Scadenza 110% e lavori fatti male: l'appaltatore ha operato come impresa o General contractor?

di Cristian Angeli - 15/12/2023

L’approssimarsi della scadenza definitiva del 110%, come era prevedibile, sta portando a galla una serie di problematiche che finora in molti hanno avuto interesse a tenere nascoste, nella speranza di riuscire in un modo o nell’altro a finire i lavori.

Ora però i nodi vengono al pettine e le speranze iniziano a scontrarsi con la realtà, fatta spesso di cantieri abbandonati o con opere mal realizzate. Committenti e imprese sono così costretti a tirar fuori i contratti d’appalto per individuare le responsabilità o per studiare le più opportune strategie di difesa, che sono sempre da valutare in relazione alla specificità del caso.

Ad esempio il committente dei lavori, qualora voglia valutare di agire per il risarcimento dei danni nei confronti dell’appaltatore inadempiente, deve innanzitutto capire se questo ha operato in qualità di “impresa di costruzioni” oppure di “general contractor”, poiché sono profondamente diverse le tutele messe a disposizione dall’ordinamento nei due casi.

Il quesito

Sono amministratore di un piccolo condominio in corso di ristrutturazione. I lavori sono stati affidati ad una impresa di costruzioni che, dopo la firma del contratto, si è dimostrata operare anche in veste di General Contractor, poiché ha fatto eseguire gran parte dei lavori ad alcuni artigiani di sua fiducia e si è fatta altresì carico anche degli oneri di progettazione.

Il condominio inizialmente era lieto di questo servizio “chiavi in mano”, ma in corso d’opera sono emerse alcune problematiche che ora, dopo aver letto il vostro articolo dal titolo “Superbonus 110% e bonus ordinari: cosa succede se un General Contractor esegue male i lavori o abbandona il cantiere?”, mi preoccupano un po'.

Ho appreso, infatti, che un General Contractor offre minori garanzie rispetto a una normale impresa di costruzioni, soprattutto in presenza di difetti costruttivi. Pertanto vorrei sapere se, nel mio caso, si può applicare la disciplina dell’appalto con le conseguenti forme di tutela per il committente, avendo intenzione di contestare la qualità dei lavori eseguiti prima della scadenza del 110%.

L'esperto risponde: impresa come general contractor

La modalità di conduzione dei lavori descritta dal gentile lettore è piuttosto diffusa. Capita infatti che alcune imprese, a seguito dell’irruzione del Superbonus nella loro normale operatività, abbiano deciso di improvvisare attività manageriali che non sempre portano a buoni risultati.

Ciò può avvenire ad esempio nei cantieri, non necessariamente complessi, che richiedono interventi specialistici e diversificati.

Pensiamo a una ristrutturazione nella quale sono previste opere antisismiche, di efficientamento energetico e di recupero edilizio. Potrebbe trattarsi di un intervento che prevede la coesistenza di rinforzi in fondazione, dell’introduzione di un tetto in legno, di opere di adeguamento dell’impianto elettrico e del cappotto termico.

L’appalto a un’impresa

In un caso di questo tipo è facile che i lavori vengano appaltati a una impresa “generale” di costruzioni.

Tuttavia, per motivi organizzativi, magari anche solo per gestire altri lavori in contemporanea, quest’ultima potrebbe decidere di subappaltare le singole lavorazioni a ditte specializzate di sua fiducia.

Tali ditte dovranno essere controllate, coordinate e pagate dall’impresa principale. Se ciò non avviene si può incorrere in problemi sia di tipo costruttivo sia organizzativo, che possono portare anche al fermo dei lavori.

Poi nessuno vieta che la stessa impresa si porti dietro i propri tecnici, magari il direttore dei lavori e il consulente fiscale, facendosi carico del pagamento del relativo onorario.

Nei normali contratti di appalto non sempre vengono adeguatamente regolamentate situazioni di questo tipo.

In tale fattispecie l’impresa incaricata è evidente che opera anche in veste di “contraente generale”, assumendo l’onere di anticipare il pagamento delle prestazioni svolte dai vari soggetti che intervengono, per poi esporre tutti i costi sostenuti nella fattura finale al proprio committente.

È proprio questa la condizione che configura “di fatto” una normale impresa di costruzioni, anche se priva di qualifiche specifiche, in un General Contractor, quantomeno per alcuni dei servizi resi.

Risposta al quesito

Il caso descritto riguarda la coesistenza di un rapporto di mandato e di appalto, in quanto l’impresa generale esegue una parte dei lavori e, al tempo stesso, si occupa del coordinamento dei subappaltatori e del professionista.

Laddove non vi siano esplicite previsioni contrattuali, in caso di contenzioso, occorrerà fare riferimento non solo al contratto stipulato ma anche alla situazione “di fatto”, caratterizzata da una impresa che, nella fattispecie, opera anche in veste di General Contractor. In assenza di specifiche previsioni occorre andare a verificare in concreto come si configura il rapporto ed in quali ipotesi possa raffigurarsi il mandato (con o senza rappresentanza) e quando l’appalto, con ogni conseguenza che ne deriva.

Le tutele per il committente in caso di difetti costruttivi

Nel caso di difetti costruttivi sarà importante preliminarmente verificare chi abbia conferito incarico alla ditta che li ha cagionati, prospettandosi due diverse soluzioni:

  1. nel caso l’incarico sia stato conferito dal General contractor in virtù di mandato con rappresentanza, ovvero in nome e per conto del privato o condominio titolare delle agevolazioni fiscali, o direttamente dal committente principale, quest’ultimo soggetto avrebbe sicuramente titolo per avanzare richiesta di risarcimento, sussistendo un rapporto committente/impresa;
  2. nel caso l’incarico sia stato conferito dal General contractor ma inquadrato nello schema di mandato senza rappresentanza allora sorgerebbe un duplice problema: da un lato il beneficiario delle agevolazioni non avrebbe alcun rapporto contrattuale con l’impresa, dall’altro il General Contractor non avrebbe titolo per una azione volta al risarcimento del danno, non avendo patito alcuna conseguenza sfavorevole (c.d. mancanza di legittimazione attiva).

In ogni caso il titolare delle agevolazioni non rimarrebbe privo di tutele, potendo agire secondo la regola generale prevista dall’art. 2043 c.c. che prevede genericamente che “qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”. Si tratta però di una tutela che richiede una particolare diligenza a carico del danneggiato che dovrà provare il danno ingiusto, il nesso di causalità (giuridica e materiale) tra il fatto e il danno, la colpevolezza dell'impresa e l'imputabilità del fatto lesivo.

È proprio il c.d. onere della prova la differenza fondamentale tra la responsabilità extracontrattuale prevista dall’art. 2043 c.c. e la responsabilità contrattuale, in cui sarebbe l’impresa a dover dimostrare di non avere potuto adempiere alla propria obbligazione per fatto a lei non imputabile.

A cura di Cristian Angeli
ingegnere, consulente in materia di edilizia agevolata e contenzioso,
www.cristianangeli.it



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