Ordine di demolizione: il coordinamento tra sentenza penale e ordinanza amministrativa

di Redazione tecnica - 25/11/2022

L’applicazione dell’art. 31 e dell’art. 44 del Testo Unico Edilizia implicano il coordinamento tra quanto stabilito dall’Amministrazione e dal giudice penale chiamato all’esecuzione della demolizione. Questo perché eventuali incongruenze possono determinare un’errata attribuzione di responsabilità.

Abusi edilizi e ordine di demolizione: attenzione alle responsabilità

Ne è prova il caso affrontato dal TAR Toscana che, con la sentenza n. 1119/2022, ha accolto il ricorso presentato dall’amministratore di una società immobiliare, imputato e condannato nel procedimento relativo al sequestro di un compendio immobiliare di cui era stata successivamente disposta la demolizione.

Sul compendio era stato rilasciato un permesso di costruire, annullato poi dal Comune in autotutela proprio per il riscontro, da parte dall’autorità giudiziaria, di gravi illeciti edilizi.

Mentre il giudice penale ha disposto la totale demolizione del compendio, il Comune, con tutta una serie di ordinanze ha ingiunto la demolizione non al ricorrente, destinatario del provvedimento del giudice dell’esecuzione, bensì alla società di cui era titolare. Non solo: con una successiva delibera consiliare ha anche disposto il mantenimento di due degli edifici abusivi acquisiti al patrimonio comunale.

Secondo il ricorrente, il Comune non avrebbe svolto alcun autonomo accertamento in ordine alla sua responsabilità personale, limitandosi a qualificarlo coobbligato in solido in forza della sentenza penale quando invece, ai sensi dell’art. 31, comma 5 del d.P.R. n. 380/2001 (per cui l’esecuzione in danno sarebbe diretta a sanzionare il soggetto colpevole della mancata esecuzione della misura ripristinatoria intesa alla eliminazione degli abus), il Comune avrebbe dovuto identificare il soggetto che si trovava in condizione di eseguire il ripristino e non l’ha fatto.

Sanzioni per illeciti edilizi: l'art. 31 del Testo Unico Edilizia

Il TAR ha dato ragione al ricorrente, ricordando quanto disposto dall’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, definito come un articolato sistema di sanzioni nei confronti degli abusi edilizi di maggiore gravità, quelli commessi in assenza di permesso di costruire o in totale difformità dallo stesso.

Questo sistema è incentrato:

  • sulla sanzione demolitoria di competenza del Comune quale autorità amministrativa preposta alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia;
  • sull’ulteriore sanzione, nel caso di mancata tempestiva esecuzione ad opera del responsabile dell’abuso, dell’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive e della relativa area di sedime, nonché della c.d. pertinenza urbanistica.

L’acquisizione coattiva è “doppiata” da una sanzione pecuniaria di importo compreso tra 2.000,00 e 20.000,00 euro, da irrogarsi sempre nella misura massima laddove gli abusi siano commessi su beni vincolati.

Le opere abusive acquisite dal Comune sono, infine, demolite a spese dei responsabili dell’abuso, salvo che la stessa amministrazione non ravvisi e dichiari, con deliberazione consiliare, l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che gli abusi non contrastino con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico.

Ai poteri sanzionatori comunali sono dedicati i commi da 2 a 6 dell’art. 31. Ad essi fa da contraltare il potere del giudice penale di ordinare, con la sentenza di condanna per il reato previsto e punti dall’art. 44 del medesimo d.P.R. n. 380/2001, la demolizione delle opere abusive “se ancora non sia stata altrimenti eseguita”.

La demolizione disposta dal giudice penale

Spiega il TAR che quest’ultimo inciso indica la volontà del legislatore di assegnare all’ordine di demolizione irrogato dal giudice penale un ruolo di chiusura, volto a garantire il raggiungimento del risultato finale, ossia l’eliminazione degli abusi e il ripristino delle porzioni di territorio compromesse, cui l’intero sistema di tutele è preposto.

