Ampliamenti, autorizzazione sismica, verifiche tecniche e parti comuni: interviene il TAR

Il TAR Toscana interviene in merito ad un intervento edilizio di ampliamento che coinvolge le parti comuni e in cui non sono state rispettate le NTC vigenti

di Redazione tecnica - 09/03/2021

Quando si parla di edilizia le cose non sono mai semplici e si possono complicare ulteriormente quando, tra istanze, titoli edilizi e varianti, ci sono di mezzo delle variazioni normative che cambiano completamente i presupposti per il rilascio di una autorizzazione.

Ampliamenti, autorizzazione sismica, verifiche tecniche e parti comuni: nuova sentenza del TAR

È il caso della complicatissima sentenza del TAR Toscana 17 febbraio 2021, n. 252 intervenuta in merito ad una lite tra vicini che riguarda l'ampliamento di una unità immobiliare, posta al piano seminterrato, mediante un nuovo corpo di fabbrica in aderenza alla parete nord dell’edificio in cui sono presenti altre due unità immobiliari.

Nel dettaglio, l'intervento di ampliamento:

  • è stato autorizzato con un permesso di costruire richiesto e ottenuto nel 2007;
  • prevedendo una serie di opere di opere strutturali di sostegno ed è stato assentito, per gli aspetti inerenti la sicurezza sismica, con autorizzazione rilasciata dal competente ufficio regionale nel maggio del 2008.

Successivamente veniva presentata una istanza di sanatoria edilizia relativamente ad alcune opere strutturali realizzate in difformità dall’autorizzazione sismica originaria, che veniva accolta con nuova autorizzazione del maggio 2011.

Successivamente ad un accertamento tecnico preventivo (ATP), richiesto dai vicini veniva emessa una sentenza di demolizione di alcune delle opere tutte previste dall’autorizzazione sismica rilasciata da parte dell’ufficio del Genio civile nel 2008 e successive autorizzazione sanatoria del 2011.

In pendenza dell’appello proposto avverso tale sentenza n. 714/2017, veniva richiesto e ottenuto dal Settore Sismica della regionale il rilascio della “variante n. 2 a sanatoria” dell’11 maggio 2018, per “opere realizzate in difformità rispetto al progetto autorizzato non ricomprese nella prima sanatoria”.

I motivi del ricorso

Il ricorso è stato affidato a tre motivazioni:

  • con la prima si lamenta che l'intervento sia stato realizzato sulle parti comuni dell'edificio, quindi richiederebbe il consenso di tutti i condomini o comproprietari;
  • con il secondo motivo, viene evidenziato che l’accertamento di conformità avrebbe dovuto essere valutato con riferimento sia alle Norme Tecniche Costruzioni (NTC) di cui al D.M. 16 gennaio 1996, in vigore al momento della realizzazione degli abusi, sia a quelle di cui al D.M. 14 gennaio 2008, in vigore al momento del deposito della seconda istanza di sanatoria, mentre il progetto presentato attesterebbe il solo rispetto delle norme tecniche del 1996 e non quelle del 2008;
  • con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano che la Regione avrebbe erroneamente ritenuto che le opere autorizzate con il provvedimento impugnato non fossero già contenute nella prima autorizzazione in sanatoria del 2011, circostanza che rivelerebbe ancora una volta la carenza dell’istruttoria condotta dall’amministrazione procedente.

Parti comuni

In riferimento alla prima motivazione, il TAR ha ricordato l’art. 1102 del Codice Civile per il quale sull’uso dei beni in comunione viene stabilito che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, potendo a tal fine apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa.

L’esecuzione di interventi edilizi sulle parti comuni di un edificio richiede, dunque, il consenso di tutti i comproprietari allorché le opere siano idonee a pregiudicare il pari uso del bene e ad alterarne la destinazione. Cosa che non è accaduta nel caso di specie.

Il rispetto delle Norme Tecniche Costruzioni (NTC)

Sulla seconda motivazione i giudici del TAR hanno utilizzato la CTU utilizzata nell'accertamento tecnico preventivo. Sulla base di questa è stato confermato che gli uffici regionali non sembrano essersi avveduti che la certificazione per l'autorizzazione strutturale è stata redatta ai sensi del D.M. 16 gennaio 1996, non più in vigore al momento della presentazione dell’istanza, ma neppure al momento della realizzazione degli abusi (da farsi coincidere con il rilascio della prima autorizzazione in sanatoria del 2011).

Proprio per questo motivo, il ricorso è stato accolto, rimandando ulteriori provvedimenti alla Regione.

A cura di Redazione LavoriPubblici.it

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