Professioni e rappresentanza: Ordine o Sindacato?

di Gianluca Oreto - 30/12/2019

La pubblicazione del Sondaggio “Ordini professionali, Rete Professioni Tecniche e potere di rappresentanza” ha avuto come primo risultato quello di far discutere i colleghi sulla funzione degli Ordini professionali e sul ruolo dei Sindacati.

Dopo aver pubblicato la lettera del segretario nazionale di Federarchitetti Giancarlo Maussier, ricevo e pubblico di seguito un’interessante riflessione di Giuseppe Scannella, già Presidente dell’Ordine degli Architetti PPC di Catania e attualmente componente del CTS INbar.

Le riflessioni di Giuseppe Scannella

Chiedo ospitalità in merito alla discussione avviata sul ruolo e funzione degli ordini prendendo spunto dall’intervento del Presidente di Federarchitetti.

Dico subito che le tesi sostenute da Maussier le sento dal alcune decine d’anni. Afferiscono, in sostanza, al malcelato desiderio di ottenere una base associativa consistente, che in atto non è, per autodistruzione del sistema a torto ritenuto concorrente.

A torto perché, invero, avere una rappresentanza politico/istituzionale interna al sistema dello Stato, se ben esercitata e con funzioni adeguatamente rinnovate, ritengo sia non solo opportuno ma necessario. È quel che avviene in molti Paesi, non solo europei, e corrisponde all’alto ruolo e funzione sociale delle professioni intellettuali così come riconosciuto da plurime direttive europee. Quel che manca nel rapporto tra Ordini e Sindacati, genericamente intesi, è la visione sinergica dei rispettivi ruoli che, per svariate ragioni non sempre logiche ma spiegabili, competono tra loro mentre invece dovrebbero lavorare insieme facendo ciascuno quel che l’altro non può (e non dovrebbe) fare. Se è corretto affermare che spetti ai sindacati esercitare le azioni di rappresentanza degli iscritti liberi professionisti ai tavoli di concertazione quando riguardino questioni economiche inerenti l’esercizio della professione, altrettanto lo è farlo in sinergia con chi deve occuparsi della funzione sociale, dell’affidamento, che le professioni devono garantire alla società. Però per esercitarle bene - la funzione sociale e l’affidamento - occorre anche ridare dignità al sistema, a partire dai modi con cui le categorie scelgono i loro rappresentanti e, attualmente, questo non è.

Con ciò non voglio disconoscere che il sistema ordinistico, almeno quello delle professioni tecniche, a volte rischia di essere percepito come autoreferenziale e dedito ad azioni che possono apparire poco aderenti alle concrete problematiche che affliggono, da ormai troppi anni, i professionisti sul campo. Per ancorarmi al sistema Ordine, non voglio sottacere come esso dovrebbe dar più visibilità alle azioni direttamente rivolte alla dignità dei liberi professionisti e dovrebbe rivendicare, con più forza, la necessità di pervenire ad un nuovo ordinamento che valorizzi anche l’autodeterminazione nelle modalità di scelta dei propri rappresentanti oltre che della composizione del proprio corpo.

Ordini e Consigli Nazionali

Per una buona parte delle professioni il DPR 169/05 prevede che i consigli territoriali durino quattro anni e i suoi componenti non possano essere rieletti più di due volte consecutive; i consigli nazionali durano invece cinque anni con lo stesso limite alla rieleggibilità, il tutto senza nessun coordinamento temporale -allo stato impossibile- tra le due elezioni. Succede quindi che, random, i consigli provinciali eleggano un consiglio nazionale e che, sempre a caso, ad un certo punto si rivoti per i consigli provinciali pur rimanendo in carica il consiglio nazionale. Trasposto, un parlamento elegge un governo, poi il parlamento va a casa e il governo rimane in carica…non rappresentando più il parlamento che lo ha eletto. Quale è il problema? Bisogna considerare le funzioni reali del sistema ordinistico, che superano ampiamente quelle minime individuate dalla Legge. Si occupa infatti del governo della professione, con questo intendendo certo la garanzia di affidamento alla clientela ma, proprio in sua aderenza, si occupa dell’implementazione delle migliori pratiche professionali e di favorire lo svilupparsi di un ambiente di lavoro dove queste possano esplicitarsi al meglio; è chiamato anche a dare indirizzi alle azioni governative, emettendo pareri sia a monte che a valle della formulazione di provvedimenti. Un lavoro immane e delicato, che richiede sacrificio e competenza, che comporta -dovrebbe- anche la programmazione di obbiettivi e delle modalità operative con le quali raggiungerli. Trovo difficile pensar si possa sostenere che le modalità di selezione del personale politico-ordinistico oggi vigenti siano funzionali e utili al perseguimento di questi obbiettivi. Basta provare a considerarne gli effetti se applicato al sistema politico-parlamentare.

