Superbonus e mancato completamento dei lavori: rimborsabile il danno da disagio abitativo
La vivibilità dell’immobile è un bene giuridicamente protetto: chi subisce disagi per lavori bloccati ha diritto a un indennizzo, purché il danno sia provato
Il blocco o l’interruzione dei lavori agevolati dal Superbonus, nei frequenti casi in cui è avvenuto, non ha comportato solo la perdita del beneficio fiscale, ma anche un danno diretto a carico di chi vive nell’immobile rimasto incompleto, invivibile o insalubre.
Un edificio lasciato a metà, con ponteggi permanenti, infiltrazioni, scarsa aerazione e assenza di sicurezza, lede il diritto al godimento e alla vivibilità del bene. E questo pregiudizio, se dimostrato, è risarcibile come danno da disagio abitativo.
A chiarirlo è una recente pronuncia del Tribunale di Vercelli (sentenza n. 1101/2025, pubblicata il 10 ottobre 2025), che ha riconosciuto un indennizzo economico a favore di un condominio i cui lavori di riqualificazione energetica erano stati sospesi dal general contractor. Una decisione che si inserisce nel crescente contenzioso post–Superbonus e che valorizza la tutela del diritto alla vivibilità dell’immobile, distinta dal danno economico o fiscale.
Il caso: appalto Superbonus e lavori sospesi
La vicenda prende avvio nel 2022, quando un condominio affida a una ditta individuale, con il ruolo di General Contractor, un intervento di riqualificazione energetica per un importo complessivo di oltre 470.000 euro.
Dopo l’avvio dei lavori e la presentazione del primo SAL al 30%, l’impresa sospende le attività nell’estate 2023, adducendo come causa la crisi di liquidità generata dal blocco della circolazione dei crediti fiscali.
I committenti agiscono in giudizio chiedendo la risoluzione del contratto per inadempimento e il risarcimento dei danni: sia per la perdita del Superbonus, sia per le condizioni di grave disagio in cui versava l’immobile.
La ditta convenuta si difende sostenendo di essere stata vittima di impossibilità sopravvenuta dovuta alle modifiche normative e al cosiddetto fenomeno dei “crediti incagliati”.
Il Tribunale di Vercelli ha però ritenuto infondata tale eccezione, richiamando il principio per cui l’impossibilità liberatoria, ai sensi degli artt. 1218 e 1256 c.c., deve essere assoluta, oggettiva e non imputabile al debitore.
Nel caso concreto, l’impresa – una ditta individuale – aveva gestito 68 cantieri su tutto il territorio nazionale, dimostrando, secondo il giudice, “grave inadeguatezza organizzativa e imprudenza gestionale”.
Il contratto è stato quindi risolto per inadempimento imputabile all’appaltatore, che è stato condannato a risarcire i committenti.
Documenti Allegati
SentenzaIL NOTIZIOMETRO