Superbonus, oltre la fine il baratro: famiglie a rischio
Il Superbonus è ufficiosamente finito, ma resta il dramma dei SAL contestati: famiglie esposte a rimborsi milionari. Serve una norma urgente a tutela dei cittadini.
Ufficialmente terminerà il 31 dicembre 2025 – fatta eccezione per i territori colpiti da eventi sismici, per cui è in pubblicazione in Gazzetta Ufficiale l’ennesimo provvedimento d’urgenza (Decreto-Legge “Economia”) che prorogherà la scadenza al 31 dicembre 2026 – ma tra i paletti imposti dalla Legge n. 207/2024 (CILAS entro il 15 ottobre 2024) e i numeri sul suo utilizzo diffusi mensilmente da Enea, è ormai evidente che il Superbonus è ufficiosamente finito da un pezzo.
Ma la sua fine non ha chiuso i conti: li ha aperti. Con l’Agenzia delle Entrate, con la giustizia, con il sistema bancario. E soprattutto con migliaia di famiglie che oggi si ritrovano esposte a richieste di rimborso per lavori regolarmente eseguiti e asseverati. La questione dei materiali “a piè d’opera” ne è solo la punta più drammatica.
Materiali a piè d’opera: la miccia normativa
La miccia è stata accesa da un parere del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 12 novembre 2024, che ha chiarito come le forniture già consegnate e documentate in cantiere (come infissi, caldaie, pannelli fotovoltaici), ma non ancora installate, non sono più considerate valide ai fini del raggiungimento del SAL del 30%.
Per comprendere la problematica occorre un piccolo passo indietro.
Tra le nefandezze della normativa che ha messo a punto il “Superbonus” – oltre le 38 modifiche in corso d’opera – vi è il ripetuto tentativo di prorogare le tempistiche inserendo paletti non correttamente definiti.
Tra questi, l’ultimo periodo del comma 8-bis, art. 119, del D.L. n. 34/2020 (Decreto Rilancio), ha disposto:
“Per gli interventi effettuati su unità immobiliari dalle persone fisiche di cui al comma 9, lettera b), la detrazione del 110 per cento spetta anche per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2023, a condizione che alla data del 30 settembre 2022 siano stati effettuati lavori per almeno il 30 per cento dell'intervento complessivo, nel cui computo possono essere compresi anche i lavori non agevolati ai sensi del presente articolo.
Una proroga per gli interventi sulle unifamiliari fino al 31 dicembre 2023, ancorata alla realizzazione del 30% dell'intervento complessivo entro il 30 settembre 2022. Un vincolo che in tanti hanno assimilato (erroneamente) ad una sorta di stato avanzamento lavori (SAL) che, però, il Decreto Rilancio non ha mai definito.
Si è, quindi, provato ad utilizzare la definizione di SAL contenuta:
- prima nell'art. 14, comma 1, lettera d) del D.M. n. 49/2017 (oggi abrogato);
- adesso nell'Allegato II.14, articolo 12, comma 1, lettera d), del D.Lgs. n. 36/2023.
Stesse considerazioni sono state effettuate dal MEF che ha concluso confermando che nella nozione di SAL rientrino solo le prestazioni effettivamente realizzate in cantiere.
Una conferma che ha creato allarme soprattutto perché, di fatto, rappresenta una vera e propria interpretazione autentica con effetti retroattivi. Tecnici, committenti e imprese si sono ritrovati improvvisamente fuori regola, pur avendo operato in conformità a prassi consolidate, legittimate da professionisti e, in alcuni casi, ordini di categoria.
La problematica
Il vero problema, oggi, è che l’assenza di un chiarimento tempestivo ha fatto sì che l’onere di questo errore interpretativo ricadesse direttamente sui committenti. Persone che si sono affidate a tecnici, hanno seguito le prassi e ora si ritrovano accusate di indebita fruizione, con la richiesta di restituire somme rilevanti.
“Centinaia di famiglie italiane che hanno creduto nello Stato e investito nel Superbonus 110% rischiano oggi di perdere tutto. Case, risparmi, serenità: ogni certezza viene cancellata da una burocrazia cieca e da un’interpretazione retroattiva che ha stravolto il diritto”, ha denunciato l’Associazione Esodati del Superbonus, rilevando come si sia innescata una situazione che, oltre ad essere giuridicamente discutibile, è umanamente insostenibile.
Una situazione che il legislatore dovrebbe affrontare con estrema cautela, per non trasformare un'iniziativa pubblica in un boomerang devastante. Il danno economico è devastante. Le richieste di recupero dell’Agenzia delle Entrate si muovono nell’ordine di centinaia di migliaia di euro per singolo intervento, comprensive di interessi e sanzioni.
Molte famiglie, dopo aver investito anni di risparmi e aver portato a termine lavori conformi alle indicazioni ricevute da tecnici qualificati, si ritrovano oggi schiacciate da un debito imprevisto e spesso insostenibile.
“Contribuenti che hanno già completato i lavori e si trovano ora schiacciati da un debito imprevisto. Famiglie costrette a vendere la casa o ricorrere alla magistratura per salvare anni di sacrifici”. Continua l’Associazione degli Esodati del Superbonus, evidenziando anche che c’è chi ha ceduto. Il comunicato ricorda il caso di un committente di Milano, suicidatosi a febbraio 2025, secondo indiscrezioni travolto dalle difficoltà economiche causate proprio da contestazioni legate alla questione del “piè d’opera”.
La richiesta: moratoria immediata e norma di regolarizzazione
Di fronte a questo scenario, l’Associazione Esodati del Superbonus ha lanciato un appello diretto alle istituzioni: Governo, Parlamento, Agenzia delle Entrate.
Tre le richieste principali:
- moratoria immediata sui recuperi fiscali legati ai SAL contestati;
- norma di regolarizzazione che riconosca la buona fede dei cittadini e la legittimità della prassi adottata dai tecnici;
- tutela dei diritti acquisiti e salvaguardia della casa come bene primario.
"Questo dramma non è solo tecnico, ma umano, civile e istituzionale. Se non verrà affrontato ora, genererà una frattura irreversibile tra cittadini e Stato, minando la fiducia in ogni futuro incentivo pubblico", concludono gli Esodati del Superbonus.
Conclusioni
Quanto sta accadendo oggi con il Superbonus è il risultato di un’impostazione normativa che ha spesso oscillato tra annunci e ripensamenti, tra leggi scritte di fretta e chiarimenti mai arrivati. Un sistema che ha attratto investimenti rilevanti, ma senza costruire attorno a sé le tutele giuridiche necessarie. E che oggi chiede il conto, anche a chi ha operato in piena trasparenza.
Serve una presa di posizione netta. Serve una risposta che non sia solo fiscale, ma etica. Perché un incentivo che finisce lasciando a terra chi ha rispettato le regole non è solo un fallimento tecnico, è una ferita alla credibilità dello Stato di diritto.
Oltre la fine del Superbonus, c’è il dovere politico di evitare che il baratro diventi sistema.