Superbonus e vendita in buona fede: basta per evitare i rischi?

Anche senza intenti speculativi, la cessione di immobili ristrutturati può essere letta dal Fisco come attività d’impresa: ogni caso va valutato con attenzione.

di Cristian Angeli - 29/09/2025

Ho ristrutturato nel 2020 e 2021, sfruttando il Superbonus, un piccolo edificio che avevo ereditato dai miei genitori, ricavando due unità immobiliari che pensavo di destinare ai miei figli. Ora però, a distanza di qualche anno, le cose sono cambiate: mia figlia si sposerà a breve e mio figlio si è trasferito all’estero per motivi di studio. Avrei quindi pensato di vendere la casa, magari nel 2026, dopo che saranno passati cinque anni dai lavori. Ho letto però che ci potrebbero essere dei problemi, ma non riesco a capire se il mio caso vi rientra, considerando che sono pensionato e che ho operato in trasparenza e buona fede. Potreste spiegarmi?

L’esperto risponde

Il dubbio è legittimo e riguarda uno dei terreni più insidiosi connessi al Superbonus: il confine tra la fruizione “lecita” dell’agevolazione da parte di un privato e la possibile riqualificazione, da parte del Fisco, dell’operazione come attività d’impresa. È su questo crinale che si giocano i rischi di revoca del beneficio e le relative conseguenze.

La norma istitutiva, l’art. 119 del DL 34/2020, delimita chiaramente i beneficiari: tra questi figurano le persone fisiche, ma “al di fuori dell’esercizio di attività di impresa, arti o professioni”. È quindi pacifico che le imprese non possano accedere all’agevolazione, se non per lavori sulle parti comuni condominiali. La difficoltà nasce quando il contribuente, pur non essendo formalmente imprenditore, compie operazioni che, per dimensione o finalità, possono essere assimilate a un’attività economica vera e propria.

Sul piano civilistico, l’art. 2082 c.c. definisce imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata. Ma sul piano tributario, l’art. 55 TUIR è molto più ampio: basta l’esercizio abituale, ancorché non esclusivo, di attività economiche rientranti nell’art. 2195 c.c., senza la necessità di una struttura organizzata. In sostanza, per il Fisco non è necessario essere iscritti in Camera di Commercio o avere dipendenti: anche un privato può essere considerato imprenditore se la sua attività è caratterizzata da abitualità o, in certi casi, anche solo da un’operazione unica ma di rilevante entità.

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