Garantire poi una progressiva rotazione/rinnovo del personale ordinistico è buona cosa; ma il metodo attuale, a mio avviso, è penalizzante ai fini del perseguimento degli obiettivi di sistema. Intanto per l’evidente disparità di trattamento tra il sistema ordinistico e quello degli Enti locali cui, anche secondo l’ANAC, sono equiparati: in essi, posta la durata quinquennale solitamente applicata a tutti gli organismi elettivi, non esiste alcun limite alla rieleggibilità dei componenti; esiste solo un limite di due mandati per il Sindaco, che non può assurgere a tale carica per più di due volte consecutive ma nulla gli impedisce, se rieletto, di assolvere al ruolo di consigliere. Ciò mi pare rispettoso del diritto dell’elettore di scegliersi i rappresentanti che più gli aggradano e si chiama diritto (art. 51 Cost.) all’elettorato attivo e passivo. Che invece è compromesso per le comunità professionali, sottoposte a tutela paternalistica con la scusa di garantire un rinnovamento dei rappresentanti. Come uscirne? Quando ne ho avuto possibilità, insieme ad altri colleghi, ho fatto alcune proposte nelle sedi opportune; provo a indicarne, sinteticamente, i cardini:

  • egual durata temporale tra i consigli nazionali e territoriali;
  • turno elettorale unico per i consigli territoriali;
  • sfalsamento tra le elezioni provinciali e quelle - successive - dei consigli nazionali non superiore a sei/dodici mesi;
  • eliminazione del limite al numero dei mandati da consigliere, mantenimento del limite per le cariche istituzionali;
  • introduzione di una riserva elettiva minima (orientativamente il 30%) per i candidati di prima nomina sulla base delle preferenze relative.

Non dovrebbe essere difficile vedere che, con tali principi, (analiticamente declinati nella proposta) si garantirebbe una maggiore coerenza ed efficacia d’azione tra le articolazioni territoriali e nazionali; verrebbe preservato, ad un tempo, il diritto degli elettori di scegliersi liberamente i propri rappresentanti e la loro progressiva turnazione senza la perdita obbligata di un patrimonio di esperienza e capacità stratificatosi nel tempo. A me pare solo buon senso e perciò pericolosissimo… per chi nella scarsa efficacia vede un buon viatico per tenere le professioni sotto scacco. Tutto ciò è funzionale, dicevo, a garantire una continuità di funzionamento nel perseguimento di obbiettivi, anche quelli, urgentissimi, specifici delle professioni tecniche ad alta specializzazione come quelle di architetto e ingegnere, per le quali arrivare ad avere un aggiornamento continuo professionalizzante, una chiarezza univoca sulle relative competenze, che queste abbiano chiara la loro funzione propositiva e innovativa nelle trasformazioni territoriali e non succedanea di una burocrazia inefficace, che portino a garantire responsabilità e remunerazioni adeguate e dignitose, insieme a tanto altro, è poi l’obbiettivo e la speranza finale. E, per ciò, Ordini e Sindacati dovrebbero lavorare insieme, non cercare l’uno di delegittimare l’altro.

Ringrazio il collega Architetto Giuseppe Scannella e lascio come sempre a voi ogni commento.

A cura di Ing. Gianluca Oreto



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