Abusi edilizi e Ordine di demolizione: che si fa con i Gazebo?

19/04/2019

Uno degli argomenti più controversi e sul quale gli interventi della giurisprudenza si sprecano, riguarda la qualificazione giuridica di pergolati, tettoie, gazebo, verande e pergotende.

Un nuovo intervento è arrivato dalla Sezione Terza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania con la sentenza n. 1783 dell'1 aprile 2019 pronunciata in riferimento ad un ordine di demolizione di un gazebo e di un capannone.

I fatti

Il ricorso riguarda l'ingiunzione di demolizione delle seguenti opere abusive:

  • un Gazebo in legno delle dimensioni in pianta pari a m. 4,5 x 3,00 ed in altezza m. 2,20, ultimato ed in uso;
  • un Capannone delle dimensioni in pianta pari a m 7,00 x 10,00 e in altezza media di circa m. 3,20, composto da struttura metallica con copertura e chiusura laterale in plastica trasparente e pavimentazione in cls, in uso a deposito vario.

Avverso l'ordine di demolizione il ricorrente ha dedotto la violazione del D.Lgs. n. 42/2004 (c.d. Codice dei beni culturali e del paesaggio) e del DPR n. 380/2001 (c.d. Testo Unico Edilizia).

In particolare, secondo il ricorrente le opere in questione, per natura e caratteristiche, avrebbero richiesto di premunirsi di semplice segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) in quanto:

  • il gazebo non avrebbe comportato alcun incremento di volume e sarebbe comunque di modesto impatto urbanistico perché di ridotte dimensioni e costituito da una struttura interamente bullonata e smontabile, aperta su tutti i lati;
  • il capannone (che il ricorrente definisce solo "deposito") consisterebbe invece in una struttura destinata all’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale, ossia un’opera strettamente legata - per modalità esecutrici, materiali utilizzati e destinazione impressa - all’attività agricola che si svolge sul fondo e, pertanto, non assoggettabile ad autorizzazione paesaggistica, ai sensi dell’art. 149, lett. b), d. lgs. 42/2004. Inoltre, la struttura non comporterebbe alcuna permanente alterazione dello stato dei luoghi né dell’assetto idrogeologico del suolo.

La sentenza del TAR

I giudici di primo grado hanno immediatamente chiarito che sia il gazebo che il capannone, per le caratteristiche costruttive, unite alla zona in cui sono state erette (E1 agricola normale), peraltro in area vincolata ai sensi del D.Lgs. n. 42/2004, sono opere che avrebbero richiesto il permesso di costruire unitamente all’autorizzazione paesaggistica.

Il gazebo descritto nel provvedimento impugnato rientra tra le opere “prive dei connotati della precarietà e dell’amovibilità”. Ed invero, nelle ipotesi in cui il gazebo costituisca una struttura funzionale a soddisfare esigenze permanenti, va considerato come manufatto in grado di alterare lo stato dei luoghi, con riflessi non solo per il profilo urbanistico ma anche per quello paesaggistico-ambientale.

Il TAR ha ricordato che secondo una costante e condivisa giurisprudenza, un’opera può essere qualificata come precaria ove sia destinata ad essere rimossa non appena siano venuti meno i bisogni, meramente occasionali, che ne hanno determinato l’installazione, viceversa, ove la costruzione sia precostituita al soddisfacimento di interessi stabili e permanenti, come accade nell’ipotesi in esame, viene meno il requisito della precarietà.

In riferimento al capannone, lo stesso costituisce un manufatto chiuso su tutti i lati con pavimento in calcestruzzo, con evidente alterazione dello stato dei luoghi e con evidenti aumenti plano-volumetrici, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico. Trattasi a tutti gli effetti di una nuova costruzione per la quale sarebbe stato necessario acquisire il permesso di costruire, unitamente all’autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004, non conseguibile a sanatoria in via postuma, in presenza della chiara preclusione dettata dall’art. 167, comma 1, n. 4) del D.Lgs. n. 42/2004.

Infine, c'è da ricordare che la sanabilità postuma dell'opera sotto l'aspetto paesaggistico è esclusa in presenza di nuove superfici o volumi, per l'evidente finalità di preservare il valore del paesaggio, elemento che impedisce di mantenere nuovi ingombri in zona ove è vietata l'edificazione in assenza di autorizzazione paesaggistica. L'art. 167, comma 4, lett. a) del D.Lgs. n. 42/2004 riguarda qualsiasi incremento volumetrico, finanche interrato, aggiungendosi che esulano dal concetto solo le opere aventi funzione servente e prive di funzionalità autonoma.