La demolizione disposta dal giudice penale ha pur sempre natura di sanzione amministrativa di contenuto ripristinatorio: la sua esecuzione compete al pubblico ministero e, in caso di controversie, al giudice dell’esecuzione penale, ai sensi degli artt. 655 e ss. c.p.p.. Si tratta di un atto dovuto, espressione di un potere autonomo e non residuale, né suppletivo, rispetto a quelli attribuiti all’autorità amministrativa, e che può pertanto concorrere con la demolizione disposta da quest’ultima: il coordinamento fra l'intervento del giudice penale e quello generale di carattere amministrativo è destinato infatti a realizzarsi nella fase esecutiva e non in quella cognitoria.

La reciproca autonomia fra la demolizione ordinata dal giudice penale e i poteri sanzionatori del Comune comporta che siano sempre soggette al sindacato del giudice dell’esecuzione penale le deliberazioni comunali sopravvenute che, a vario titolo, sottraggano alla demolizione l’opera abusiva, impedendo così che l’ordine impartito con la sentenza di condanna sia eseguito e anzi, imponendone la sospensione e/o il ritiro.

La sanzione demolitoria irrogata dal giudice penale e quella irrogata dall’autorità amministrativa quindi possono coesistere, salva la necessità di coordinarne l’esecuzione, la quale in un caso è promossa dal pubblico ministero e segue il percorso descritto dal codice di procedura penale, nell’altro è ad iniziativa del Comune secondo la scansione dettata dall’art. 31 d.P.R. n. 380/2001.

I due procedimenti sanzionatori sono e restano distinti sul piano formale e sostanziale, ancorché coordinati: ad esempio un ordine di ripristino pronunciato dal Comune (la sopravvenienza di una sanatoria, o di una delibera consiliare che dichiari il prevalente interesse pubblico alla conservazione delle opere abusive acquisite), ha riflessi sulla parallela esecuzione dell’ordine di demolire impartito dal giudice penale.

La non corrispondenza tra le ordinanze

In questo caso, gli abusi edilizi commessi sono stati sanzionati sia dal giudice penale, sia dall’autorità amministrativa:

  • la sentenza penale conteneva l’ordine di demolizione delle opere abusive, alla cui esecuzione la competente Procura ha dato avvio con la diffida;
  • in sede amministrativa, la vicenda sanzionatoria ha invece avuto inizio con l’ordinanza adottata a seguito e in considerazione dell’intervenuto annullamento d’ufficio del permesso di costruire che aveva inizialmente legittimato l’esecuzione dell’intervento. L’ordinanza è stata indirizzata nei confronti della società, in persona del nuovo legale rappresentante e non fa alcuna menzione del pregresso giudizio penale.

La sequenza di iniziative, atti e provvedimenti assunti dal Comune a seguito dell’annullamento d’ufficio del permesso di costruire e dell’adozione dell’ordinanza demolitoria dimostra la volontà di dare esecuzione a quest’ultima, e non anche all’ordine di demolizione contenuto nella sentenza penale a carico ricorrente. Ne è prova la successiva deliberazione consiliare che, nel dichiarare l’interesse pubblico alla conservazione di due dei fabbricati abusivi, costituisce manifestazione di poteri che il Comune non avrebbe potuto esercitare se non nell’ambito dell’esecuzione del proprio provvedimento demolitorio, dopo avere contestato agli interessati l’inottemperanza all’ordine di demolizione ed acquisito gratuitamente la proprietà dei fabbricati abusivi.

L’ordine di demolizione contenuto nella sentenza penale, infatti, avrebbe potuto e dovuto essere portato a esecuzione integrale, salvo diverse disposizioni impartite dal giudice (dell’esecuzione) penale su istanza del medesimo Comune, a quel punto controinteressato alla demolizione totale.

In definitiva, conclude il TAR, la vicenda ha finito per esaurirsi in virtù delle scelte del Comune: tutti gli atti comunali sono indirizzati all’esecuzione di un ordinanza demolitoria non rinvenuta nell’ordine contenuto nella sentenza penale; sia sotto il profilo sostanziale, giacché la sorte finale degli immobili abusivi è differente da quella prefigurata nella sentenza.

Di conseguenza, il ricorso è stato accolto: il ricorrente è sempre rimasto fuori dall’esercizio dei poteri sanzionatori del Comune, senza che fosse destinatario dell’ordinanza, né della relativa contestazione di inottemperanza, né di alcuno degli atti e provvedimenti adottati in via consequenziale ai fini dell’esecuzione in danno.



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