulla dire
circa i rapporti (gerarchici?, di sussidiarietà?, orizzontali?) che
devono intercorrere tra Consiglio nazionale e Consigli provinciali.
Con il risultato che continua a non essere chiaro cosa tocca fare
all'uno ed agli altri. A maggior ragione questa incertezza diventa
inaccettabile rispetto a professioni, come quella di architetto,
fortemente inserite nel processo produttivo e quindi necessitevoli
di ben diversa e più efficace tutela e coordinamento che non quelli
assicurati ora dal Ministero di Giustizia, da cui ancora dipendono.
Dunque, ben venga una vera riforma - quella che le professioni
attendono da anni - che riveda completamente (razionalizzandole) la
collocazione e l'articolazione delle rappresentanze
professionali.
D.
Ritiene che l'attuale legge elettorale dei consigli
provinciali e nazionali sia idonea a rappresentare i professionisti
e che la stessa, con la possibilità di creazione di cordate, dia
una possibilità quasi nulla di rappresentanza alle
minoranze
R. No, non è idonea, soprattutto perché è stata concepita non per
costituire assemblee elettive ma una sorta di organi esecutivi che,
per la loro natura, non dovrebbero essere dialettici, ma operativi.
In realtà, la dialettica interna al corpo elettorale dei
professionisti è invece piuttosto intensa e fondata su concezioni
spesso contrapposte degli Ordini, che portano a posizioni molto
differenziate sul ruolo che dovrebbero avere e sulle attività che
dovrebbero svolgere. Finché queste non saranno chiarite, la
confusione continuerà ad essere grande. In ogni caso, soprattutto a
livello nazionale, occorre che il sistema delle rappresentanze
possa manifestarsi pienamente attraverso l'elezione non di un
Consiglio nazionale, ma di una assemblea dotata di poteri tutti da
definire. Il Consiglio nazionale ne diverrebbe l'esecutivo, eletto
in secondo grado.
D.
Ritiene corretto un unico albo con gli stessi diritti e con
gli stessi doveri in cui possano confluire sia i liberi
professionisti che i dipendenti?
R. Si, se svolgono le stesse attività e quindi portano le stesse
responsabilità nel confronti dell'interesse generale. Altrimenti si
finirebbe per giustificare la posizione - estrema, radicale e
veramente corporativa - di quanti vorrebbero gli Ordini come una
sorta di organismo sindacale dei liberi professionisti, che non è
la ragione per cui sono nati né il vero obiettivo di una riforma,
che dovrebbe invece aiutare a contemperare la tutela di interessi
professionali e collettivi. Perché non è la posizione professionale
che divide le attività intellettuali, ma l'attività che sviene
svolta che le unisce.
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