Variante o sanatoria edilizia? La Cassazione chiarisce i limiti del Piano Casa e dell’asservimento
Con la sentenza n. 34292/2025 la Suprema Corte distingue tra variante e sanatoria, ribadendo che il Piano Casa non costituisce condono e che l’asservimento può perfezionarsi con il titolo edilizio
È corretto che un permesso di costruire in variante possa essere assimilato ad una sanatoria edilizia? Che ruolo assume l’asservimento tra particelle e la cessione di cubatura ai fini della legittimità urbanistica di un intervento edilizio?
Potrebbero sembrare domande banali ma la realtà è ben più complessa di quello che le norme vorrebbero circoscrivere. Una realtà composta da costruzioni realizzate nel corso dei decenni, in un mondo stratificato di norme nazionali e regionali che spesso si rincorrono senza un apparente senso logico.
Variante o sanatoria edilizia: tra Piano Casa e asservimento, interviene la Cassazione
È il caso di una vicenda sulla quale è intervenuta la Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 34292 del 21 ottobre 2025, ha affrontato temi interessanti, offrendo una lettura di grande interesse operativo per tecnici, amministrazioni e professionisti che si confrontano ogni giorno con varianti, ampliamenti e asservimenti fondiari.
La controversia nasce da un intervento edilizio autorizzato attraverso due titoli rilasciati dallo stesso Comune:
- il primo riguardava il progetto edilizio originario;
- il secondo era stato richiesto come variante per ottenere l’ampliamento volumetrico del 20% consentito dal Piano Casa.
Il pubblico ministero, tuttavia, aveva contestato cinque presunte irregolarità:
- l’utilizzo di una particella non inclusa nel permesso originario;
- l’errato calcolo delle altezze;
- l’impiego di una volumetria eccedente;
- la violazione delle distanze dalla strada;
- l’irregolare altezza dei sottotetti.
Il Tribunale aveva assolto l’imputato ritenendo pienamente legittimi i titoli edilizi. Secondo il giudice di primo grado, l’asservimento tra le particelle era valido perché al momento del rilascio del titolo il proprietario dei terreni coinvolti era il medesimo, e la strada privata che li separava non interrompeva la contiguità urbanistica. Anche le altre contestazioni — relative ad altezze, distanze e volumetrie — erano infondate: il calcolo delle altezze era coerente con la zona omogenea di riferimento, i piani interrati non potevano essere esclusi dal volume complessivo e la strada privata non comportava l’applicazione di fasce di rispetto.
Diversa la prospettiva della Corte d’appello, che, accogliendo l’impugnazione del pubblico ministero, aveva ritenuto che il permesso in variante fosse in realtà un titolo in sanatoria illegittimo, in quanto privo del requisito della doppia conformità previsto dall’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia).
Secondo i giudici di secondo grado, l’edificazione si era basata su un asservimento sopravvenuto rispetto al titolo originario, intervenuto durante il procedimento di regolarizzazione. In questo modo, la situazione urbanistica alla base della nuova autorizzazione risultava modificata rispetto a quella iniziale, rendendo impossibile la verifica della doppia conformità richiesta per la sanatoria ordinaria.
Richiamando la Corte costituzionale n. 101/2013, la Corte territoriale aveva ribadito la distinzione tra condono edilizio straordinario e sanatoria ordinaria, sostenendo che solo quest’ultima esige l’identità dell’opera nei due momenti di riferimento: costruzione e istanza di regolarizzazione. Di conseguenza, il permesso in variante del 2018 veniva considerato una sanatoria illegittima, poiché l’asservimento — secondo la Corte — aveva alterato la consistenza originaria dell’intervento.
La Corte d’appello aveva inoltre ritenuto irrilevante la precedente assoluzione di una coimputata per il medesimo fatto, motivando che tale decisione non dipendeva da un diverso accertamento dei fatti, ma soltanto da una differente interpretazione giuridica del titolo edilizio.
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