Permesso di costruire illegittimo e reati edilizi: nuove indicazioni dalla Cassazione

12/09/2019

L'inizio lavori in presenza di un permesso di costruire ritenuto poi illegittimo e annullato dal Comune in sede di autotutela, "può" comportare un reato edilizio e, quindi, problemi di natura penale.

Lo ha confermato la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 37475 del 10 settembre 2019 che ha rigettato il ricorso presentato per la riforma di un'ordinanza che aveva respinto l'istanza di riesame volta ad ottenere l'annullamento dell'ordinanza con cui il g.i.p., convalidando il provvedimento assunto in via d'urgenza dal pubblico ministero, aveva disposto il sequestro preventivo di un immobileinteressato da lavori di ampliamento assentiti con permesso di costruire. Si era in particolare ravvisato il fumus del reato di cui all'art. 44, comma 1, lett. c) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (c.d. Testo Unico Edilizia) sul rilievo che il predetto permesso di costruire fosse illegittimo.

Nella sua disamina la Suprema Corte ha evidenziato che nell'indagine sulla sussistenza del reato urbanistico demandata al giudice penale, cioè, laddove i lavori si siano svolti in base ad un permesso di costruire ritenuto illegittimo, l'attenzione non va focalizzata tanto (o soltanto) sul fatto se il titolo abbia formalmente perduto efficacia in forza di un provvedimento di revoca o annullamento intervenuto prima dello svolgimento dei lavori, quanto sulla circostanza se il titolo, pur apparentemente efficace in costanza di esecuzione delle opere, fosse conforme alla disciplina normativa e urbanistica e, dunque, sussistente ai fini dell'esclusione da responsabilità rispetto al reato di costruzione sine titulo.

Posto che il permesso di costruire deve essere rilasciato "in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente" (art. 12, comma 1 e art. 13, comma 1 del Testo Unico Edilizia), laddove il provvedimento amministrativo, pur formalmente rilasciato, sia irrimediabilmente viziato per contrasto con il modello legale, tale da risolversi in una mera apparenza, ai fini dell'applicazione della disposizione penale lo stesso deve essere considerato mancante e questa valutazione non viola il principio di legalità vigente in materia penale, né, fatta salva la necessità di accertare l'elemento soggettivo, quello di colpevolezza.

Secondo gli ermellini, la contravvenzione di esecuzione di lavori "sine titulo" sussiste anche nel caso in cui il permesso di costruire, pur apparentemente formato, sia illegittimo per contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia di fonte normativa o risultante dalla pianificazione. In riferimento all'illegittimità del permesso di costruire, non vi è automatismo tra mera l'illegittimità del titolo abilitativo e la sussistenza del reato urbanistico. La macroscopica illegittimità del permesso di costruire non costituisce una condizione essenziale per l'oggettiva configurabilità del reato (con ciò dovendosi pertanto rilevare l'infondatezza del contrario assunto contenuto in ricorso), ma rileva soltanto con riguardo alla sussistenza dell'elemento soggettivo di fattispecie, rappresentando un significativo indice sintomatico della sussistenza della colpa richiesta per l'integrazione del reato.

Al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al "fumus" del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata, lo stesso giudice può rilevare anche il difetto dell'elemento soggettivo del reato a condizione che esso emerga "ictu oculi".

Nel caso di specie, considerato che l'ordinanza impugnata attesta come le plurime violazioni degli strumenti urbanistici riscontrate non rendano evidente la buona fede, tenendo conto dei limiti della presente fase cautelare, non può dunque escludersi, nemmeno sotto questo profilo, la sussistenza del fumus del reato ipotizzato.

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A cura di Redazione LavoriPubblici.it



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