Sull'argomento ricordiamo la sentenza del Consiglio di Stato n. 306 del 25 gennaio 2017 con la quale si è provato a tratteggiare la natura di pergolati, tettoie e gazebo.

Pergolato - Costituisce una struttura realizzata al fine di adornare e ombreggiare giardini o terrazze e consiste, quindi, in un’impalcatura, generalmente di sostegno di piante rampicanti, costituita da due (o più) file di montanti verticali riuniti superiormente da elementi orizzontali posti ad una altezza tale da consentire il passaggio delle persone. Il pergolato, per sua natura, è quindi una struttura aperta su almeno tre lati e nella parte superiore e normalmente non necessita di titoli abilitativi edilizi. Quando il pergolato viene coperto, nella parte superiore (anche per una sola porzione) con una struttura non facilmente amovibile (realizzata con qualsiasi materiale), è assoggettata tuttavia alle regole dettate per la realizzazione delle tettoie.

Gazebo - Nella sua configurazione tipica, è una struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte superiore ed aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente rimuovibili. Spesso il gazebo è utilizzato per l'allestimento di eventi all’aperto, anche sul suolo pubblico, e in questi casi è considerata una struttura temporanea. In altri casi il gazebo è realizzato in modo permanente per la migliore fruibilità di spazi aperti come giardini o ampi terrazzi.

Veranda - Realizzabile su balconi, terrazzi, attici o giardini, è caratterizzata quindi da ampie superfici vetrate che all’occorrenza si aprono tramite finestre scorrevoli o a libro. Per questo la veranda, dal punto di vista edilizio, determina un aumento della volumetria dell’edificio e una modifica della sua sagoma e necessita quindi del permesso di costruire. A tale proposito deve essere ricordato che nell’Intesa sottoscritta il 20 ottobre 2016 , ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e i Comuni, concernente l'adozione del regolamento edilizio-tipo di cui all'articolo 4, comma 1-sexies del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, la veranda è stata definita (nell’Allegato A) “Locale o spazio coperto avente le caratteristiche di loggiato, balcone, terrazza o portico, chiuso sui lati da superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili”.

Pergotenda – E’ qualificabile come mero arredo esterno quando è di modeste dimensioni, non modifica la destinazione d’uso degli spazi esterni ed è facilmente ed immediatamente rimovibile, con la conseguenza che la sua installazione si va ad inscrivere all’interno della categoria delle attività di edilizia libera e non necessita quindi di alcun permesso.

Il regime di edilizia libera

Ricordiamo, infine, la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 81 del 7 aprile 2018 del Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti 2 marzo 2018 recante "Approvazione del glossario contenente l’elenco non esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222” al quale è allegato il Glossario edilizia libera che contiene una tabella in cui sono individuate le principali opere che possono essere eseguite senza alcun titolo abilitativo, nel rispetto delle prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali e di tutte le normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia (in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d.lgs. n. 42/2004).

Tra queste viene previsto che sono soggette a regime di edilizia libera (DPR n. 380/2001, art. 6, comma 1, lett. e- quinquies) l'installazione, la riparazione, la sostituzione e il rinnovamento di:

  • un pergolato di limitate dimensioni e non stabilmente infisso al suolo;
  • una tenda, una tenda a pergola, o una pergotenda, con copertura leggera di arredo.

Il problema principale, però, resta la definizione delle stesse nella realtà pratica fatta di uffici ed interpretazioni. Ricordiamo, infatti, che lo stesso Consiglio di Stato è intervenuto con la sentenza 7 maggio 2018, n. 2715 in cui ha ammesso che la tettoia è un manufatto la cui disciplina non è definita in modo univoco né nella normativa né in giurisprudenza e che, quindi, l'amministrazione ha l’onere di motivare in modo esaustivo, attraverso una corretta e completa istruttoria che rilevi esattamente le opere compiute e spieghi per quale ragione esse superano i limiti entro i quali si può trattare di una copertura realizzabile in regime di edilizia libera.

A cura di Redazione LavoriPubblici.it



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