Legge sulla Concorrenza, Francesca Bonomo (PD) risponde al CNI sulle Società di Ingegneria

La querelle tra il Consiglio Nazionale degli Ingegneri (CNI) e le Società di Ingegneria sembrava essersi interrotta con la pubblicazione in Gazzetta della Le...

19/09/2017

La querelle tra il Consiglio Nazionale degli Ingegneri (CNI) e le Società di Ingegneria sembrava essersi interrotta con la pubblicazione in Gazzetta della Legge 4 agosto 2017, n. 124 (c.d. Legge sulla Concorrenza) che ha definitivamente fugato ogni possibile dubbio sulla liceità ad operare nel mercato privato.

Se non fosse che l'11 settembre 2017 il CNI ha inviato ai Consigli degli Ordini provinciali e alle Federazioni e/o Consulte un'informativa contenente la lettera inviata lo scorso 14 agosto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella affinché prendesse in considerazione la possibilità (poi mancata) di rinviare alle Camere la legge annuale per il mercato e la concorrenza, approvata definitivamente al Senato (leggi la Circolare).

Lettera che tra le tante cose parla di "sostanziale condono per le attività illegittimamente esercitate" dalle società di ingegneria nel settore privato "addirittura dall'anno 1997".

Ricevo a pubblico integralmente la nota inviatami dall'On.le Francesca Bonomo (PD) che vi invito a leggere e commentare.

"Mi permetta di intervenire - introduce l'On.le Bonomo - sui contenuti e sull’azione condotta dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri sulla legge sulla concorrenza resa nota con la circolare dell’11 settembre, l’ultimo ed estremo atto compiuto dal Consiglio dopo tre anni di vera e propria “guerra” contro il settore delle società di ingegneria".

"Mi limito - continua la deputata del Partito Democratico - ad intervenire sulla questione della legittimità dei contratti privati delle società di ingegneria per avere seguito negli ultimi tre anni da molto vicino la questione, ponendo l’accento sul profilo del cosiddetto “sostanziale condono” (a detta del CNI) che il legislatore avrebbe determinato.
La materia mi è infatti ben nota fin dal 2014, quando presentai un emendamento ad un decreto-legge che aveva lo scopo di superare una assurda situazione determinata da una sentenza del Tribunale di Torino del dicembre 2013. La pronuncia aveva ritenuto ancora vigente il divieto fascista del 1939 di svolgere attività professionale in forma di impresa, annullando un contratto relativo ad una progettazione stipulato da una società di ingegneria con un committente privato (peraltro poi risultato appartenente ad una organizzazione malavitosa) . L’emendamento consisteva in una norma a carattere interpretativo che chiariva che la norma del 1939 – abrogata nel ’97 dalla “legge Bersani” – non poteva surrettiziamente “rivivere” soltanto perché non erano stati emanati i decreti attuativi della citata legge del 1997. In realtà la Corte Suprema di Cassazione, ignorata dal giudice di merito, lo aveva già detto chiaramente a più riprese  ma ritenevo fosse necessario chiarire questo elemento per evitare che una società (come molte altre) si potesse trovare in questa paradossale situazione e, nel caso specifico, sull’orlo del fallimento e con la necessità di chiudere sedi, anche all’estero, mettendo per strada tanti professionisti
".

"Una, quasi banale, norma di interpretazione autentica che ha lo scopo di evitare inutili e dannosi contenziosi in un momento di crisi per tutto il settore delle professioni tecniche – allora bocciata per l’ostruzionismo delle opposizioni che non capirono bene la questione –, adesso diventa legge e viene fatta passare come un “condono” nel presupposto che così facendo si favorirebbe un presunto strapotere delle società di ingegneria nel settore privato e del “capitale”, a danno dei professionisti singoli, senza alcun controllo e distorcendo la concorrenza.

Nulla di più falso.

