Condono edilizio, la Cassazione sulle possibilità di sanatoria

di Gianluca Oreto - 27/09/2022

La normativa edilizia prevede una sola possibilità di ottenere la sanatoria di eventuali difformità edilizie: l’accertamento di conformità di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) che passa dal concetto di conformità dell’opera alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’abuso, sia al momento della presentazione della domanda di regolarizzazione (cosiddetti abusi formali).

Condono edilizio, nuovo intervento della Corte di Cassazione

Ma quando si parla di edilizia, ed in particolare di abusi e gestione delle difformità, occorre fare molta attenzione perché in Italia dal 1985 si sono susseguite tre leggi speciali che hanno disposto la sanatoria edilizia di opere realizzate senza autorizzazione o in difformità dalle stesse (il condono edilizio degli abusi sostanziali).

Le tre leggi sul condono hanno anche stabilito precise finestre temporali, requisiti e adempimenti che trascinano molte istanze all’interno dei tribunali che ancora oggi, a distanza di quasi vent’anni dall’ultimo condono edilizio, si esprimono chiarendone i contorni. È quello che accade con la sentenza n. 32267 del 2 settembre 2022 con la quale la Corte di Cassazione entra nel merito di alcuni interessanti concetti che intrecciano tra di loro il condono edilizio ai sensi della Legge 23 dicembre 1994, n. 724 (terzo condono edilizio) e l’acquisizione a patrimonio comunale del bene ai sensi dell’art. 31, comma 3, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

I contenuti della sentenza

Nel caso di specie il ricorso in cassazione è stato presentato avverso l’ordinanza del giudice che aveva rigettato l’istanza di revoca dell'ingiunzione a demolire opere abusive. Il caso ci consente di approfondire alcune importanti tematiche relative al condono edilizio:

  1. la possibilità di ottenere il condono nel caso sia avvenuta l’acquisizione del bene a patrimonio comunale;
  2. la data di completamento dell’immobile;
  3. il frazionamento o accorpamento di unità immobiliari di cui chiedere il condono edilizio.

Condono edilizio e ordine di demolizione

La Cassazione conferma che sono prive di ogni fondamento le censure con cui i ricorrenti affermano che non è possibile precludere il condono edilizio nel caso vi sia un provvedimento di acquisizione dell'immobile abusivo al patrimonio comunale.

Gli ermellini ricordano un principio pacifico della Corte di Cassazione per cui l'ingiustificata inottemperanza all'ordine di demolizione dell'opera abusiva ed alla rinnessione in pristino dello stato dei luoghi, entro novanta giorni dalla notifica dell'ingiunzione a demolire emessa dall'autorità amministrativa, determina l'automatica acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'opera e dell'area pertinente, e ciò anche qualora il manufatto sia gravato da sequestro e, pertanto, l'ordine di demolizione si debba ritenere sospeso nella sua efficacia.

L'effetto traslativo della proprietà, in caso di inottemperanza all'ordine di demolizione di opere abusive, avviene ipso iure e costituisce l'effetto automatico della mancata ottemperanza, per cui il provvedimento di acquisizione presenta una natura meramente dichiarativa e non implica alcuna valutazione discrezionale.

Ne consegue che, se al momento della presentazione dell'istanza l'immobile abusivo era già stato acquisito al patrimonio comunale, ai sensi dell'art. 31, comma 3, D.P.R. n. 380 del 2001, l’istanza di condono sarebbe stata presentata da parte di soggetti non più proprietari dell'immobile abusivo.

La data di completamento

Relativamente al completamento dell’immobile (uno dei requisiti richiesti dalla normativa speciale), nel caso di specie le opere abusive (come risulta dalle fotografie) risultano non ultimate alla data del 31 dicembre 1993, con ciò escludendosi la possibilità di ottenere la concessione in sanatoria, in ossequio a quanto disposto dall'art. 39, comma 1, legge 23 dicembre 1994, n. 724.

A fronte della perentorietà di tale conclusione, di nessun pregio è la contraria doglianza dedotta dai ricorrenti, che, in maniera del tutto generica ed assertiva, nonché priva di riscontro alcuno, hanno lamentato, in termini opposti, che l'opera abusiva era già stata ultimata alla data del 31 dicembre 1993.

Sul punto la Cassazione ricorda pure che ai fini dell'applicazione del condono edilizio, l'art. 31 della legge n. 47 del 1985 stabilisce che si considerano ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, ovvero, quanto alle opere interne agli edifici esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano state completate funzionalmente.

L'esecuzione del cd. rustico, poi, è riferita al completamento di tutte le strutture essenziali, tra le quali vanno annoverate le tamponature esterne, che determinano l'isolamento dell'immobile dalle intemperie e configurano l'opera nella sua fondamentale volumetria.

Frazionamento e accorpamento

Relativamente alla censura che la norma non vieterebbe espressamente il frazionamento o l'accorpamento di unità immobiliari abusive di cui chiedere il condono edilizio, esistono fiumi di sentenze confermate dal nuovo intervento della Cassazione.

L’art. 39, comma 1, della Legge n. 724/1994 prevede la possibilità di ottenere la concessione edilizia in sanatoria per le opere abusive ultimate entro il 31 dicembre 1993 che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30%o della volumetria della costruzione originaria ovvero, indipendentemente dalla volumetria iniziale o assentita, un ampliamento superiore a 750 metri cubi, nonché per le opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni non superiori ai 750 metri cubi per singola richiesta di concessione edilizia.

La Cassazione ha da sempre interpretato tale norma nel senso che ogni edificio deve intendersi come un complesso unitario che fa capo ad un unico soggetto legittimato e le istanze eventualmente presentate in relazione alle singole unità che compongono tale edificio devono esser riferite ad un'unica concessione in sanatoria, che riguardi quest'ultimo nella sua totalità, ciò perché la ratio della norma è di non consentire l'elusione del limite legale di consistenza dell'opera per la concedibilità della sanatoria, attraverso la considerazione delle singole parti in luogo dell'intero complesso edificatorio.

Il riferimento oggettivo all'unicità della nuova costruzione interamente abusiva impedisce, cioè, che il limite di 750 metri cubi possa essere aggirato mediante il frazionamento delle sue singole parti, altrimenti eludendosi la finalità della legge, volta a sanare solo abusi di modesta entità.

In tal senso, allora, rilevano i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, per cui non è ammissibile il condono edilizio di una costruzione quando la richiesta di sanatoria sia presentata frazionando l'unità immobiliare in plurimi interventi edilizi, in quanto è illecito l'espediente di denunciare fittiziamente la realizzazione di plurime opere non collegate tra loro, quando invece le stesse risultano finalizzate alla realizzazione di un unico manufatto e sono a esso funzionali, sì da costituire una costruzione unica.

Nel caso di specie i richiedenti avevano presentato diverse istanze di condono riferite ad altrettanti piani di un immobile abusivo. Situazione che i giudici hanno contestato rilevando che sia stata illecitamente effettuata la presentazione di quattro istanze di condono, in quanto proposte «ciascuna per la quota di 1/4 delle opere abusivamente realizzate, ciascuna per un volume pari a 305 mc, a fronte di un volume complessivo dell'intera opera pari a 1.220 metri cubi.

In definitiva il ricorso è stato rigettato e la demolizione confermata.

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