Abusi edilizi e permesso di costruire in sanatoria: quando si può sospendere o revocare l'ordine di demolizione?

06/12/2019

La sospensione/revoca di un ordine di demolizione è tra gli argomenti più trattati dalla giurisprudenza quando si parla di abusi edilizi. Tra le ultime pronunce meritevole di attenzione è la sentenza n. 29088 del 3 luglio 2019 con la quale la Suprema Corte di Cassazione, in riferimento ad una casistica particolare, ha definito i contorni che riguardano questa possibilità.

Premettiamo subito che l'ordine di demolizione è impartito dal giudice con la sentenza di condanna, con provvedimento giurisdizionale che ha la natura di sanzione amministrativa, non suscettibile di passare in giudicato, essendone sempre possibile la revoca. Come chiarito altre volte, l'ordine di demolizione può essere sospeso/revocato quando risulta incompatibile con altri atti amministrativi che abbiano conferito all'immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l'abusività. Resta fermo il potere-dovere del giudice dell'esecuzione di verificare la legittimità dell'atto concessorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio.

L'ordine di demolizione, quindi, può essere sospeso/revocato in presenza di:

  • un'istanza di permesso di costruire in sanatoria o di un'istanza di condono edilizio: è compito del giudice dell'esecuzione è chiamato a valutare i tempi di definizione del procedimento amministrativo e sospendere l'esecuzione solo in prospettiva di un rapido esaurimento dello stesso;
  • un permesso di costruire in sanatoria o condono edilizio: in questo caso, il compito del giudice dell'esecuzione è quello di verificare la legittimità degli atti sotto il profilo del rispetto dei presupposti e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio.

Il caso di specie

Nel caso oggetto della sentenza in Cassazione, con l'impugnata ordinanza, la Corte di Appello aveva rigettato la richiesta di revoca/sospensione dell'ingiunzione a demolire l'immobile abusivo, disposta dal P.M., a seguito di sentenza di condanna. Nel dettaglio, la tesi dei ricorrenti era basata sul fatto di aver allegato all'istanza di revoca dell'ordine di demolizione, 3 concessioni edilizie in sanatoria rilasciate dal Comune, relative al piano terra dell'immobile abusivo, edificato dal defunto padre condannato con la sentenza che ha disposto l'ordine di demolizione, ciascuna della quali interessava una volumetria inferiore a mq. 750, come previsto dalla legge n. 724/1994.

A riguardo, gli ermellini, esercitando il loro poter/dovere di verificare la legittimità degli atti sotto il profilo del rispetto dei presupposti e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio, hanno rammentato che l'art. 39, comma 1, della Legge n. 724/1994, prevede la possibilità di ottenere la concessione edilizia in sanatoria per le opere abusive ultimate entro il 31 dicembre 1993, e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30% della volumetria della costruzione originaria ovvero, indipendentemente dalla volumetria iniziale o assentita, un ampliamento superiore a 750 metri cubi, nonché per le opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni non superiori ai 750 metri cubi per singola richiesta di concessione edilizia.

La Cassazione ha sempre interpretato la norma in questione nel senso che ogni edificio deve intendersi come un complesso unitario che fa capo ad un unico soggetto legittimato e le istanze di oblazione eventualmente presentate in relazione alle singole unità che compongono tale edificio devono esser riferite ad una unica concessione in sanatoria, che riguarda quest'ultimo nella sua totalità. Diversamente opinando verrebbe frustata la ratio della norma ovvero si evitare l'elusione del limite legale di consistenza dell'opera per la concedibilità della sanatoria, attraverso la considerazione delle singole parti in luogo dell'intero complesso edificatorio.

La stessa Corte costituzionale, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 39, comma 1, legge n. 724, cit., sulla premessa che «il limite di "750 metri cubi" trova un temperamento nelle nuove costruzioni (e solo per queste), anche perché per i nuovi edifici non è possibile un raffronto con una costruzione originaria», ha spiegato che la possibilità (definita "derogatoria e, come tale, di stretta interpretazione') di calcolare la volumetria per singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria, presuppone ipotesi di legittima ed ammissibile scissione della domanda di sanatoria per effetto della suddivisione della costruzione o limitazione quantitativa del titolo che abilita la presentazione della domanda di sanatoria. «I casi - afferma la Corte - possono essere molteplici: proprietà di parte della costruzione a seguito di alienazione o di singole opere da sanare (art. 31, primo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47) o titolarità di diritto di usufrutto o di abitazione (ad es. limitata a singola porzione di immobile), titolarità di diritto personale di godimento, quando la legge o il contratto abiliti a fare le opere (art. 31, terzo comma, della legge n. 47 del 1985, in relazione all'art. 4 della legge 28 gennaio 1977, n. 10) o ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria (art. 31, terzo comma, della legge n. 47 del 1985), come l'istituto di credito mutuario, con ipoteca su singola porzione di immobile, il locatario o altri aventi titolo a godere della porzione di immobile. Ciascuno dei soggetti, come sopra specificati, può presentare la domanda di sanatoria per le porzioni di immobile per le quali è legittimato, ed è questa l'unica possibilità, cui logicamente può riferirsi la deroga, in quanto la concessione edilizia deve essere necessariamente unica per tutte le opere riguardanti un edificio o un complesso unitario, quando si riferisce a nuova costruzione, e solo eccezionalmente può operarsi una scissione quando esiste una norma che legittima in maniera differenziata soggetti diversi dal costruttore. Con la conseguenza che, nel caso di presentazione di autonome richieste di concessione edilizia in sanatoria da parte degli eredi di colui che aveva realizzato l'immobile abusivo e condannato per tale reato, ogni edificio va inteso, ai fini della individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilità della sanatoria, quale complesso unitario che faccia capo ad unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle separate unità, che compongono tale edificio, devono riferirsi ad una unica concessione in sanatoria, onde evitare la elusione del limite di 750 mc. attraverso la considerazione di ciascuna parte in luogo dell'intero complesso, non potendo tale requisito normativo, essere aggirato dalla presentazione di plurime istanze di concessione in sanatoria degli eredi del soggetto autore dell'edificazione abusiva dell'immobile».

Dunque, non basta che la singola unità abitativa non superi il limite volumetrico, il riferimento oggettivo all'unicità della nuova costruzione interamente abusiva impedisce che il limite di 750 metri cubi possa essere aggirato mediante il frazionamento delle sue singole parti, altrimenti si eluderebbe la finalità della legge che era (ed è) quella di sanare abusi modesti. In definitiva, non basta quindi che la singola unità non ecceda i 750 mc., ma occorre che, globalmente considerato, l'intero edificio che ospita quelle singole unità non superi quei limiti massimi.

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A cura di Redazione LavoriPubblici.it



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