Innanzitutto è da decenni che le società di ingegneria operano nel settore privato (in base all’ultima Rilevazione OICE i committenti privati rappresentano il 45,4% % del loro fatturato), a fianco di studi e professionisti, in un mercato libero e concorrenziale, dando lavoro a tanti giovani professionisti che in esse trovano uno sbocco e che ad essi pagano contributi previdenziali a Inarcassa, quei contributi che forse in futuro consentiranno a questi giovani di avere una pensione.

In secondo luogo va rilevato che la partita in gioco non è quella degli effetti dei contratti stipulati dal 1997 al 2011 dalle società di ingegneria, bensì il controllo su tali società che gli ordini professionali vogliono esercitare, avendo anche un evidente ritorno economico.

Anche su questo punto (esercitare il controllo deontologico sulle società attraverso la loro iscrizione all’albo professionale) il Parlamento si è espresso chiaramente quando l’Aula della Camera, confermando l’orientamento del Governo, non fece passare l’emendamento con l’obbligo di iscrizione delle società all’ordine professionale e quando, anche dopo, al Senato furono bocciati tutti gli emendamenti proposti regolarmente dall’opposizione che si prestò e cavalcò la folle contrapposizione fra mondo professionale e mondo imprenditoriale.

Non poteva che essere così, semplicemente perché l’argomentazione dell’equiparazione fra società tra professionisti (iscritte all’albo professionali perché costituite da professionisti) e società di ingegneria (iscritte al casellario ANAC) non poteva reggere: le prime infatti svolgono solo ed esclusivamente attività professionali; le seconde svolgono anche attività professionali che possono arrivare anche alla “produzione di beni” e non hanno vincoli sul possesso delle quote del capitale sociale. Si pensi alle grandi società di ingegneria e impiantistica o multidisciplinari, o alle società possedute da altre società e, anche, quotate in Borsa: nulla di più lontane dalle società costituite tra professionisti che svolgono solo attività protetta. Si tratta di realtà imprenditoriali che investono per l’innovazione tecnologica e che hanno bisogno di apporti esterni di capitale per stare sui mercati anche internazionali adeguatamente capitalizzate, che devono crescere a partire dal mercato italiano e che, anche nel settore privato, devono rispondere con solidità economica e tecnologie all’avanguardia.

Queste società operano con modalità diverse e su mercati tendenzialmente diversi rispetto alle società costituite da pochi soci professionisti  (che operano quasi esclusivamente su piccoli incarichi)  con ingegneri e architetti iscritti all’albo e quindi già soggetti agli obblighi deontologici che ne conseguono.

Oggi, in base alla legge entrata in vigore il 29 agosto, tutte le società di ingegneria hanno l’obbligo, se operano nel settore privato, dell’indicazione nominativa del socio affidatario dell’incarico e della stipula di una polizza assicurativa per la r.c. professionale. L’ANAC dovrà tenere l’elenco di queste società, così come fa dal 2000 per i rapporti pubblicistici.

La soluzione individuata è perfettamente in linea con quanto avviene nel resto d’Europa in situazioni analoghe per le società che rendono servizi di ingegneria e architettura, anche integrati, dove le società di consulenza e di ingegneria, come detto di ben diverse dimensioni, non hanno alcun obbligo di iscrizione all’albo – che fa capo (dove esistono albi) solo al singolo che svolge attività professionale - e sono tenute ad assicurarsi, nonché a rendere trasparente il rapporto con il professionista incaricato.

Mi corre quindi l’obbligo di rivendicare, come Gruppo PD, unitamente al Governo, il merito quanto è stato fatto per risolvere una questione che avrebbe potuto determinare ulteriori e  immotivati contenziosi che avrebbero anche danneggiato le stesse Casse previdenziali che incassano decine di milioni dal contributo oggettivo (4% dell’importo dell’affidamento) che ogni società di ingegneria è tenuta ad esporre  per i contratti stipulati con la committenza privata".

A cura di Ing. Gianluca Oreto

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