Concorso di architettura: è la strada giusta?

Da troppo tempo si considera, acriticamente, il concorso di architettura come il più trasparente e democratico metodo per fare emergere nuovi talenti e assic...

23/12/2015

Da troppo tempo si considera, acriticamente, il concorso di architettura come il più trasparente e democratico metodo per fare emergere nuovi talenti e assicurare la qualità dei progetti pubblici.
Entrambe le lodevoli aspettative risultano troppo spesso fallaci.

In generale, è opinione corrente e non del tutto peregrina il suggerire di partecipare a concorsi solo nel caso si abbia un conoscente in commissione, la mancanza del quale, molto spesso, ti fa immediatamente scivolare nelle ultime posizioni della graduatoria, superato da candidati del tutto indifferenti alla precisa definizione delle aspettative e delle esigenze contenute nel bando.

Tuttavia il vero mostro dell'idea di concorso consiste nel fatto che chi redige il bando, indicando con assoluta precisione un elenco di esigenze, di vincoli, di funzioni che configurano le sue aspettative, che non possono che essere espresse sul versante dell'utilitas, venga regolarmente scavalcato da chi giudica il prodotto progettuale senza alcuna attenzione alla risposta che esso fornisce alle aspettative contenute nel bando.

E' come se, sul versante della professione corrente, un committente indicasse le sue esigenze che poi saranno valutate da un terzo del tutto estraneo alle esigenze dichiarate, anzi focalizzato unicamente sugli aspetti per lo più della venustas, per non dire dei frequenti casi di nepotismo culturale.

Gli esempi a riguardo sono infiniti. I committenti infatti pateticamente introducono nella commissione giudicatrice un proprio funzionario, per lo più fedele conoscitore dei motivi stessi per cui fu indetto il concorso, della storia attraverso la quale sono stati codificati i bisogni, della complessa serie di esigenze e aspettative riportate nell'articolato del bando. Tanta positiva vocazione, tesa alla sincera volontà di confrontare tra loro prodotti intellettuali che tuttavia si informino al principio del rispetto al dettato funzionale, trova immediato capovolgimento, interferenza brutale e autoritaria per la presenza di qualche commissario, molto spesso, in verità, un accademico, che sentenzia sulla base - nel migliore dei casi - di propri personali pregiudizi figurativi, ovvero - nel più frequente dei casi - di appartenenze.

E' prova di tale atteggiamento il fatto che troppo poco spesso, in occasione dei concorsi di progettazione, una commissione stende un verbale dei suoi lavori di esame dei progetti, redigendo una tabella di attribuzione di punteggio sulla base di parametri preventivamente concordati, qualcosa di simile a quanto avviene per i bandi di gara di lavori pubblici dove, almeno, ogni peso viene attribuito a singoli aspetti della produzione del candidato, per quanto a ciascuno di questi momenti si possa attribuire una valutazione soggettiva. Ma in questo consiste il valore della commissione: che una varietà di approcci soggettivi possa alla fine fare emergere un risultato il più possibile oggettivo. La partecipazione ad un concorso costituisce di per sé uno straordinario esempio di diseconomia, chiamando decine di studi professionali a un impegno intellettuale e materiale che non si dà in nessuna altra professione, soprattutto per quegli ingenui e seri professionisti che indagano le possibili relazioni tra richieste e forma con serietà ed impegno. Il risultato di tanta negatività consiste nel fatto che spesso i progetti vincitori sono inutilizzabili e contribuiscono, nella loro assoluta estraneità e dilettantistica manifestazione di immaturità, a negare i motivi stessi per cui un'amministrazione decise di rivolgersi all'istituzione concorsuale.

E, credetemi non è uno sfogo, ma il risultato di una convinta consapevolezza maturata in anni di esperienze e riflessioni sul tema.

Grande sarebbe il piacere di poter approfondire la materia con colleghi in occasione della stesura di una norma sulla qualità dell'architettura.
 

A cura di arch. Fausto Provenzano
     
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